L’aratro della politica, dopo il potere per il potere

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 6 marzo 2017

Dopo Stefano Folli e Claudio Tito, in una escalation inesorabile, è stato sabato Ezio Mauro a mettere il sigillo finale al ribaltamento di giudizio operato da ‘Repubblica’ verso l’ex enfant prodige Matteo Renzi. Se possibile, Mauro è stato ancor più duro dei precedenti: “la Presidenza del Consiglio non meritava qualche ambizione in più di una gestione toscana degli appalti”, con il premier rinchiuso nella “cerchia ristretta di un Consiglio Comunale in gita premio a Roma”? E ancora: “Renzi è calato sul PD come un raider […] lasciando che rivoli di interesse pubblico zampillassero verso congreghe familiste o amicali, con al centro il potere, il denaro, gli appalti”. Lo stesso Renzi avrebbe utilizzato “il PD come un taxi per arrivare a palazzo Chigi”, e sarebbe vittima di un “attrazione fatale per gli imprenditori e le banche”. Parole pesantissime, durissime, inequivocabili. Il giudizio del partito di ‘Repubblica’ è sferzante e ultimativo. Solo Scalfari, mi pare, ancora resti attardato rispetto ai suoi.

Ma se è così, qualcosa in più andrebbe concesso ai dirigenti, ai militanti, al popolo uscito dal PD dopo anni e anni di denunce assolutamente simili a quelle che adesso fioriscono, invece, sulle bocche di tutti. Andrebbe riconosciuto come la cosiddetta ‘scissione’ (ancorché diffusa) non sia il frutto di ambizioni personali, di una brama di ‘posti e ‘poltrone’, né nascerebbe perché Renzi (questo Renzi!) avrebbe negato un’adeguata rappresentanza parlamentare alla cosiddetta minoranza. Bisognerebbe uscire dalla cialtroneria di dire che si tratta solo di casi personali, di interessi particolari, carrieristici oppure di ‘nostalgie’, ideologismi, di vecchi tromboni che non capiscono l’innovazione né la ventata di novità (avete visto che novità, peraltro!) rappresentata dal renzismo. No, le cose stanno in un altro modo, e come stiano è adesso chiaro a tutti, senza infingimenti. Quasi con crudeltà. E dovrebbe esser evidente come molti, in questi anni, abbiano sostenuto a spada tratta l’ex premier per ragioni di tornaconto, di opportunità o di carriera tout court. Con cinismo, devo dire, pari solo a chi vive ormai la politica come mera questione personale e basta.

Rileggete gli ultimi tre-quattro anni trascorsi, quindi, con questa nuova lente, di cui ‘Repubblica’ offre una versione quasi spietata. Rileggeteli. E vedrete quante ragioni sono dalla parte di chi è stato spesso vessato come vecchio gufo, mero rosicone, sabotatore, rompicoglioni, e invece aveva ragioni da vendere. Di chi avrà anche commesso errori di valutazione o manifestato poca tempestività, ma che oggi ha dalla propria parte l’onore di aver capito tutto prima, non aver pattuito nulla, non aver cercato il compromesso al ribasso, non aver anteposto l’interesse della propria carriera a quello del Paese e della saggezza politica. Per questo, chi è fuori dal PD, adesso, ha il compito forte e tremendo di avviare un processo di ricostruzione, di mettere in moto una fase costituente che rilanci la sinistra nella sua pluralità, nelle sue culture, nel suo meglio e per quanto di buono ancora possiede, lavorando per rigenerare una cultura politica in debito di ossigeno e per rimotivare donne e uomini che, variamente collocati, alla base o al vertice, attendono impazienti una direzione da tracciare. Uno zenit che aiuti una navigazione incerta, perigliosa. E si sa che la politica, nella sua sostanza, è fatta di direzioni da imprimere, non quelle in streaming con l’omino che parla due ore, ma quelle che segnano il solco e indicano una prospettiva, come una volta l’aratro dei nostri nonni, compreso il mio.

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