L’ambivalente modernità

per Gabriella

 

LA SCIENZA DELLA LIBERTA’ – DI ZYGMUNT BAUMAN – ed.  ERIKSON

da Il Manifesto, di Benedetto Vecchi,  1 luglio 2014

A Zyg­munt Bau­man non difetta la scan­zo­nata ten­denza a met­tere in rela­zione campi disci­pli­nari, attorno ai quali sono state costruite mura stret­ta­mente sor­ve­gliate dai padroni della pro­du­zione sociale della cono­scenza. I suoi libri sono costel­lati da rife­ri­menti let­te­rari, filo­so­fici, eco­no­mici, tele­vi­sivi e cine­ma­to­gra­fici. E tut­ta­via lo stu­dioso di ori­gine polac­che non si stanca mai di ripe­tere che in fondo lui è solo un socio­logo, una disci­plina che può aiu­tare a com­pren­dere il fun­zio­na­mento della società. Ed è pro­prio dallo sta­tuto disci­pli­nare che prende le mosse il libro-intervista di Bau­man con Michael Hviid Jacob­sen e Keith Tester che ha come titolo La scienza della libertà (Erik­son edi­zioni, pp. 160, euro 15).

Non è però la socio­lo­gia la scienza della libertà, anche se in pas­sato è stata così rap­pre­sen­tata. Tanto gli inter­vi­sta­tori che l’intervistato sono con­sa­pe­voli che le cosid­dette scienze sociali sono stati spesso uno stru­mento nelle mani del «potere costi­tuito» per costruire il con­senso a un ordine sociale. Eppure riten­gono che la socio­lo­gia possa con­ti­nuare a svol­gere un ruolo rile­vante nella com­pren­sione delle rela­zioni sociali. A patto, però, che la socio­lo­gia sia con­sa­pe­vole che la neces­sa­ria dimen­sione quan­ti­ta­tiva e le astra­zioni su cui pog­gia sono un modo diverso di rap­pre­sen­tare la vita, gli affetti, le pas­sioni di uomini e donne al pari della let­te­ra­tura, della cine­ma­to­gra­fia. Con alcune affer­ma­zioni di Bau­man che susci­tano mera­vi­glia negli inter­vi­sta­tori. Come quando il car­to­grafo della moder­nità liquida sostiene che ci sono, sto­ri­ca­mente, alcuni romanzi che hanno avuto la capa­cità di cogliere la realtà sociale più di un trat­tato sullo stato nazione o sulle classi sociali.
Que­sto libro-intervista può essere con­si­de­rato in due maniere. La difesa, intel­li­gente e sofi­sti­cata, di una disci­plina acca­de­mica for­te­mente con­te­stata negli anni pas­sati pro­prio per­ché usata dal potere costi­tuito. Oppure può essere letto come un testo che sot­to­li­nea l’ambivalenza che carat­te­rizza la moder­nità liquida. È que­sta seconda carat­te­ri­stica, pre­sente in maniera rile­vante nelle pagine del volume, che svela il carat­tere «aperto» della rifles­sione di Bau­man. Aperta a essere smen­tita, certo, ma anche tesa a misu­rarsi con temi, argo­menti con­si­de­rati «minori» pro­prio dalla socio­lo­gia, come le rela­zioni amo­rose, i talk show, il cini­smo di massa e i sen­ti­menti che accom­pa­gnano la moder­nità liquida (il risen­ti­mento, l’opportunismo, il rifiuto di una etica pub­blica). Rispetto a ciò, Bau­man è con­sa­pe­vole che le fonti a cui attin­gere mate­riali non hanno nulla a che fare con l’ammasso di dati sta­ti­stici o le «astra­zioni» delle disci­pline acca­de­mi­che, ma sono mate­riali grezzi, poco lavo­ra­tivi, che resti­tui­scono tutto ciò che la socio­lo­gia a sem­pre rite­nuto ines­sen­ziali: i sen­ti­menti. Da qui la cen­tra­lità della loro ambi­va­lenza.
Da que­sto punto di vista l’ambivalenza rivela il suo potere espli­ca­tivo delle rela­zioni sociali. L’esempio più ricor­rente in Bau­man è il con­sumo. L’acquisto dell’ultimo gad­get tec­no­lo­gico o il ricam­bio vor­ti­coso del pro­prio guar­da­roba sono certi com­pren­si­bili all’interno dei mec­ca­ni­smi di ripro­du­zione dell’ordine sociale eco­no­mico, ma hanno anche a che fare con una ten­sione alla libertà che non può essere fret­to­lo­sa­mente liqui­data come una colo­niz­za­zione delle coscienza da parte del capi­tale. Il con­sumo è un atto ambi­va­lente, per­ché pre­fi­gura domi­nio, ma anche ricerca della libertà. È que­sta ambi­va­lenza dei feno­meni sociali e delle moti­va­zioni per­so­nali che ha potere per­for­ma­tivo.
«La scienza della libertà» risiede non tanto nella can­cel­la­zione dell’ambivalenza, ma nella sua for­za­tura in una dire­zione o nell’altra. Tra domi­nio e sot­tra­zione dal potere, Bau­man tut­ta­via non sce­glie. Man­tiene «aperta» la sua rifles­sione a esiti ancora non con­tem­plati dal les­sico poli­tico. Ma è pro­prio in que­sta aper­tura che si pos­sono accen­tuare i punti di rot­tura, di fuo­riu­scita dall’ordine sociale domi­nante. Una pro­spet­tiva che potrebbe essere accolta da Zyg­munt Bau­man con un sor­riso venato da un amaro disincanto.

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