Fonte: Il Fatto Quotidiano
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di Alessandro Robecchi | 11 settembre 2014
Con tutta ‘sta pippa della crisi dell’ideologia, e che l’ideologia è morta, e che ormai “ideologico” pare un insulto peggio che “pedofilo” o “truffatore”, si sta perdendo di vista un piccolo dettaglio: che l’ideologia è viva e lotta insieme a noi. Anzi, contro di noi. E un caso di scuola ci viene dalle recenti imprese del governo Renzi, prima tra tutte quella del blocco degli stipendi del pubblico impiego: circa tre milioni di lavoratori per una “manovra” (un pezzettino di quella manovra correttiva che “non ci sarà”, ma invece c’è eccome) da circa tre miliardi. Non si entrerà qui nel merito del provvedimento: secondo la Cgil l’introito medio perso da ogni lavoratore sarà di circa 600 euro nel 2015, come dire che gli statali renderanno nel 2015 i famosi 80 euro ricevuti nel 2014, e vabbè. Si vuole invece affrontare qui il discorso, per l’appunto, ideologico.
Come si sa, il governo Renzi gode di grande sostegno e popolarità, e come si sa è sostenuto quasi militarmente da alcune falangi di fedelissimi piuttosto acritici, soldatini sempre in piedi dei social network. È bene ascoltarli, perché sono loro a tradurre in parole nette l’ideologia corrente. Il più chiaro esempio di vulgata renzista di fronte al blocco degli stipendi pubblici (praticamente un taglio, specie se si pensa che il 2015 sarà il quinto anno consecutivo di blocco) è il seguente: “Gli statali hanno un lavoro”. Di più: “Un lavoro fisso”. Che sia un lavoro pagato poco, sì, lo dicono anche loro (specie quando parlano di docenti, maestri e professori, notevole base elettorale) ma per ora è quel “posto fisso” che disturba, che offende, che indigna.
Prima lezione di ideologia: invece di battersi per un “posto fisso”, o almeno dignitoso e minimamente garantito per tutti, si demonizza chi ce l’ha. Insomma, il meccanismo è semplice: si prende un diritto che a molti è ingiustamente precluso e lo si chiama “privilegio”, additandolo al pubblico ludibrio. Ora ci sono due componenti di questa posizione altamente ideologica che si sposano mirabilmente. Il primo è la lenta, ma inesorabile, distruzione dell’immagine del dipendente pubblico. Una cosa che prosegue da anni e anni: è ladro, non lavora, va al bar, eccetera.
Il secondo dato ideologico è la vera vittoria del renzismo: aver trasferito l’invidia sociale ai piani bassi della società. Quella che una volta si chiamava lotta di classe (l’operaio con la Panda contro il padrone con la Ferrari) e che la destra si affannava a chiamare “invidia sociale”, ora si è trasferita alle classi più basse (il precario con la bici contro l’avido e privilegiato statale con la Panda). Insomma, mentre le posizioni apicali non le tocca nessuno (né per gli ottanta euro, né per altre riforme economiche è stato preso qualcosa ai più ricchi), si è alimentata una feroce guerra tra poveri. Una costante corsa al ribasso che avrà effetti devastanti. Perché se oggi un precario può dire al dipendente pubblico che è privilegiato, domani uno che muore di fame potrà indicare un precario come “fortunato”, e via così, sempre scavando in fondo al barile. Si tratta esattamente, perfettamente, di un’ideologia. Chissà, forse qualcuno farà notare che considerare privilegiato un professore a 1.500 euro al mese non è sano né giusto. Specie se a quel “posto fisso” così scandaloso sono aggrappati figli precari o mogli sottopagate, se quel “posto fisso”, insomma, è – oltreché un diritto che dovrebbero avere tutti – un surrogato del welfare che dovrebbe esserci e non c’è.
2 commenti
L’analisi di Robecchi mette bene in luce la guerra tra poveri che è sempre esistita e non è cosa di oggi. Il fatto che oggi questa guerra è propagandata dai media (oggi più potenti di ieri) come necessaria con un’ideologia fondamentalista quasi pari ai fanatismi mussulmani o falsamente tali (questi tagliano le teste e il capitalismo taglia la testa e l’avvenire delle famiglie). Noi di fronte a questo fanatismo che porta all’invidia sociale (non neghiamolo) tra poveri, ci troviamo disarmati e senza un leader che possa guidarci e unirci, non nella guerra tra i diversi poveri (oggi per questo vi è il Grullo di Genova) ma nella vecchia LOTTA DI CLASSE oggi più che mai necessaria se vogliamo non subire altre sconfitte da questo liberismo che nel divide et impera, trova la sua forza come è sempre stato. Cosa fare? Non possiamo piangersi sempre addosso. Occorre che noi tutti, i Sindacati, la Politica progressista, riusciamo a rompere queste catene della menzogna economica, che incolpano prima gli uni e poi gli altri (usando poi la politica del carciofo per colpire gradatamente tutti) e mettere da parte le divisioni che a volte sono dettate da piccoli previlegi politici e sindacali e UNITI, abbattere questo mostro del capitalismo speculativo. Se non si trova UNITA’, tutti, compreso chi oggi cerca nel Sindacato o nella Politica un possibile previlegio, saremo travolti.
Araldo hai scritto una bellissima riflessione morale