Fonte: Corriere della Sera
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di Antonio Napolitano – 10 ottobre 2014
CUI PRODEST?
IL “CORRIERE” DEL LICENZIANDO FERRUCCIO ‘CARUCCIO’ DE BORTOLI CONTINUA IMPERTERRITO NELL’OPERA DI DENUNCIA DELLO STRAVOLGIMENTO DEL NOSTRO ASSETTO COSTITUZIONALE E NELLA QUALE SI DISTINGUE PER INTENSITA’ E CONTINUITA’ IL GOVERNO RENZI. ANTONIO POLITO ECCELLE IN QUESTA DENUNCIA CON FONDI PARTICOLARMENTE CHIARI E PUNTUTI. E’ FUOCO ‘AMICO’? PER CONTO DI CHI? E PER OTTENERE CHE COSA? E’ CERTAMENTE IL SEGNO E DI UNO SCONTRO DI PIU’ VASTE IMPLICAZIONI CHE VANNO AL DI LA’ DEI PROTAGONISTI VISIBILI: DIEGO DELLA VALLE E IL GIOVANE ELKAN, CON LA SUA PRETESA DI MANTENERE INTATTO IL VECCHIO POTERE DI CONDIZIONAMENTO E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA, NONOSTANTE LE SCELTE OPERATE DALLA FAMIGLIA E DAL GRUPPO FIAT. STA DI FATTO CHE NESSUNO FINORA NEL PD AVEVA OSATO DIRE QUELLO CHE POLITO METTE NERO SU BIANCO SUL PIU’ IMPORTANTE GIORNALE NAZIONALE.
di Antonio Polito – il Corriere della Sera – 10 ottobre 2014
Da molti punti di vista, quello di Renzi è un governo extra-parlamentare; forse il primo di una nuova era. Non solo perché il premier non siede in nessuna delle due Camere: c’era già il precedente di Ciampi, anche se gestito con altro stile. Ma per motivi più di merito.
Si moltiplicano infatti i luoghi di decisione politica esterna che il Parlamento non può rimettere in discussione: il Patto del Nazareno, un discorso nella Direzione del Pd, un incontro estivo con Draghi. La stessa ratifica parlamentare si fa al contempo obbligata (con la fiducia) e vaga (con la delega), trasferendo sempre più il potere legislativo all’esecutivo: come è avvenuto sulla riforma dell’articolo 18, di cui nei testi votati non c’è niente, e tutto resta affidato alla tradizione orale e agli impegni verbali.
Il parlamentare è ormai un’anima morta, legata al leader da un ferreo vincolo di mandato; il che, come in ogni servitù, lo induce alla rancorosa vendetta ogni volta che può agire in segreto, ad esempio col triste spettacolo della mancata elezione dei giudici della Consulta. In alternativa, se non è d’accordo, può solo disertare dal suo mandato (assentandosi o dimettendosi).
La stessa definizione di presidente del Consiglio non si addice più a Renzi, il quale pur essendo primus non è certamente più inter pares tra i suoi ministri, come testimoniato dalla performance di Giuliano Poletti sulla riforma del mercato del lavoro. Pur senza nostalgie per il regime parlamentare uscente, davvero impossibili, bisogna riconoscere che qui siamo oltre. È come se avessimo sostituito a vent’anni di mancate riforme istituzionali la biografia e la personalità di un leader di quarant’anni: una riforma costituzionale incarnata, in personam invece che ad personam.
Prima o poi doveva succedere: la democrazia parlamentare non può sopravvivere a periodi troppo lunghi di paralisi. A Bersani e D’Alema che protestano per l’andazzo odierno andrebbe risposto che ne sono in buona parte responsabili. Però non è detto che la nuova costituzione materiale che si sta delineando sia l’unica forma di post-democrazia possibile.
Non è vero che funziona così ovunque. Perfino in un regime presidenziale come quello statunitense i parlamentari hanno un incomparabile potere di condizionare le scelte dell’esecutivo. Perfino a Westminster le ribellioni in Aula sono all’ordine del giorno. Perfino in Germania la Merkel ha dovuto spesso ricorrere ai voti dell’opposizione per resistere alle defezioni interne della sua maggioranza. Istituti come la sfiducia costruttiva, sistemi elettorali basati sul collegio uninominale, o anche un presidenzialismo dotato di check and balances , consentono di avere insieme governi autorevoli e Parlamenti liberi.
Sarebbe il caso di pensarci per tempo. Perché democrazia è certamente decisione, ma è anche e soprattutto potere di controllare il potere. Ogni giorno, e non solo una volta ogni cinque anni.