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di Luca Billi – 6 agosto 2018
Sapete che la pubblicità è un genere letterario che amo molto e di cui mi piace scrivere.
Qualche giorno fa ho visto uno spot che mi ha molto colpito: c’è questa ragazza, un’adolescente apparentemente normale – finalmente normale, visto che di solito le giovani donne della pubblicità sono delle specie di “lolite”, messe lì a bella posta per stimolare gli istinti più biechi di noi consumatori maschi – questa ragazza, che potrebbe essere tranquillamente mia figlia, facendo salti e piroette lungo i corridoi della sua scuola, è capace con il proprio sguardo di aprire qualunque serratura. Al suo passaggio si aprono le porte delle aule, gli armadietti degli studenti, tutti i contenitori del laboratorio di scienze; capiamo subito che si tratta di un’opera di finzione, perché in quale scuola italiana ci sono le porte che si chiudono, gli armadietti per gli studenti, i laboratori di scienze così attrezzati. Comunque sia, quella pubblicità – che Zaira mi ha spiegato essere di un telefono che può essere sbloccato dallo sguardo del proprietario e non da un codice numerico come faccio ancora io che sono antico – mi è sembrata di un’incredibile forza anarchica: davvero avrei voluto che fosse mia figlia quella giovane donna capace di aprire ogni porta, di spezzare ogni catena, di conoscere ogni segreto. Non ci sono limiti all’intelligenza e alla forza di quella giovane donna, non devono esserci limiti alle speranze delle giovani donne, mentre invece sappiamo bene che le nostre figlie si vedono continuamente sbattere le porte in faccia. Però quella pubblicità racconta una storia diversa, una storia che vorrei raccontare a mia figlia, se ne avessi una.
“Timeo Danaos et dona ferentes”, come fa dire Virgilio al povero Laocoonte: “temo i Danai, anche quando portano doni”, di fronte al cavallo di legno lasciato davanti alle porte di Troia dai Greci che avevano finto di ritirarsi, dopo un conflitto durato dieci anni. Sappiamo che Laocoonte fu stritolato, insieme ai suoi figli da un mostro marino apparso magicamente poco dopo che aveva pronunciato quelle parole, profeta inascoltato, sappiamo che i Troiani fecero di tutto per far entrare quella terribile arma all’interno delle mura, accecati da un dio potente che voleva la loro distruzione.
E anch’io, dopo qualche giorno, ho visto un nuovo spot, sempre di quello strabiliante telefono. Questa volta il protagonista è un giovane maschio che, osservando nelle vetrine della sua città vestiti, accessori e gioielli di lusso, con un solo sguardo si veste di tutto punto, poche occhiate e diventa elegantissimo. Allora, come un troiano trafitto di notte dalla lancia nemica, ho capito che questa volta lo scopo della pubblicità è spiegare che grazie a quel telefono basta uno sguardo per comprare un qualsiasi oggetto, non serve neppure fare la fatica di digitare un ok sullo schermo. Ecco l’inganno, ecco i guerrieri che di notte escono dal ventre del cavallo di legno e conquistano la città, uccidendo i Troiani inermi. Quel telefono ci rende liberi, ma liberi di comprare, di spendere soldi, soldi che forse neppure abbiamo, ma l’importante è acquistare, consumare, fare debiti, legarci da soli con catene sempre più pesanti. Dobbiamo comprare senza pensare, dobbiamo comprare tutto quello che desideriamo, anzi tutto quello che vediamo, anche se non lo vogliamo, anche se non ne abbiamo bisogno, anche se non abbiamo i mezzi per farlo. Quella ragazza che poteva spezzare ogni catena era solo un inganno, perché non ci vogliono liberi, ma schiavi. E sento che ormai quelle catene si stanno stringendo sempre di più.