Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 29 settembre 2014
A che serve un filosofo? Ma un filosofo vero, non uno studioso di filosofia, non un lettore di testi filosofici. A che serve? A questo, a inoltrarci, quasi di getto, in una dimensione di cui altrimenti ignoreresti l’esistenza. Lesti a correre e propensi alla fretta, il mondo attorno sembra quasi scomparire, e del pensiero (non dei pensieri, delle preoccupazioni, ma del pensiero) non resta nulla. Eppure la ‘salvezza’ (una salvezza strana, paradossale, una non-salvezza) passa di lì, passa per l’ostinato, cocciuto esercizio del pensiero, per la riflessione caparbia, per il tenace tentativo di scorgere (tentare almeno di scorgere) un’epoca, un’accelerazione del tempo, laddove all’apparenza c’è solo tempo ordinario, lento, che scorre tutto uguale, istante dopo istante, senza salti, senza discontinuità, senza la benché minima apparenza di storia. Perché è il pensiero che accelera i tempi, che fa epoca, è il pensiero che scorge i fatti che imprimono strappi e trasformano i nostri mondi. Una specie di fruttuoso gioco reciproco di fatti e di pensieri adeguati a essi.
Ecco, se dovessi pensare a un filosofo, oggi, direi MarioTronti. È lui a suscitarmi queste riflessioni, è lui a svolgerle dalle colonne di Repubblica, ieri. Serenamente disperato, non cessa però di illuminare gli angoli oggi bui, è lui a spiegare come “chi corre non pensa. Pensa solo chi cammina”. Tronti è stato ed è un grande pensatore tragico e realista. Ammette di avere avuto fedi, quella nella possibilità che il comunismo potesse diventare realtà, e di sentirsi uno sconfitto, ma ci spiega che senza le passioni, senza una partecipazione forte agli eventi, senza un trasporto effettivo, senza un anti-cinismo, il realismo si tramuta subito in opportunismo. Diventa una via di accesso privilegiata all’establishment. E i fatti si riducono a eventi che si citano solo a piatta giustificazione di tutto e del suo contrario. Oggi la corsa frettolosa e il cinismo sono la vera patologia dei nostri tempi senza più epoca, senza più accelerazioni politiche. Ottundono il pensiero, che ci radica invece nel mondo e in noi stessi, e depennano passioni e speranze dai nostri cuori.
Tronti dice che il capitalismo ha vinto la guerra del 900. Aggiunge che lui non vorrebbe vivere per sempre questo eterno presente. Dice di non invidiare i giovani, dice che il futuro è catturato dal presente, senza alcuna prospettiva, senza un filo rosso che sia capace di tracciare un qualsivoglia senso. Il disincanto appare totale. Circola l’idea, persino, che i problemi che abbiamo davanti siano semplici, che non necessitino di anni e fatica per risolverli. Eppure, in alcuni passi, Tronti ricorda i paradossi della storia e la sua imprevedibilità. Dice di essere uno sconfitto, non un vinto, non uno che la sconfitta la porta dentro di sé, come una fato, naturalisticamente. Perché si può essere sconfitti, ma essere salvi rispetto al destino, liberi da una sorta di predestinazione, vivere in un mondo di passioni tristi “ma non spente del tutto”.
Ecco il punto. Tronti cita Simone Weil, e dice che bisogna stare sul confine, saldamente consapevoli: “non attraversare, ma non tornare indietro”. Ghermire una fede che si dilegua, ma non cedere ai sogni né al cinismo, che dei cattivi sogni è il pendant. Epperò spingere almeno il pensiero oltre quel confine, tentare una prospettiva, non condannarsi al presente eterno, non sentirsi vinti: sconfitti sì, perché è così, sono i fatti a testimoniarlo, ma non vinti. Guai. Le passioni, come un fiume carsico, riemergono sempre, imprevedibilmente, sorprendentemente, nelle pieghe della storia, e così un senso, una nuova prospettiva potrebbero riaprirsi fulmineamente. Certo, mette tristezza vedere quel che resta della sinistra civettare con il nulla di pensiero oggi in voga. Correre frettolosamente a cervello spento. Ma è da qui che bisogna ripartire, contro questa voga. Dal pensiero ancora circolante e dalla buona politica ancora attiva. Uomini inattuali o postumi, forse. Ma, certo, non frettolosi interpreti del nulla attuale. Anzi, ostinatamente alla ricerca di un filo rosso. Rosso.