Fonte: La Repubblica
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LA VIA DI FUGA – di FEDERICO FUBINI – ed. MONDADORI
recensione di BENEDETTA TOBAGI da La Repubblica
“ESTRANEO a niente”: così Federico Fubini definisce se stesso nelle prime pagine di La via di fuga (Mondadori), per poi rivelare, dietro il volto noto al pubblico del giornalista economico, un passato di studi umanistici. E il noto adagio di Terenzio, Homo sum, humaninihil a me alienum puto (“Sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo”) sarebbe un’epigrafe perfetta per questo libro originale e spaesante che col linguaggio del new journalism racconta come la crisi economica si manifesti nella concretezza del vissuto degli uomini e, in particolare, “lo stato mentale delle persone che si trovano davanti a una crisi”.
Il sottotitolo recita Storia di Renzo Fubini , che è il prozio dell’autore. Nato nel 1904, economista, allievo di Luigi Einaudi, ebreo torinese morto nei campi di sterminio, ha vissuto il crollo del 1929 e la Grande Depressione, di cui fu testimone in presa diretta come giovane borsista della Rockefeller Foundation; un uomo schivo eppure costantemente attratto, volente o nolente, nel campo magnetico della grande storia. Ma nel libro c’è molto di più. La narrazione muove in costante montaggio alternato tra storie di famiglia, teorie economiche e smottamenti globali dei primi decenni del XX secolo e il tempo presente, dove assume il passo del reportage da due punti d’osservazione molto particolari: la Grecia del collasso economico e la Calabria, terra d’origine del nonno materno e cattiva coscienza d’Italia. La vita, il mondo interiore e i dilemmi di Renzo sono il punto di partenza per raccontare quelli di altri uomini oggi.
L’autore accosta la storia famigliare con grande pudore, tratto distintivo dei fubinorum (ossia “di quelli di Fubine”, nel Monferrato, il paesino dove alla fine del Cinquecento un avo cercò fortuna aprendo un banco di prestito a interesse). Con partecipazione e garbata ironia scopre gradualmente i vari volti del prozio economista, uomo taciturno, modesto all’eccesso, prudente nell’esprimere il proprio antifascismo, pieno di timori e al tempo stesso capace di contestare, giovanissimo, le teorie del maestro Einaudi in favore di Keynes e prendere in moglie una donna anticonvenzionale, lontana anni luce da rigidità e conformismi della famiglia d’origine.
L’attenzione meticolosa con cui il pronipote scruta i dettagli delle poche foto rimaste e persino i mutamenti della sua grafia è la stessa che dedica a ciascuno dei personaggi di quella che definisce un’umile “ricerca di laboratorio sulla vita di poche persone”. Estraneo a niente, Fubini coinvolge il proprio io narrante nel racconto e ci conduce con sé a Nicea, dove lui, discendente di piccoli banchieri ebrei, ascolta le farneticazioni contro la plutocrazia giudaica del predicatore di Alba Dorata che, dettaglio agghiacciante, è un pittore fallito come Hitler e si assicura pubblico regalando un trancio di tonno ai capifamiglia alla fine del comizio domenicale. Oppure nella periferia desolata di viale Isonzo 222 a Catanzaro, per osservare da vicino il mercato del voto di scambio e il “fascismo della corruzione” che abusa del debito pubblico per sedare i cittadini. Il piccolo permette di accedere al grande: come il prozio, Fubini si preoccupa di come la situazione economica stia agendo sulle persone, descriva “i vari stadi mentali di una collettività colpita dallo choc”. Negli appunti di Renzo trova analisi degli anni Trenta che sembrano scritte per la Grecia, la Germania e l’Italia di oggi, ma soprattutto scopre che “sono i contraccolpi sulla psiche umana che a distanza di decenni si somigliano più degli eventi che li producono”. Accanto al riproporsi dell’intolleranza registra il mutare e raffinarsi dei meccanismi di controllo del potere.
Nelle storie che incontra, Fubini vede ricorrere alcune costanti, come il disinteresse per i problemi pubblici generali troppo grandi, la diffusione epidemica di teorie del complotto di cui i governi sono alternativamente protagonisti o vittime, il deflagrare delle angosce interiori nel collasso della vita pubblica, il circolo vizioso per cui l’assenza di fiducia determina la paralisi, il vittimismo e il sentimento d’impotenza (leggendo torna alla mente più volte L’io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un’epoca di turbamenti di Christopher Larsch).
A partire dai casi concreti, l’autore riflette su due temi fondamentali: come gli uomini percepiscono, o rifiutano, la realtà traumatica di una crisi e come vi reagiscono, o non riescono a farlo. “Quando hai capito che sarebbe finita così?” chiede a tutti i greci che incontra nei suoi ripetuti viaggi. Fubini mette in guardia dal rischio enorme insito nella tentazione di negare la realtà, e illumina i meccanismi psicologici alla base del rifiuto e dell’incapacità a prendere atto delle condizioni fattuali, complice la paura e la pigrizia: perché riconoscere l’esistenza di un problema implica un (fastidioso) richiamo a farci qualcosa. La tendenza a negare un’evidenza spaventosa o traumatica è così profonda da degenerare spesso in aggressività nei confronti di chi porta alla luce il vero: accade al direttore dell’Istituto di statistica greco che rinuncia a una florida carriera negli Usa per mettersi a servizio della patria al collasso, e vede i suoi sforzi di trasparenza ripagati con ostracismo, campagne denigratorie e accuse infondate, come se fosse lui l’autore dello sfacelo, e non chi per anni ha scavato il baratro del deficit, tenendolo nascosto. Quanto alla “via di fuga”, esplicito e frequente è il richiamo al saggio più noto di Albert. O. Hirschmann, illustre allievo del prozio Renzo, Exit, Voice and Loyalty , ancora attuale.
Andarsene, restare leali al proprio ambiente, dare voce alla protesta? Mai moralista, l’autore ci rende partecipi degli angosciosi dilemmi di chi si dibatte tra queste opzioni, dal prozio Renzo, al geometra mezzosangue rom, al giovane talento che abbandona l’agone politico e torna all’estero dopo l’ennesima elezione amministrativa truccata. Anche quando racconta una success story come quella dell’impresa di informatica e nanotecnologie Connexxa, fiore solitario nel deserto calabro, non indulge nell’ottimismo consolatorio, ma ne esplora limiti e contraddizioni. Sempre a occhi bene aperti, teso a comprendere prima di giudicare, Fubini cerca di riordinare la storia propria e altrui e parametrarla all’oggi, per renderla utile a questo tempo in cui è facile sentirsi smarriti. Nel cuore di una crisi economica e morale che accentua i meccanismi deumanizzanti della società, invita al ripiegamento, fomenta l’intolleranza e il diniego, La via di fuga è una lettura preziosa.