Le consultazioni di Draghi tra “decapartito di programma” e “modello Ciampi”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Pertici
Le consultazioni di Draghi tra “decapartito di programma” e “modello Ciampi”
Draghi ha completato le audizioni delle forze politiche, che mi pare abbiano portato all’attenzione alcuni importanti temi, evidenziando che:
1) l’azione di Governo non può essere “neutrale”, soprattutto quando si devono investire oltre 200 mld;
2) non è facile tenere insieme forze politiche così distanti come quelle che hanno manifestato disponibilità a sostenere il Governo. Che sono tutte tranne una, potendosi arrivare al “Governo di quasi tutti”.

Tra questi temi ce ne sono di fondamentali. Forse quello che risalta di più è la conversione ecologica dell’economia, di cui scrissi già, con Annalisa Corrado, nel 2014, quando lavorammo al “Patto repubblicano”, che vedeva tra i suoi primi firmatari, oltre a noi, Elly Schlein, Pippo Civati, Nadia Urbinati, Silvia Prodi… e che fu poi sottoscritto da migliaia di persone appartenenti all’intera area di centrosinistra. Allora il premier-segretario del partito che governava rispose a suon di trivelle. Ora vedere la conversione ecologica dell’economia al centro di un programma di governo sarebbe una bellissima novità ma soprattutto – credo – una necessità. Certamente Draghi conosce la questione e la sua centralità, ma – per quanto ho scritto in questi giorni circa la necessità di imprimere l’indirizzo politico da parte dei partiti e movimenti – è importante che tra questi vi sia chi lo ha portato al tavolo.

Altra questione centrale, che ho sentito porre, è quella della progressività fiscale, prevista dalla #Costituzione e da molti anni attuata molto male.
So indirettamente (anche se pubblicamente non se ne è parlato) che è stato portato anche un altro tema centrale, quale è quello del #conflittodinteressi, di cui abbiamo visto l’urgenza anche nelle ultime settimane, e che non può più essere rinviato. Tanto più ora che si dovranno fare ingenti investimenti a cui chi ricopre cariche politiche non dovrà dare neppure l’impressione di essere “interessato” per diretto o indiretto tornaconto personale. Del resto, Draghi sa benissimo di cosa si tratta, perché quando divenne governatore della Banca d’Italia risolse il suo conflitto d’interessi vendendo le sue azioni Goldman Sachs e affidando il ricavato a un blind trust.
Se sui temi c’è ancora (mi pare) da lavorare, ovviamente ciò su cui più ci si esercita nel dibattuto pubblico sono i nomi. Infatti è molto più facile sparare nomi qua e là che affrontare qualche questione. E quindi si inanellano i tecnici, da Panetta a Cartabia, da Severino a Bini Smaghi, da Mazzuccato a Giovannini… e i politici, da Di Maio a Franceschini, da Speranza a Giorgetti, da Bonino a Tajani, da Bellanova a Sileri…
Come si può fare a tenere tutto – e soprattutto tutti e tutte – insieme?
Il riferimento è al “modello Ciampi”, formula breve e suggestiva per indicare un mix di tecnici (anche “d’area”) e politici.
Nel Governo Ciampi erano politici, ad esempio i ministri degli Esteri e dell’Interno , della Sanità e della Pubblica Istruzione (Andreatta, Mancino, Garavaglia e Russo Jervolino, Dc); quelli della Difesa, del Lavoro e dell’Ambiente (Fabbri, Giugni e Spini, Psi), quello dei Trasporti (Costa, Pli) e quello delle Poste e telecomunicazioni (Pagani, Psdi), che i partiti erano quattro, c’erano “tecnici d’area”, come, Elia e Contri e molti tecnici come Conso, Barucci, Spaventa, Savona, Barile, Ronchey, Cassese, Paladin, Baratta, Franco Gallo e Umberto Colombo.
In questo Governo vi era quindi la preponderanza dei “Tecnici”, più o meno indipendenti, che già erano divenuti via via più numerosi nel precedente I Governo Amato e che nella storia della Repubblica avevano fatto a volte capolino in qualche ministero (lo stesso Livio Paladin era già stato brevemente ministro, così come lo erano stati, ad esempio, l’ex Ragionieri generale dello Stato, Stammati; Guido Carli, sia prima che dopo essere stato Governatore della Banca d’Italia; l’ex segretario generale del Senato, Gaetano Gifuni). Poi l’utilizzo di “tecnici”, più o meno indipendenti, è divenuta la regola in quasi tutti i Governi (basti pensare a Dini, Ruggiero o Siniscalco, nei Governi Berlusconi; a Ciampi, Padoa Schioppa o Flick nei Governi Prodi; fino Tria e Moavero Milanesi nel Conte I e a Lamorgese e Manfredi nel Conte II), essendovene stati due – Dini e Monti – interamente composti da “tecnici”. Soprattutto nel primo caso, però, la formazione interamente tecnica non fu la prima scelta (che sarebbe stata di adozione del “modello Ciampi”), bensì frutto di una serie di veti reciproci e fu tra i motivi del mutamento di posizione del centrodestra che passò dall’appoggio all’astensione.
Certamente un Governo senza esponenti politici, anche se parimenti legittimato dal voto di fiducia, che comunque deve avere dalle Camere per rimanere in carica, è più debole e sembra consentire troppo alle forze politiche di schivare la responsabilità delle proprie scelte, in vista della prossime elezioni, su cui già si favoleggia molto.
La difficoltà nel caso di specie sta nel fatto che Draghi, a differenza di Ciampi, non ha di fronte 4 partiti (o 6, come avrebbe voluto, includendo Pds e Verdi), 2 o 3 dei quali piccoli e uno medio, ma – stando ai numeri in Parlamento, che sono quelli cn cui fare i conti – un partito grande (5S), 3 medio-grandi (Lega, Fi e Pd), 2 piccoli (uno, LeU, più dell’altro, Iv) e alcuni piccolissimi (dal Centro dem. a +Europa al Maie ad Azione alle Svp agli Europeisti del Senato…). Tutto considerato, una sorta di “decapartito”, che forse potrebbe far fare qualche riflessione sul proporzionale? (domando).
Il tutto, come evidente, non è facile da ricomporre e da tenere poi insieme. Vediamo…
P.S.: a chi mi chiede dello scioglimento delle Camere (che credo davvero molto improbabile anche nei prossimi mesi)…
Le Camere possono sciogliersi fino al 2 agosto e quindi fino alla metà di ottobre, almeno in teoria (secondo me molto in teoria), in effetti, si potrebbe votare, ma si potrebbe anche arrivare alla fine della legislatura (22 marzo 2023, con voto possibile fino a fine maggio) o fino all’elezione del prossimo PdR (tra la fine di gennaio e i primi di febbraio 2022, con voto tra la metà e la fine di aprile), ipotesi che piace molto ai retroscenisti, già impegnati a immaginare l’elezione di Draghi al Quirinale, perché si divertono con le caselle senza così doversi occupare delle cose da fare.
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