La vittoria schiacciante del centrodestra e l’astensionismo, Ghisleri: “Ha vinto la coerenza di Meloni, ma in molti non ci credono più”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fabio Martini
Fonte: La Stampa

La vittoria schiacciante del centrodestra e l’astensionismo, Ghisleri: “Ha vinto la coerenza di Meloni, ma in molti non ci credono più”

La sondaggista: «C’è il fondato sospetto che tanti non sapessero neppure delle elezioni. A sinistra il partito più forte è quello dell’astensione, il Pd decida se stare col M5S o no»

Dentro i successi elettorali ovviamente c’è tanta politica, ma anche la capacità di intercettare i sentimenti più profondi degli italiani, ecco perché Alessandra Ghisleri, leader di Euromedia Research, legge la netta vittoria del centro-destra anche alla luce dell’umore prevalente nel Paese: «Vede, al termine di ogni anno noi svolgiamo una ricerca ad hoc sui sentimenti degli italiani, ebbene il passaggio tra 2022 e 2023 è stato segnato dallo stato d’animo dell’attesa. In questi casi si affronta il futuro, sapendo che c’è un cambiamento in atto, ma senza comprenderne appieno tutte le sfaccettature, intuendo soltanto che è in corso un cambio. Ma in questi passaggi c’è bisogno di una strada, di un’indicazione, di un sostegno. Avere indicazioni chiare da parte di chi si dimostra di essere coerente. Una qualità che Giorgia Meloni ha dimostrato di avere. Ecco, perché a poco meno di 5 mesi dalle elezioni Politiche, in due Regioni così differenti, è stata confermato l’appoggio a questa chiarezza».

La vostra ricerca ha molto a che fare col voto degli italiani: come è cambiato politicamente ed emotivamente il nostro umore?
«A cavallo tra 2018 e 2019 prevaleva la rabbia perché ci sentivamo molto più poveri ed era nell’aria la possibilità di una manovra economica ai primi di marzo di cui non si sapeva nulla e oltretutto c’era un governo molto nuovo, quello giallo-verde. L’anno dopo era arrivata la pandemia che ha cambiato tutto: la rabbia è stata sovrastata da una vera e propria paura, paura di un nemico crudele che aveva messo a nudo tutte le nostre fragilità. L’anno successivo continuavamo ad impoveritici e gli stessi vaccini in qualche modo avevano indebolito i caratteri, è stato l’anno della rassegnazione senza vedere il futuro. All’i2nizio di quest’anno la ricerca è arrivato il tempo dell’attesa».

Tutti si stracciano le vesti, spesso retoricamente, sull’astensionismo altissimo. Come lo spiega?
«C’è qualcosa che ti morde dentro: ad un certo punto le persone non trovano più gli stimoli né i punti di riferimento alternativi. Questo significa che quando c’è un candidato e una coalizione forti, le persone si indirizzano in quella direzione. Ma chi ha un piccolo accenno diverso e non trova un punto di approdo, perde il “credo”. D’altra parte c’è il fondato sospetto che molti non siano andati a votare semplicemente perché non sapevano».

Nel passato la sinistra ha strappato vittorie “impossibili” proprio per l’alta disaffezione dell’elettorato di destra, vincendo spesso per sottrazione: quest’anno sono mancati molti più elettori di sinistra?
«Vedremo i dati e li studieremo, ma io credo che sia proprio così: l’astensionismo è stato più alto a sinistra. Con una battuta si potrebbe dire che a sinistra il partito più forte è stato proprio quello dell’astensione. E questo non per un deficit dei candidati perché il centro-sinistra aveva schierato dei bravi amministratori. Certo, Rocca e Fontana, pur così diversi, sono sembrati molto più simili tra loro, uniti come erano dentro una coalizione alla fine coesa».

Come spiega che il malandatissimo Pd, nella indiscutibile sconfitta, ha tenuto?
«Che il M5s non abbia superato il Pd, questo è un dato fondamentale. Certo, ora molto dipenderà dall’esito delle Primarie. In altre parole il Pd dovrà decidere se diventare competitivo o complementare rispetto ai Cinque stelle».

Che proseguono il loro declino, ben camuffato alle Politiche?

«I Cinque stelle, si sa, non vanno mai bene alle amministrative, mentre alle Politiche avevano un candidato, Conte, che ha condotto una campagna su misura, sulle sue indicazioni. Stavolta avevano una candidata nuova con la difficoltà di affrontare un passaggio non “suo” e dovendo giustificare che, dopo aver governato assieme al centro-sinistra, poi correvano da soli».

Anche il Terzo polo si è arenato. Come lo spiega?
«Nella campagna delle Politiche si erano concentrati sulle zone Ztl ma stavolta avevano un campo di “gioco” molto più largo tra l’altro in una Lombardia nella quale il Pd governa in quasi tutti i capoluogo».

Il centro-sinistra ha mostrato una curiosa ignoranza in termini di tecnica elettorale, non le pare?
«Diciamo che forse avrebbero potuto garantire ai loro due candidati-presidenti un migliore “show” per segnalare la propria presenza. E poi, certamente: vanno calibrati i candidati sulla base della legge elettorale. Per le Regioni non c’è il doppio turno, vince chi ha un voto in più. Ma lei lo sa chi sarebbe stato eletto a Roma con un turno unico? Il candidato del centro destra Enrico Michetti che invece ha poi perso nettamente al secondo».

Quale fotografia dell’Italia politica esce da questa tornata elettorale così importante?
«Il voto che non c’è è davvero un dato molto importante: ti accorgi che tante persone si sentono estranee ai giochi e ai pensieri della politica. Se non hai la forza di coinvolgere gli elettori, rischi di perderli per strada. Chi si sente escluso – e qui veniamo al punto centrale – ti affidi a chi il cambiamento lo può fare. Ecco perché ha rivinto la destra. Ma non c’è un travaso di voti, per esempio da sinistra a destra. C’è stata una conferma dei voti di destra e sono mancati quelli di sinistra”

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