L’austerity fa male ai bilanci

per Gabriella
Autore originale del testo: Ferdinando Di Napoli
Fonte: pagina 99
Url fonte: http://www.pagina99.it/news/economia/7104/-Ue--l-austerity-fa.html

di Ferdinando Di Napoli, da pagina99 6 ottobre 2014

Un rapporto del prestigioso think-tank europeo Bruegel condanna senza mezzi termini la politica europea di rigore di bilancio. Questa ha rallentato la crescita anche nei paesi dove non c’era bisogno di tagli alla spesa e determinato un aumento dei deficit nazionali. Politiche monetarie di stimolo come quelle scelte negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno prodotto risultati migliori.

Bruxelles – Continuando con l’implacabile austerity all’unisono in tutta l’eurozona senza adeguati stimoli all’economia la crisi si avviterà in modo sempre più pericoloso. Solo con il Patto di Stabilità non se ne esce, i debiti pubblici continueranno ad aumentare e così pure la deflazione. E per l’Italia meglio sarebbe una ristrutturazione del debito per liberare risorse per massicci stimoli all’economia che continuare con anni di rigore che altro non faranno che aumentare il debito e la deflazione.

E’ di uno dei più prestigiosi think-tank internazionali, il Bruegel di Bruxelles, che in un recente studio americano è stato classificato il secondo miglior centro studi di politica economica internazionale dopo il celebre Brookings Institution di Washington. A dirigerlo, per la cronaca, è un economista tedesco proveniente da Bundesbank e Commissione Europea, Guntram Wolff. Lo studio – intitolato “Austerity Tales: the Netherlands and Italy” – è stato realizzato da Ashoka Mody, un economista indiano già vicedirettore al Fondo Monetario Internazionale per il dipartimento sull’Europa, insieme a un giovane ricercatore italiano, Giulio Mazzolini.

Lo studio è in sostanza una sonora bocciatura della politica anti-crisi in salsa germanica seguita in questi anni. «Poiché l’austerity ha portato al crollo della crescita – si legge – il rapporto tra debito e Pil è oggi molto più elevato del 2010, né è calato il debito privato». Peggio: «i tassi di debito pubblico non solo sono cresciuti, ma hanno superato le previsioni. E tassi di debito più elevati delle previsioni sono stati accompagnati da un’inflazione più bassa del previsto, sottolineando l’azione di un ciclo deflazionistico specifico per paese». Ed ecco la forte critica alla politica anti-crisi dell’eurozona: qui «lo strumento più pro-attivo per affrontare la crisi è stata la politica di bilancio perseguita nel quadro del Patto di Stabilità e crescita. Questo incrollabile attaccamento all’austerità di bilancio, nonostante le sue conseguenze negative per la crescita, è emerso da un approccio all’insegna dell’”aspetta e guarda”». L’errore, avverte Bruegel, è soprattutto che, a differenza di Usa e Regno Unito, «le autorità dell’eurozona sono rimaste restie ad utilizzare la politica monetaria in modo aggressivo per fornire stimolo economico» (qui il riferimento è soprattutto all’era del predecessore di Mario Draghi alla Bce, Jean-Claude Trichet).

Gli effetti sono comunque nefasti, si evince dallo studio, a cominciare dall’Italia. «Nel 2010, un documento del Fmi avvertiva che un livello di debito pubblico di oltre il 120% del Pil era divenuto insostenibile. Mentre il debito, in linea di principio, può esser ridotto attraverso consolidamento di bilancio – scrivono i due economisti – l’austerity necessaria (per ridurre l’immenso debito italiano, n.d.r.) sarebbe stata così ampia da essere inaccettabile politicamente. Oggi il livello di debito italiano ha superato il 135%, e il monito (del Fmi n.d.r.) si applica con ancora maggior forza».

Lo studio Bruegel viola senza problemi un sacro tabù: «per l’Italia – si legge – uno sforzo tempestivo per delineare una ristrutturazione del debito pubblico, per quanto una decisione controversa, avrebbe consentito più margini per allentare il peso dell’austerity e creare le condizione per una più solida crescita. Evitare questa scelte potrebbe rivelarsi particolarmente infelice qualora alla fine la ristrutturazione del debito dovesse rivelarsi inevitabile». Tradotto: meglio ristrutturare il debito che continuare con anni di rigore che non farebbero che peggiorare la crisi.

La critica è anche a quei paesi che hanno attuato politiche di rigore pur senza averne bisogno, vista la buona posizione di bilancio. E’ il caso dell’altro paese citato nello studio, l’Olanda, che dal 2009 ha attuato una dura politica di austerity pur essendo il suo debito pubblico praticamente in linea con i parametri di Maastricht (allora il 61% del pil). Grave errore: «per l’Olanda – si legge nella ricerca – l’austerity è stata gratuita. Al suo livello relativamente basso di debito pubblico,  il paese si sarebbe potuto permettere uno stimolo di bilancio. Il Pil sarebbe stato più elevato e il livello di debito più basso». Invece «oggi l’Olanda deve affrontare un problema di debito pubblico più serio (siamo a circa il 75% del pil n.d.r.) e con un immutato carico di debito privato. Insieme, questi due fattori continuano a frenare la crescita».

Perché il punto di fondo dello studio guidata dall’economista indiano è che dalla crisi si esce solo con lo stimolo di bilancio e non attuando tutti insieme allo stesso tempo misure di rigore. «Una politica di più moderata austerity – si legge – ovunque nell’eurozona, con stimolo attivo in alcuni paesi, avrebbe pagato dividendi. Tale approccio avrebbe creato una politica di bilancio più stimolante in tutta l’eurozona e sarebbe stata di particolare beneficio visto che le economie europee hanno così intensi scambi commerciali tra loro. Il rilancio della domanda interna sarebbe stata amplificata dal commercio. L’andamento della crescita in tutta l’eurozona sarebbe stato superiore, il che avrebbe aiutato a ridurre il debito con minore austerity». Soprattutto, si capisce dallo studio, è stato deleterio che anche paesi “sani” come l’Olanda (e come anche la Germania) – che pur potrebbero permetterselo – mantengano una politica di rigore: se questi paesi facessero ripartire la loro domanda interna sarebbe un bene per loro e per l’intera eurozona. Per ora, però, pare non l’abbiano ancora capito.

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