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di Franco Cardini – 1 gennaio 2017
Carissimi Amici,
anzitutto, sinceri auguri a tutti. I miei corrispondenti esperti in segni e simboli, o comunque ad essi attenti, mi segnalano concordi un anno pieno di buoni auspici. Secondo l’oroscopo cinese l’anno in corso, che comunque inizierà il 28 p.v., sarà l’Anno del Gallo, un anno di fortuna per tutti. Ancora, la coincidenza tra il primo giorno dell’anno e la domenica, e il fatto che il primo mese dell’anno avrà potrà contare su cinque domeniche – cosa non comune nel nostro calendario – sembrano tutti segnali di fortuna e di prosperità. A dire il vero io sono alquanto superstizioso, sebbene come cattolico non dovrei esserlo e anche se in fondo sospetto che in me tutto ciò si trasformi in una specie di gioco abbastanza innocuo (non cominciar nulla di martedì e di venerdì, evitare il 13 e il 17, far attenzione ai gatti neri che attraversano al strada: per quanto il mio amatissimo gatto Cagliostro, che mi ha fatto compagnia fra 1983 e 1998 e la foto del quale è incorniciata sul mio tavolo da lavoro, accanto a quelle dell’imperatore Francesco Giuseppe e di pepa Giovanni Paolo II, fosse appunto nero; ma è notorio che i gatti neri in casa portano bene). Debbo insomma ammettere che i buoni auspici mi fanno piacere, mi mettono di buon umore, che non sono veri ma ci credo: spero non si tratti di nulla di troppo grave a livello psicologico.
Certo, la notizia che ci ha accolti stamattina appena alzati, il tragico attentato d’Istanbul con molte decine di vittime, non è stata un buon auspicio: e mi ha colpito sgradevolmente il fatto che in tutto il mondo occidentale, a parte la consueta teoria delle condoglianze di rito, questa ennesima prova che il terrorismo internazionale sia tutt’altro che sconfitto non abbia sollevato alcun particolare scalpore. Ho letto sui giornali e ascoltato in TV commenti dai quali in fondo traspariva un sentimento del tipo che in fondo queste cose Erdoğan se le è andate a cercare – come se fosse morto lui nell’attentato, non un sacco d’innocenti molti dei quali giovanissimi -, tanto più che (questo è il punto) è un presidente-golpista, un dittatore, e ormai si è messo con Putin. Per cui qualcuno pensa che, tutto sommato, è abbastanza irrilevante se a commettere l’attentato siano stati dei militanti del Daesh o del PKK o del fronte gülenista.
Il che, invece, a dir la verità non è irrilevante per nulla. I gülenisti continuano ad essere non loro complesso un soggetto abbastanza misterioso, e non è affatto chiaro a quale gioco stiano giocando; l’attuale rapporto tra Erdoğan e il neopresidente Trump è a sua volta difficilmente leggibile, e senza dubbio dipende e ancor più in futuro dipenderà dall’atteggiamento che ciascuno di loro sceglierà di adottare nei confronti dell’asse russo-siriano/assadista-iraniano che sembra ogni giorno più consolidarsi e che costituisce la vera novità dello scacchiere vicino-mediorientale. Un asse che del resto risponde, e sembra rispondere a tono, al trend che fino a qualche settimana fa sembrava prevalente nelle cose appunto vicino-orientali, e alla luce del quale tutto o quasi faceva prevedere come prossima una ridefinizione geopolitica del quadro di tutta la regione compresa tra Mar di Levante e fiume Tigri che avrebbe modificato profondamente il già non felice quadro dei nuovi “stati nazionali” emersi dalla conferenza di Parigi del 1919-20 sulla base dell’accordo Sykes-Picot del 1916 proponendo un rimedio peggiore del mare, quello dell’emergere di entità statuali o microstatuali nuovi ispirati al principio etnoreligioso: in pratica il frazionamento della Siria magari con il riemergere dello staterello siro-alawita nell’ovest degli attuali confini (e sembra proprio difficile persuadere i russi a sloggiare dalle basi navali di Tartus e Lattaqiya) e con il “ritorno” dell’Iraq ai confini dei tre governatorati ottomani (uno settentrionale per i curdi, uno centrale per gli arabi sunniti, uno meridionale per gli arabi sciiti). Il che, se non altro, finirebbe con il dare un senso al Daesh, condannato a scomparire o destinato a metabolizzarsi in stato irakeno-sunnita addossato ai confini con l’Iran, che poi è in fondo quel che Arabia saudita e Qatar auspicherebbero nell’ambito della loro fitna sunnita.
Un quadro poco confortante, anzi allarmante. Ma è alquanto antipatico lo scoprire che i media europei, che ormai sembrano a loro volta orientati ad ammettere questa probabilità, ne addossino la responsabilità appunto all’asse assadista-iraniano, quindi sciita, fingendo di dimenticare quel che invece i curdi (sunniti) hanno a loro volta capito benissimo, vale a dire che essa spetta alle “potenze regionali” sunnite, cioè Arabia saudita e Qatar in prima istanza, Egitto e almeno fino alla recente e non si sa quanto decisa sterzata filorussa anche Turchia: per tacere d’Israele che si mantiene in disparte e alla quale è sufficiente che non sia messo in seria discussione il suo possesso del Golan, area strategica e riserva idrica (e forse anche energetica) fondamentale. D’altra parte la fitna sunnito-sciita sembra a sua volta aver dato il colpo di grazia anche alla compagine palestinese, già paralizzata dall’ostilità tra Hamas e OLP che sembra aggravarsi nella misura in cui Hamas non rinunzia all’appoggio degli sciiti di Hezbollah. Il che, unito al fatto che le potenze regionali arabo-sunnita sono tutte con sicurezza allineate nell’alleanza con gli USA e gli occidentali, fa sì che ad ogni buon conto la “neutralità” israeliana sia alquanto imperfetta: cioè inclini comunque a favore dell’asse sunnita.
Tutto è comunque alquanto insicuro. In tutta questa faccenda oggi c’è un’incognita: il jolly Trump. Per ora, non sappiamo affatto che cosa ci sia dietro alle sue ossimoriche dichiarazioni al tempo stesso filorusse e antiraniane, che prospettano una posizione diplomatica obiettivamente contraddittoria e insostenibile. Inoltre, egli deve al suo elettorato e a tutti noi un ulteriore, ancor più importante chiarimento riguardante che cos’egli intenda fare della NATO, che non può reggersi senza un determinante impegno strategico, diplomatico ed economico statunitense e quindi senza la diretta egemonia USA. Come reagirebbero gli stati membri dell’alleanza atlantica se davvero il presidente decidesse di non tollerare ulteriormente la presenza al suo interno di stati i governi dei quali siano morosi nei loro pesanti contributi al mantenimento di essa? O se decidesse unilateralmente che tale alleanza non lo interessa più? E’ uno scenario molto remoto e improbabile, ma se fantafuturologicamente cerchiamo di figurarcelo si configura come uno sconquasso senza precedenti.
Ci vorrà ancora tempo per scoprire in che direzione ci stiamo movendo. Il presidente francese Hollande, noto scopritore dell’acqua calda, nel suo messaggio di capodanno ai francesi ha affermato testualmente che viviamo in un momento delicatissimo, nel quale da un momento all’altro potrebbe succedere qualunque cosa. Frattanto, proprio in Francia, qualcosa di nuovo sembra emergere. I soliti “osservatori intelligenti”, fauna postgaullista o gauche caviar che siano – per intenderci, quelli che nel 2011 sono stati in determinante prima linea nel regalarci con Sarkozy la crisi libica e con Hollande e gli Amis de la Syrie quella siriana e che, dinanzi ai cumuli di morti e di macerie che hanno provocato, non danno il minimo segno di vergognarsi -, sembrano aver fatto una nuova Pesca Miracolosa. Hanno a quanto pare individuato il nuovo Nemico Metafisico. Perché, diciamo la verità, tutti quelli precedenti sembravano ormai esauriti come limoni spremuti. Chi è il Grande Responsabile di Tutti i Mali del Mondo, il Mostro da Sbattere in Prima Pagina, essendo sottinteso che la cultura della Modernità, soprattutto nella sua versione liberal-liberista, non ha per definizione responsabilità alcuna che non sia positiva, è cioè meritevole di aver diffuso Libertà, progresso, Ricerca della Felicità, ma è estranea e irresponsabile (nel senso etimologico del termine) dei costi che di tutto ciò sono stati addossati alle altre culture, mentre i vantaggi venivano sfruttati solo dalla nostra?
E’ vero: talvolta siamo costretti ad ammettere qualche addebito. Ma, ragioniamo, si è detto: era ad esempio proprio frutto della grande civiltà occidentale il nazismo, o era piuttosto un salto all’indietro, nel buio medioevo? Lo era il bolscevismo, o era piuttosto un tuffo nella sanguinosa utopia? E quella parte della Modernità che ha partorito schiavismo e intolleranza, era davvero roba che riguardi il main stream di esso, lo sviluppo delle libertà individuali? Non ci giocavano piuttosto fattori atavici e – appunto- “medievali”, come si è visto nella crociata e nell’inquisizione? E dallo schiavismo, non ci siamo redenti con la guerra civile americana del 1861-65? E il razzismo, e il colonialismo, non li abbiamo forse ripudiati? Insomma, se nonostante le nostre buone intenzioni qualcosa è andato storto, di chi la colpa? Certo di qualche “corpo estraneo”. Chi è stato a far andar male le cose, nonostante le nostre buone intenzioni?
Dal 1945 è stato il nazismo, e va bene; poi, a partire dagli Anni Novanta, l’Unione Sovietica, e va bene anche quella; poi sono arrivati, nell’ordine, al-Qaeda e Bin Laden, quindi Saddam Hussein e le sue “terribili armi segrete di distruzione di massa” sulle quali hanno giurato in tanti (compreso, purtroppo, un rispettabile soldato come Colin Powell prestato purtroppo alla politica) prima che il premier Blair, messo alle strette dal parlamento britannico, candidamente confessasse che tra Bush jr., lui e la rispettiva cricca di fantasiosi collaboratori si erano inventati tutto. Dopo Saddam Hussein, si era arrivati a un momento di stallo: le riserve di fantasia di Lorsignori parevano esaurite: fortuna che all’orizzonte irakeno-siriano è arrivato l’IS, ch’era meglio chiamare ISIL, anzi ISIS, finché si è appurato che la sigla migliore e più labelly correct sarebbe chiamarlo DAESH, o per la verità piuttosto DAIISH(per Dawla Islamyya Iraki wa al-Shamm), insomma il “califfato” di al-Baghdadi. Che è stato fatto tranquillamente prosperare per ormai circa due anni e mezzo combinando guai e infamie paragonabili al moral bombing di Churchill e Harris tra ’43 e ’45 (lo stesso amore per le opere d’arte, la stessa preoccupazione per le vite degli innocenti…), anche se adesso sembra quasi arrivato al capolinea: ha destabilizzato abbastanza le cose per rendere necessaria una ridefinizione generale di stati e di confini come quella che si sta prospettando. Ma fingere che non sia successo nulla – compresa d’ormai dimenticata manipolazione delle cosiddette “primavere arabe” e accusare di tutto quello che potrebbe di qui a poco venir indicato come il Nuovo Asse del Male, quello Mosca-Damasco-Teheran, sembra davvero eccessivo. Eppure è quanto si sta cercando di legittimare: e finché lo afferma Bernard-Henry Lévy, passi. Il punto è che, stando a recenti dichiarazioni alla TV francese e perfino al nostro “Corriere”, ci si sta mettendo perfino uno studioso serio e tanto autorevole quanto riservato e discreto come Gilles Kepel, il medesimo che aveva additato a tutti il problema della fitna intramusulmana quando a conoscerlo erano solo pochi specialisti. Sono questi i connotati della nuova Guerra Fredda, che sta diventando a onor del vero Tiepida? E’ ragionevolmente auspicabile che resti appuntoTiepida, o la sua temperatura è destinata a salire? E quali ne saranno gli schieramenti, visto che anche da questo punto di vista le carte sembrano mischiarsi di nuovo? E’ quanto apprensivi ci domandiamo noialtri, impotenti osservatori di quel che sta bollendo nel pentolone magico della politica internazionale.