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LE PAROLE RUBATE – di ROBERTO GRAMICCIA e SIMONE OGGIONNI – ed. MIMESIS
recensione di Vittorio Bonanni
E’ fondamentale saper parlare bene dando ad ogni singola parola il giusto significato. Perchè appunto… Le parole non sono coriandoli.
Per queste ragioni riteniamo che il libro “Le Parole Rubate. Contro-dizionario per la Sinistra” (Mimesis Edizioni, pp. 180, euro 14) di Roberto Gramiccia e Simone Oggionni, dovrebbe essere letto e studiato anche, se non soprattutto, nelle scuole.
I ragazzi e le ragazze, infatti, spesso usano un linguaggio certo innovato e spregiudicato, come è giusto che sia, ma anche spaventosamente impoverito, problematico e problematizzante in quanto a correttezza ed uso appropriato dei termini. E questo accade in modo particolare per quanto attiene alle province della cosiddetta cultura politica.
La colpa, nella stragrande maggioranza dei casi, non è dei giovani, ma di chi in questi ultimi decenni ha ritenuto opportuno distruggere il linguaggio, gesto propedeutico ad “ogni futura distruzione” come sosteneva Tullio De Mauro, il grande linguista al quale il libro è dedicato.
Il volume, che prende in esame quaranta lemmi, ha un fine dichiaratamente politico come ribadisce Alberto Olivetti, il quale nella prefazione sottolinea come “sul parlare, lo scrivere e il leggere stanno prendendo il sopravvento il vedere, il digitare e l’ascoltare”.
Questo depauperamento della lingua va dunque contrastato con “una ricostruzione storica relativa al significato di alcune parole”, che combatta come la peste, sostengono gli autori, quel “senso comune dominante che si afferma attraverso l’uso delle parole”, arte nella quale il neoliberalismo -anche per i limiti e le colpe dei suoi oppositori- ha stravinto “impadronendosi delle parole della sinistra e cambiandone il significato”.
Per chi ha i capelli bianchi e ha vissuto in pieno quegli anni in cui “si pensava in grande”, come direbbe Rossana Rossanda, si imponeva una distinzione semantica ricorrente negli ambienti e nel pensiero di sinistra: “Riformismo” e dunque riforma, che si distinguevano da “Rivoluzione”.
Ora, mentre quest’ultima parola è scomparsa dal dizionario di uso comune, se non per evocare qualcosa di spaventoso e di orrifico, parlare di riforme significa, oggi, solo assecondare il pensiero unico dominante, ovvero il neoliberalismo, che delle cosiddette riforme fa strumenti esclusivamente funzionali alla perpetuazione del proprio dominio.
Bene fanno gli autori a citare Massimo Carlo Giannini a questo proposito.
Per lo storico “negli ultimi quindici anni il ricorso ai termini riforma e riformismo è divenuto talmente massiccio da determinare quasi un’inversione di significato: non più trasformazione profonda della realtà, ma promessa di cambiamento o al massimo opera di cosmesi legislativa quando non addirittura controriforma, ossia ritorno a situazioni precedenti. Il riformismo è diventato sinonimo di moderatismo, ossia il suo esatto contrario”.
Questo esempio ci è sembrato il più pertinente o tra i più pertinenti per far capire qual è stato l’intento dei due autori nel realizzare quest’opera.
Lo ribadiscono bene nella riflessione finale, quando scrivono che “a spingerci è stata la convinzione che le parole non sono divisibili dalle idee. E in un momento di grande confusione, come quello che viviamo, abbiamo pensato di porre mano al tentativo di contribuire, nel nostro piccolo, a disperdere un po’ della nebbia che ci circonda”.
Altri e significativi sono i lemmi presi in considerazione: da Socialismo a Fragilità, da Comunismo ad Arte, da Partito ad Amore.
Sì, proprio Amore, perché non è estranea allo spirito che impregna le pagine di questo libro la convinzione che anche, anzi soprattutto, quando ci si occupa di politica non si può dimenticare che essa fa parte di una totalità indivisibile, per capire la quale cuore e mente devono attrezzarsi ad un’impresa ambiziosa ma indispensabile: recuperare un punto di vista sul mondo e sulla storia.
Una partita che in tutti questi anni la Sinistra ha perso. C’è un bisogno fottuto che questa partita la Sinistra ricominci almeno a giocarla.
Questo libro senza saccenteria, ma con evidenti intenti pedagogici, frutto del confronto maieutico fra due intellettuali di generazioni diverse, prova a fornire uno strumento in questo senso.
Lo fa con rigore ma senza pedanteria. Con una scrittura tesa ma non autocompiaciuta, piacevole.
Speriamo che lo leggano in molti: i giovani per fondare un nuovo entusiasmo sulla speranza di trasformare il mondo che li sta annichilendo, i meno giovani per recuperare il senso di questa prospettiva. Senza la quale, almeno per noi, la vita è veramente poca cosa.
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