“L’austerità di oggi e quella che pensava Enrico Berlinguer”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Pino Coluccia

“L’austerità di oggi e quella che pensava Enrico Berlinguer.”

Sul finire degli anni’80, Enrico Berlinguer, l’allora Segretario del Partito Comunista Italiano parlò, a fronte alla crisi dei rapporti sociali che s’intravedeva all’orizzonte ed alle potenzialità della ennesima rivoluzione tecnologica, della necessità di un nuovo modello di sviluppo dell’Occidente capitalistico, basato su un nuovo ordine mondiale che riconoscesse il peso ed il ruolo globale di nuove e vecchie potenze (Cina, Russia, India, Brasile, ecc.), emerse nell’economia e nella politica globale, sulla giustizia sociale e su di un’austerità che contenesse sprechi e distruzione di risorse, distribuendo una eccessiva accumulazione di risorse in poche mani. Lo si derise e fu scelta la disastrosa via del libero mercato e la prevalenza dell’interesse privato su quello pubblico. Gli esiti di tutto ciò sotto gli occhi di tutti: la distruzione di qualsiasi controllo pubblico sull’economia capitalistica, il “laisser faire” a chi poteva e l’arrangiarsi da se a chi non poteva, il susseguirsi di eventi e atti disastrosi dalla crisi finanziaria del 2008 fino alle guerre odierne ed alla ripresa del riarmo globale, con l’aggravarsi di crisi ambientali, energetiche e sanitarie. Come già successo in altre fasi storiche, di fronte a queste distruzioni ed alla incapacità e non volontà delle classi borghesi, detentrici di tutti i poteri, economici, politici, mediatici, di risolvere questi problemi, toccherà di nuovo alla sinistra, che si presenterà in forme e con contenuti nuovi, gestire una possibile uscita. Ma l’impressione è che i problemi, cioè le contraddizioni legate al conflitto sociale e ambientale siano sempre più acute e di difficile ricomposizione in chiave riformista, cioè in tempi medio-lunghi e solo con compensazioni distributive (socialdemocratiche o liberal democratiche). Ormai i nodi sono strutturali e radicali e rendono sempre più evidente la contraddizione fondamentale, quella tra sviluppo delle forze produttive globali e rapporti sociali di produzione privati, cioè, per quest’ultimi, la detenzione globale, ma ristretta a pochi privati, delle risorse umane, tecnologiche e naturali proprie dell’umanità. È questa pretesa di un possesso esclusivo di queste risorse che sta portando ad una guerra continua e globale (il Papa parla esplicitamente di una terza guerra mondiale in corso), come mezzo per imporre a tutti i popoli del mondo, proprio tutti, anche quelli facenti parte della cosiddetta area occidentale sviluppata, il proprio dominio. Il potere è quello di chi maggiormente possiede che oggi si configura nelle forme globali o multinazionali e appare esentato da qualsiasi responsabilità sociale ed umana, guidato dalla sola accumulazione privata. Il potere politico, gli Stati, la politica come forma di governo di tutti e per tutti, imperniata su scale inappropriate ed ormai autocratiche, nazionali e personalistiche, non ha la forza di incidere minimamente su questi poteri. La causa sono le divisioni tra essi, le contrapposizioni militari, i conflitti, le chiusure protezionistiche e razziali, le diverse condizioni di sovranità, subalternità e autonomia dei singoli Paesi e tutto ciò avvantaggia, secondo il detto latino, divide et impera, questi poteri super centralizzati e gerarchizzati che detengono gran parte della ricchezza prodotta dall’umanità. Questo è il punto da dove ripartire. Ad maiora..

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