L’amatriciana all’italiana

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 10 dicembre 2014

Ha ragione Stefano Folli oggi su ‘Repubblica’ a dire che “il buco nero di Roma rischia di essere il detonatore di un fallimento insostenibile della politica”. È così. Non dice che la politica è già stata sconfitta da altri innumerevoli attori: la tecnica, la finanza, la comunicazione, e oggi pure la criminalità. ‘Sconfitta’ significa ‘privata di autonomia’. Le leggi e le regole che governano l’azione politica non sono più quelle endogene che la politica stessa si è data sin dapprincipio. La rivoluzione è stata consistente. Da tempo la classe politica è sottoposta al giogo della comunicazione, subisce i mutamenti di scenario prodotti dalla tecnica, sbanda dinanzi ai contraccolpi impressi all’economia dalla finanza. Roma oggi dimostra che la criminalità governa pezzi consistenti della politica, asservendone (è il caso di dire) taluni interpreti. E siccome parliamo della Capitale di questo paese, il luogo dove c’è la rappresentanza, c’è il governo e dove ogni giorno vi si recano e agiscono mille parlamentari provenienti da ogni dove, il discorso non può essere circoscritto ed esorcizzato dalla formula ‘mafia all’amatriciana’. Sarebbe cieco e insulso. La Capitale esporta e importa il male che circola nella politica come in ogni altra attività umana. Qui c’è il terminale di un modus operandi che, a mio parere, ha infettato tutto (che non vuol dire sino a questo picco di criminalità, ma di certo secondo queste logiche e questa perfida prassi) ed è solo imploso per la debolezza progressiva e finale della politica verso il cinismo criminale. Ma sarebbe sbagliato ritenere che basti porre in quarantena questa città sporca e meravigliosa, per salvare le anime dei tanti non romani che giudicano le nostre attuali miserie pubbliche. Ha ragione Folli, qui c’è un buco nero che potrebbe risucchiare tutto, senza guardare in faccia nessuno. L’intero sistema politico e istituzionale. E non basterà fare la faccia ruvida, indignata, e rispondere con le leggi della comunicazione (l’annuncio via tv) al male, che, lo abbiamo visto, è pure effetto di ingordigia mediale. La politica traviata dagli eccessi comunicativi, dallo strapotere della finanza, dalla subordinazione alla tecnica e ai poteri criminali dovrà rispondere tornando a impugnare di nuovo la sua autonomia e la sua soggettività. Liberandosi dagli stili che non le competono. Basta annunci, basta genuflessioni verso il denaro, basta con l’idea che lo strumento sia tutto e la soggettività delle persone nulla.

Riconquistare autonomia, dunque. Che vuol dire: via le primarie, quelle sì, all’amatriciana. Stop alla verticalizzazione forzata dei mandati, dei poteri, di ogni scelta. Via l’ultra maggioritario, via i listini bloccati, via i clan e le confraternite. Riavvicinare le istituzioni al popolo: che non significa porte aperte al Quirinale, ma un nuovo concetto di rappresentanza, un ritorno a forme di partecipazione quasi di strada, una riforma anche linguistica (per dire: via le metafore calcistiche, via le italianizzazioni degli inglesismi) e i media tornino a essere, almeno nelle intenzioni, degli strumenti, non gli attori in campo (con la riduzione a strumenti, purtroppo conseguente, dei cittadini). I partiti siano rifondati orizzontalmente, ritrovino ragioni di esistenza nei circoli, nelle case, nelle strade, nelle piazze, e non nei talk show o nelle riunioni in streaming. Anzi: spegnete i riflettori sulle direzioni e accendeteli sul patto del Nazareno, ecco la prima riforma da fare! La politica, peraltro, non è solo conquista del potere, ma la sua gestione assennata e partecipata. E invece il dominio della comunicazione imprime l’idea che tutto si riduca a vincere comunque sia, anche con una ‘quintalata’ di astensioni, che poi a governare ci pensiamo noi, quelli eletti nei listini bloccati. L’altra riforma è spostare l’asse dalla quantità alla qualità: che non vuol dire abolire i numeri, ma rafforzarli con lo spessore, la profondità, il pensiero, la ricerca, l’umanità, le persone, i sentimenti, le ragioni e l’ascolto. Riportare nel suo recinto la comunicazione, guru compresi, che vuol dire ridurre lo spazio dell’emissione per ampliare quello della ricezione (oggi che la ricezione si è ridotta ai sondaggi e, causa astensione, sempre meno si esprime nelle urne). E poi ridare vigore all’idea che è la critica il vero strumento per trasformare, non la pedissequa osservanza della leadership, non il conformismo dei comportamenti, non il gregge delle future quaglie. Ché anzi proprio il dominio della comunicazione-politica produce conformisti e bravi seguaci, proprio l’idea che la comunicazione sia solo una strategia che ‘emette’ e sempre meno ‘riceve’ contribuisce a generare il mostro dell’ideuzza unica. Al fondo di tutto, però, c’è sempre la necessità di riaprire i canali di comunicazione (questo sì) con i cittadini in carne e ossa. Non c’è migliore anticorpo della partecipazione contro il virus del cinismo, non c’è migliore rimedio dei partiti di massa per generare questi anticorpi. Si dirà: sono cose che non stanno né in cielo né in terra, sono cose del tutto inattuali, il mondo va da un’altra parte. Ma non c’è miglior rimedio dell’inattualità per aggredire davvero il presente, criticarlo a forza, non abituarsi alle nefandezze quotidiane e mettere mano al male che ci sta attorno. Questa è roba da vincenti, non le giaculatorie verso il Capo.

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