Le abiure e il gioco del cerino

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 14 novembre 2017

Uniti ma senza abiure. Così dice Renzi ai possibili alleati. Uniti, ma solo per vincere, solo per spartirsi in un accordo gli scranni parlamentari e magari quelli di Ministro. Uniti, ma senza toccare un pelo dei quattro anni appena trascorsi, quelli della presunta non vittoria di Bersani trasformata nell’ingordigia renziana. Vi sembrano basi corrette per un confronto? Perché la sinistra dovrebbe aderire a questa offerta? Solo per eleggere un po’ di rappresentanza parlamentare? Garantirsi come ceto dirigente? Senza alcuna discontinuità verso il passato? E, soprattutto, dopo otto voti di fiducia su una pessima legge, che aiuta solo le coalizioni altrui, nonostante Speranza avesse detto: fermate l’iter del Rosatellum e si può discutere di contenuti?

La categoria renziana principale è quella dell’utilità. La gente, a Renzi, serve o meno. A lui piacciono le cose e le persone ‘spendibili’, che ritornano in termini di voto, di consenso, di teste chine e di cappello in mano. Offre in cambio carriere, visibilità, successi, seggi, ma non dà nulla in termini di contenuti. Nessuna abiura, appunto, delle cose fatte o dette prima. Guai a toccare il jobs act, che ha prodotto il 93,3% di precarietà con molti soldi pubblici sgravati all’imprese (oltre 20 miliardi di euro). Guai a toccare la montagna di chiacchiere, i numeri alla rinfusa, le spacconate da outsider: se vuoi fare l’unità col PD ti devi accollare tutto, prendere o lasciare. O così o pomì, diceva la vecchia pubblicità. Aut aut, in termini più colti. Ma poco cambia. L’immagine che ne viene è quella di una classe dirigente assetata di potere e sottopotere, pronta a tutti gli accordicchi elettorali possibili, che nemmeno considera i contenuti, tanto è concentrata sugli scranni per sé e i ‘suoi’.

I commentatori parlano di gioco del cerino, a proposito del confronto Renzi/sinistra di queste settimane: ognuno punterebbe a far bruciare l’altro, ad addossare all’altro la responsabilità della mancata ‘unità’. Non sanno che il cerino potrebbe avere anche un altro significato, ossia quello di certificare che, a queste condizioni, l’accordo elettorale i renziani se lo possono anche tenere, che è meglio scottarsi che partecipare alla canea delle spartizioni elettorali delle liste e dei collegi col PD, che se non c’è discontinuità con le politiche di questi ultimi quattro anni orribili (che è poi la sola, vera, unica ragione possibile di un accordo politico) restare col cerino in mano, per la sinistra, sarebbe un merito, un segnale, una certificazione, una condizione per ricominciare subito con le idee più chiare. Vorrebbe dire che si è tirata una linea, e che non si fanno ammucchiate tanto per farle, né non si dà credito a Renzi oggi per ritrovarti a fianco, domani, lo stesso ‘spaccone’ di prima. Vorrebbe dire che senza contenuti chiari, nero su bianco, che attestino un’abiura, un salto, una soluzione di continuità non ci si deve mettere nemmeno a sedere. Le aperture strampalate e insincere del segretario del PD, alla fine, sono fonti di ulteriore legittimazione. Il cerino stavolta potrebbe scottare chi non ce l’ha.

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