Fonte: huffingtonpost.it
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di Simone Oggionni, 11 agosto 2014
Matteo Pucciarelli ha colto il punto. E mettere la testa sotto la sabbia non serve a nulla, anche se siamo quasi a Ferragosto e qualche fortunato in spiaggia c’è per davvero. Matteo si è chiesto che fine abbia fatto la lista Tsipras e, apriti cielo, ha scatenato le reazioni stizzite di molti.
Come nella migliore tradizione, infatti, chi problematizza sabota, chi puntualizza rema contro. Ma il problema non è questo, anche perché la chiusura a riccio di fronte alle riflessioni critiche è, in politica, in una certa misura una forma di reazione congenita ai gruppi dirigenti. Non c’è da meravigliarsi, insomma. Meraviglia invece che si fatichi ad affrontare le questioni che – polemiche a parte – sono tutte oggettivamente sul tappeto. Due prima di tutte.
La prima riguarda la struttura del soggetto. Nato in uno stato di eccezione che ha legittimato una forma un po’ giacobina (il direttorio dei garanti, il papa straniero e le sue gerarchie ecclesiastiche), è oggi di fronte a un bivio: continuare così o costruire una forma democratica. Perché come è evidente che il giacobinismo ha reso possibile l’avvio del processo (di questo bisogna dare atto ai garanti, e in primo luogo a Barbara Spinelli), così è evidente che la sovranità di quel che siamo non può più essere appannaggio di gruppi auto-nominati, men che meno di un gruppo parlamentare che non può avere – in un progetto politico non elettoralistico – funzioni dirigenti.
La democrazia è una cosa seria e dovrebbe avere a che fare, nel nostro caso, con il protagonismo reale dei comitati, delle persone in carne ed ossa che hanno tenuto aperta questa prospettiva. Non penso sia un segreto, da questo punto di vista, ribadire che alcune scelte (in particolare quella di Barbara Spinelli di non rinunciare al seggio e di optare per il collegio del Centro) hanno posto sul futuro un’ipoteca pesante, dando l’impressione che i doppi e i tripli livelli siano una costante sopravvissuta alla conclusione dello stato d’eccezione.
La seconda questione riguarda, appunto, il progetto politico. Io non credo che se ci fossimo presentati esplicitando che il nostro intento era quello di creare l’ennesimo cartello elettorale della sinistra radicale avremmo preso un milione di voti. Non credo che un milione di persone ci abbia votato perché ha sentito il bisogno di un soggetto autoreferenziale e minoritario, che intende la politica come declamazione della propria purezza e del proprio antagonismo.
Penso, al contrario, che abbiamo posto un seme (il 4,03%, l’interesse suscitato, le contraddizioni aperte nel campo democratico) proprio per il motivo opposto: perché in campagna elettorale abbiamo delineato un’Europa concretamente possibile e alternativa all’austerità. Abbiamo evocato, finalmente, la prospettiva di una sinistra intransigente sulla collocazione e allo stesso tempo di governo, con un’ambizione opposta alla testimonianza.
Lo credo fortemente, ma so che non siamo tutti d’accordo. E so che in diversi accarezzano l’idea di fare della lista Tsipras un soggetto chiuso nell’affermazione di una priori ideologico: mai al governo, mai in un’alleanza, mai in una coalizione, dal livello europeo a quello dell’amministrazione dei più piccoli Comuni. Questo è (anche) il nodo delle prossime elezioni regionali, a partire da quelle in Calabria, Puglia, ed Emilia-Romagna.
Mi permetto di fare notare che le sinistre europee che prendiamo, giustamente, sempre a riferimento sono nate e si sono rafforzate grazie alla capacità di tenere insieme opzioni e propensioni diverse e grazie alla capacità di scegliere, sempre, sulla base dei programmi, del giudizio di merito, soprattutto a livello amministrativo. Die Linke governa a livello locale con Verdi e Spd, Izquierda Unida in Andalusia con il Psoe, il Front de Gauche una miriade di Comuni con il Psf, per non parlare delle sinistre rossoverdi nei Paesi scandinavi e pure della Grecia, dove Syriza – se come tutti noi speriamo Alexis Tsipras riceverà l’incarico di formare un governo – non potrà certo essere autosufficiente. Si tratta di cedimenti, codismi, ambiguità? Tutto il contrario: queste esperienze dimostrano che la Sinistra, se vuole contare e rappresentare un riferimento vero per pezzi di Paese reale, deve avere l’intelligenza di costruire un progetto aperto ed egemonico.
Io penso che la lista dell’Altra Europa debba decidere cosa vuole fare da grande e debba scegliere, sia sulla forma sia sul contenuto. Penso anche che abbia le potenzialità e le risorse per scegliere bene e diventare grande. Ma è evidente che se non lo farà la lista lo dovrà fare qualcun altro, qualcos’altro, e anche rapidamente. Se non lo farà la lista non sarà colpa di Pucciarelli o di chi altro ha mantenuto dosi massicce di lucidità e passione (per fortuna ne abbiamo ancora!) da contrapporre all’inerzia. Un’inerzia che sarebbe da folli assecondare. Renzi sta scassando la Costituzione, il Paese è in recessione. Non so se è chiaro.