di Alfredo Morganti – 7 settembre 2018
“Gli italiani sono con me” ha detto Salvini dinanzi a una sentenza avversa della magistratura. Come dire, il popolo sono io, non si giudica il popolo, tanto meno può farlo un potere dello Stato democratico. Avrebbe anche potuto aggiungere, per contiguità storica e concettuale di termini come ‘popolo’ e ‘nazione’: “la nazione è con me”, e quindi come può un potere di vertice ed élitario opporsi al consenso di cui godo, alla nazione che guido, quella che il dio delle elezioni mi ha consegnato come in un plebiscito? Io credo che in queste frasi si schiuda davvero l’essenza profonda del populismo, la disintermediazione (delegittimazione) che annichilisce i corpi intermedi, i poteri indipendenti dello Stato, la rappresentanza parlamentare, e riduce tutto a un corto circuito strettissimo tra Capo (che gode del consenso nazional-popolare) e Popolo, finalmente ‘ascoltato’ e in felice connubio con un esecutivo che parla per esso. Questo ‘asse’ tra la ‘persona’ del Capo e il Popolo, quasi una identificazione, attorno alla quale si addensa tutto il resto del sistema politico, si propone come la nervatura primaria dell’organizzazione socio-politica, per quanto essa possa articolarsi anche orizzontalmente e dal basso. Una nervatura senza la quale tutto viene a cadere. Non a caso, quando il Capo defunge o viene spodestato senza tanti riguardi, finisce un’epoca e se ne apre un’altra nell’incertezza più assoluta.
Va detto che il populismo non è contro un’articolazione estesa e minuta della società civile, non è contro le case del popolo (appunto) o il sistema cooperativistico. Il suo nemico non è la partecipazione ‘dal basso’, come si dice, per quanto questa possa essere eterodiretta. Il suo nemico è lo Stato democratico, rappresentativo, la strutturazione in poteri indipendenti, la centralità del Parlamento, l’impersonalità delle funzioni pubbliche, la pluralità dei partiti. Contro questo complesso e articolato meccanismo fondato sulla partecipazione organizzata (sistema dei partiti, sindacati, associazioni) e sulla sua progressione verticale verso l’apice del potere, il populismo propone che il vertice dello Stato dialoghi direttamente con l’orizzontalità del Popolo e delle sue articolazioni sociali – del Popolo e della sua organizzazione civile. Propone, in sostanza, una identificazione politica con il Popolo. Le peuple c’est moi, précisément. Salvini ritiene di trarre da lì, da quella piatta orizzontalità, da questo Popolo che sembra protagonista ma non lo è, la propria difesa d’ufficio e la propria legittimazione, non da un popolo che eserciti la sovranità nei limiti della Costituzione, nei margini dello Stato democratico, nelle rappresentanze parlamentari, nella distinzione dei poteri, nella verticalità che raccorda progressivamente (e impersonalmente!) la base della cittadinanza ai vertici dello Stato. Fuori di questa verticalità, fuori della catena di distribuzione tra partecipazione organizzata e cuore delle istituzioni (e viceversa), non rimane altro che un vertice leaderistico e assoluto come il Re Sole; una base popolare che vuole ‘ascolto’ ma si ritrova brioches; e un sistema mediale (compresa una rete social) che agisce da connettore istantaneo, genera ‘annunci’ a ripetizione e amplifica gli appelli al popolo, proprio come quelli di Salvini.