Le primarie, i numeri in libertà e le ere geologiche. Il renzismo alla riscossa

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti –  1 maggio 2017

I numeri sono impietosi, ma Renzi e i media celebrano un trionfo. Nel 2013 votarono alle primarie quasi 3 milioni di persone. Renzi prese il 67,8%, pari a 1 milione e 700.000 voti. Alle primarie 2017, i votanti sono scesi a 1.800.000 circa (non 2 milioni come sparava inizialmente la comunicazione), e il nuovo segretario PD ha raccolto il 70%, corrispondente però 1.283.389 voti. In sintesi, un milioni di votanti mancanti all’appello, nonché mezzo milione di voti in meno a Renzi. Punto. Renzi dice, però, che il dato delle ultime primarie non può essere confrontato a quelle del 2013, perché staremmo parlando di “ere geologiche” fa. Eppure esse corrispondono per intero al suo ‘regno’ ai vertici del PD e di Palazzo Chigi. Delle due l’una: o sono davvero ere geologiche e allora i suoi quattro anni valgono molto più di quattro anni, e Renzi è davvero vecchio, decrepito, giurassico, altro che nuovo. Oppure non sono affatto ere geologiche, e allora c’è da riflettere sul perché in soli quattro anni, tutti trascorsi al vertice del Nazareno e in gran parte al governo, un capo di partito riesca a perdere un tale patrimonio di consensi, e faccia pure finta che non sia vero.

Potremmo dire che i voti, in primo luogo, li perdi se dai cattiva prova politica e di governo. Ne abbiamo parlato molto in questi anni e adesso non vale la pena ripetersi. Ma c’è una frase detta ieri dal ri-eletto segretario del PD che fa pensare e la dice lunga. “Alleanze, ma non con i partiti” ha detto come sua prima mossa. Alleanze coi cittadini, con gli elettori, con la ‘gente’, scavalcando le organizzazioni politiche. I cittadini contro i partiti, insomma, salvo poi abbracciare Berlusconi a giochi fatti ma nascondere oggi queste intenzioni. Ebbene, questo è populismo, c’è poco da fare. Non è la roba di Salvini oppure di Orban, ma la sostanza è quella: il Capo parla al popolo, si rivolge direttamente ai cittadini e ‘salta’ tutte le mediazioni politiche e istituzionali. E allora si sappia che, a sinistra, i voti si perdono se sei populista, se non dai forza ai partiti, se non punti a organizzare le persone, se conti solo su te stesso, se ritieni che la soluzione sia parlare direttamente agli elettori, come se lo Stato democratico, le istituzioni rappresentative, i partiti non esistessero, o fossero solo uno strumento inanimato nelle mani del capo molto ambizioso di turno.

E poi, fatemelo dire, se quattro anni sono un’era geologica, e non è possibile fare nemmeno il minimo confronto politico con le primarie 2013, allora il 1947 cos’è, direttamente il big bang? Perché, se così fosse, quale sarebbe il senso di ricordare a distanza di 70 anni la strage di Portella della Ginestra? Tempo perso, ere geologiche, no? Un passato così passato da non dover essere nemmeno tenuto in considerazione. E anche questo è un modo di essere populista: cancellare le mediazioni, tutte, anche quelle storiche. Tutto è schiacciato, tutto è questo istante, non si danno raffronti, i numeri perdono di spessore interpretativo, le cifre dicono solo se stesse senz’altra relazione possibile con altro. E così “va già bene se vota un milione. Siamo due milioni ed è un trionfo. Il 40% di ‘sì’ è roba mia. I cittadini vogliono me al di là dei partiti che votano”. Ecco qual è il rischio, concretissimo: la fine di ogni contesto, lo schiacciamento e la riduzione della storia a meno che cronaca, le parole in libertà, i media che ripetono tutto a pappardella, la memoria che diluisce, le mediazioni sociali, politiche, culturali e soprattutto politico-istituzionali che svaniscono. Due milioni, un milione, mezzo milione, il 70%, il 40%, il premio maggioritario, la geologia, la storia, la comunicazione-politica, le primarie: tutto si mischia, come una maionese. Ma, alla fine, è l’opinione pubblica a impazzire.

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