di Luca Billi, 28 agosto 2017
A Bologna, a settembre, con la Festa provinciale del Parco Nord si chiudeva la stagione delle feste. Leggo che quest’anno se ne sono svolte meno e che anche quella al Parco nord è partita un po’ sordina. In fondo era inevitabile: sarebbe successo comunque, anche senza questi qui. Quelle feste vivevano grazie all’entusiasmo e alla competenze di una generazione che è invecchiata e, in molti casi, non c’è più.
Sapete che è molti anni che non metto piede a una festa, perché per me quella storia è importante. E proprio per questo penso che il nome Festa dell’Unità non possa essere un marchio.
E’ soprattutto una questione di rispetto. Immagino che questo rispetto i nuovi non lo possano avere, perché alcuni di loro sono troppo giovani per conoscere quella storia, mentre altri sono nati e cresciuti in un mondo che la considerava con sufficienza, se non con disprezzo. Per un giovane democristiano come renzi, cresciuto in una famiglia e in un ambiente ostili al Pci, per uno che è cresciuto con il mito della modernità, dell’innovazione, e tutte quelle cose che ci propina ogni giorno, per uno così cosa volete che significhino le Feste dell’Unità? Sono al massimo un nome da sfruttare per raccogliere un po’ di soldi e per farsi un po’ di pubblicità. Mi dispiace molto che questo rispetto manchi però anche a persone che, come me, sono cresciute in quell’ambiente.
A loro in particolare vorrei fare una proposta: so che non verrà nemmeno presa in considerazione, ma la voglio fare lo stesso. Impegniamoci tutti a non usare più quel nome, a non chiamare più una nostra manifestazione Festa dell’Unità.
Anche se noi, che adesso siamo confusi e smarriti, dovessimo riuscire a costruire un partito, a dargli un qualche radicamento territoriale, perfino a organizzare delle feste, vorrei che non usassimo quel nome, che nessuno lo usasse più. Perché quella stagione è finita, come ormai non ci sono più molti dei protagonisti di quella stagione. Consegniamolo alla storia e proviamo a difenderne la memoria, senza sfruttarlo a fini commerciali. Sarebbe un bel gesto verso compagne e compagni come Nello Bonetti – ne cito uno per tutti, perché per molti di noi, Nello è il Parco Nord – che non ci sono più e che ci hanno permesso di fare quello che abbiamo fatto, anche che voi diventaste quello che siete diventati adesso.
Io ho avuto la fortuna di fare le Feste dell’Unità al Parco Nord e nulla mi potrà togliere la gioia di aver fatto quell’esperienza, che è stata insieme umana e politica. Probabilmente noi allora non siamo stati abbastanza bravi da far capire quanta ricchezza ci fosse nelle Feste, perché anche noi forse pensavamo che fosse un qualcosa del vecchio modo di fare politica, che avremmo dovuto abbandonare per entrare nella modernità. Quando invece ripenso a quegli anni, capisco che quello che so della politica – e della vita – l’ho imparato tra quegli stand, in quelle cucine, tra il gioco del tappo e la balera. Il rispetto per le persone. Il riconoscimento che il lavoro è importante, che il lavoro di tutti è importante, anche di quello che deve “sgurare” i tegami, perché non ci sono lavori meno importanti di altri, ma persone che lavorano bene e con coscienza e persone che non lo fanno. Il valore del lavoro, del lavoro per gli altri, per un fine che trascende il proprio interesse, anche il giusto riconoscimento delle proprie capacità, perché quel nostro lavoro, quelle nostre capacità, vengono messe a servizio di una comunità che ne ha bisogno per sostenersi.
Tutte queste cose sono politica, non conosco un altro modo per chiamarle, e io le ho imparate alle Feste dell’Unità, mentre dovevo decidere quante persone potevano sedersi a tavola in un certo spazio o a che prezzo vendere un piatto di gramigna alla salsiccia. E anche se quel mondo lì non c’è più – anche per colpa nostra – però quei valori lì continuano a indicarci una strada. Sta a noi, se ne abbiamo ancora la forza, percorrerla.