di Alfredo Morganti – 15 maggio 2017
La battaglia della monnezza a Roma infuria. Accanto a tante comparse che litigano, in maglietta gialla o camicia bianca, scompare l’unica vera protagonista della storia, che è la città. Ridotta a sfondo scenografico di uno scontro davvero ridicolo, tutto politico, tutto orientato a ottenere buoni sondaggi oggi e poi buone percentuali alle urne domani, e in fondo del tutto estraneo ai destini veri dell’Urbe. La Città Eterna credo che sia davvero incazzatissima. Per due volte due Sindaci si sono dimessi per tentare la sorte delle elezioni politiche, e anche in quei casi Roma fu solo un trampolino di lancio per le ambizioni personali di qualcuno. La parentesi Alemanno l’ha sfinita. Marino è stato dimesso dal notaio, senza alcun riguardo neanche per le istituzioni. Il commissariamento che doveva essere roba da americani, roba da dream team, è finito così come era iniziato: nel nulla. Oggi la battaglia della monnezza ha sostituito ogni visione, ogni ipotesi strategica, con l’effetto di deturpare viepiù l’immagine della Capitale d’Italia (mai amata, a dire il vero, anche dai tanti non romani che la vivono e poi la insultano) a meri fini strumentali.
Quando si dice che ‘vincere’ è roba da calcio, e non roba politica, si intende questo. Che la ‘vittoria’ diventa fine a se stessa, che per un ‘successo’ elettorale uno si farebbe in due, rinnegherebbe persino la propria storia – e che la ‘sostanza’ dei problemi sparisce dinanzi alla ‘forma’ della battaglia politica. Così che tutto diventa irreale, falso, artificioso, scenografico. Una ‘narrazione’, appunto, anzi un ‘film’ con pessimi protagonisti. Questa cosa della ‘vittoria’ (che deve materializzarsi dalla domenica stessa, in modo lapidario, e poi per cinque anni nessuno disturbi il manovratore sennò è un gufo), sta avvelenando il clima politico e ha mutato antropologicamente la sinistra, naturale o artificiosa che sia. La sua ‘cultura’. I suoi geni.
Io non so se ‘essere sinistra’ sia roba di natura o una “interpretazione intellettuale”, come dice invece Carlo Galli. Né voglio saperlo, anche perché le teorie spesso arrancano dietro ai fatti e contano davvero poco, in tal caso. Io so però che ‘essere sinistra’ sta diventando un concetto commutabile, intercambiabile, una specie di switch molto sbiadito dinanzi agli idoli della vittoria e della governabilità. Tant’è, che alla fine ci si ritrova con le magliette gialle a fare selfie in strada, o stipati ai tavoli in una ex stazione ferroviaria trasformata in teatrino, oppure nei pressi di un seggio delle primarie così che si entra magari e si vota ‘pinco pallino’, o peggio a fianco di Marchionne e si decide che è il momento di andare a caccia dei voti di destra, perché tutto fa brodo, e magari alla fine il brodo è avvelenato. Tanto la sinistra è morta, si dice, il sistema politico non c’è più, bisogna occupare lo spazio della destra, i voti per vincere vanno strappati all’altro come al calcio mercato, serve un leader, e meno male che Matteo c’è. Poi il lunedì ci si siede a fianco dell’avversario in qualche stanzino della fotocopiatrice del Nazareno a sottoscrivere chissà che. Di sicuro a nostra insaputa.