La tragedia di essere di sinistra: una vita spesa davvero male?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 2 ottobre 2014

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La battaglia che si sta giocando tra la minoranza del PD e Renzi è sottilissima, sul filo del rasoio, molto tattica (anche se nasconde finalità strategiche e di lunga gittata politica). Quando Gotor dice che in direzione si è fatto un passo in avanti, ma i sette emendamenti restano, intende ‘avanti’ sul piano tattico. Il ‘reintegro’ per i licenziamenti disciplinari ha spostato e incrinato i rapporti con NCD, che resta una componente essenziale per il governo, soprattutto al Senato. Una decina di alfaniani sono pronti a mollare tutto e a tornare a Forza Italia se non vi fosse un’altra mediazione, stavolta a destra. Con conseguenze drammatiche per il premier. Il quale, per evidenti ragioni di tenuta, non può più ignorare la minoranza PD e gli alfaniani, non può fare più spallucce. Capisco pure le rassicurazioni di Bersani a Renzi, se lette in questa ottica. Evidentemente l’ultimo Segretario del PD ritiene che vi sia ancora spazio per una trattativa interna, e che garantire il proprio appoggio e la propria lealtà sia una specie di investimento per il futuro, un’apertura di credito a Renzi che possa fruttare qualcosa in termini di risultato, ossia di miglioramento finale del testo del jobs act. Insomma, ci sarebbe ancora una qualche agibilità politica da gestire. Perché non farlo?

funerale

Certo, questa lettura è complessa, un po’ arzigogolata. Soffocata dai tatticismi. Dal punto di vista della comunicazione, parafrasare questa manovra in proposizioni chiare, limpide, definitive, comprensibili ai più non è facile. Anche chi segue molto da vicino la politica, decifra la fedeltà di Bersani alla Ditta e il preannuncio di un voto favorevole al jobs act comunque vada, come un’inutile, eccessiva rassicurazione, come mettere il carro davanti ai buoi in modo troppo zelante. Si dice: Bersani fa politica, non è un opinionista, le sue dichiarazioni entrano in un meccanismo anche tattico complesso, deve immaginare sviluppi, fasi, cicli, ecc. Vanno interpretate contestualmente. Certo, è così. Ma chi ci aiuta a farlo? Chi aiuta i cittadini a parafrasare queste dichiarazioni? Chi ci aiuta a capire? Una volta era la Ditta stessa a farlo, la sua stampa, il suo radicamento, la ‘prossimità’ fisica agli ultimi, ma oggi? E qui subentra lo scoramento di chi si percepisce ormai un orfano politico, e parlo di una bella fetta di elettori, militanti et similia.

Giusto, la Ditta. Che cos’è la Ditta di cui molti invocano le facoltà taumaturgiche? La Ditta, di cui tutti parlano riferiti soprattutto all’amministratore delegato, ai dirigenti di area, ai capiufficio. Alle loro manovre, ai loro accordi, alle loro mosse tattiche, alle alleanze che si tessono e si sciolgono al vertice, alle gelosie e alle rivalità di questo o quel ‘capo’. Quando invece la Ditta, a pensarci meglio, con più attenzione, è fatta anche di colletti bianchi e blu, tecnici, addetti alla sicurezza, persino inservienti, uomini di fatica e squadra pulizia, tra cui quelli che puliscono il cortile e stanno sempre di fuori alle intemperie? Chi ci pensa a questi ‘ultimi’ (perché ci sono gli ‘ultimi’ anche nella Ditta, eh)? Quelli che le scatole di cartone riempite dai dirigenti, durante i traslochi da un partito all’altro, se le caricano sulle spalle attendendo pure di sapere, con comodo, dove debbano essere consegnate. Quelli che attendono le decisioni del caminetto e poi, magari, si affannano pure a difendere certe scelte senza nemmeno averle capite bene, ma così, per lealtà, dedizione, spirito di sacrificio. ‘Senso’ della Ditta, appunto. Mettendo da parte preoccupazioni personali, pensieri difficili, ambizioni, sogni, progetti. Solo perché gli hanno insegnato che i problemi personali trovano soluzione in un ‘quadro generale’, nella soluzione dei problemi politici, collettivi, pubblici, ecc. E così rimandano la soluzione dei propri, di problemi, sinché a una certa età scoprono che quelli sono ancora lì, imperterriti. Insoluti. Forse non più risolvibili.

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Ecco. Non ci sono più ‘grandi narrazioni’ a tenerci assieme. Oggi si lavora su microideologie, piccole storie, frammenti di racconti, cose che stamane cominciano con un hashtag e domani già dileguano in attesa di altro che le sostituisca. Piccoli passi, perché i grandi ce li siamo dimenticati. Chissà come si fanno i grandi passi, boh. Niente ‘grandi narrazioni’, dunque a fare da collante. E allora: come la teniamo assieme la Ditta, se non con il rispetto? Se non comunicando come si dovrebbe? Se non spiegandoci meglio le logiche delle nostre manovre politiche? Vedete, parlo a ragione. In 30-40 anni ho fatto al massimo l’inserviente, portato acqua a tutti i segretari (meno che a quello del PDR, cacchio), attaccato manifesti, venduto migliaia di copie dell’Unità, portato bandiere come un soldatino ai cortei. Non ho mai ricoperto alcun incarico, magari nessuno mi ha mai giudicato in grado di farlo. Ho solo fatto il Segretario della FGCI in borgata, trenta anni fa, strappando decine di ragazzi ai bar (se non peggio!) e portandoli in sezione almeno a discutere un po’. Forse questo mi da il diritto (a me come ad altri nella mia condizione) di essere più considerato. Sono stanco delle baruffe di vertice, delle manovre politiche, stanco di essere finito, al termine di tanti traslochi, in un partito-vicolo cieco in cui mi sento ormai fuori posto, estraneo (mentre sono vicino a molti amici e compagni). Qual è la prospettiva? No, dico, che si fa? Che ci aspetta domani e dopodomani? La cosiddetta ‘vecchia guardia’ non deve limitarsi a fare le sue battaglie (talvolta persino poco decifrabili) o a rintuzzare il renzismo, deve pure parlare a quella parte della Ditta, inservienti, più che altro, uomini delle pulizie che, se non si indica un progetto, una visione, una strada da percorrere (anche dentro al PD, ma nella precisazione di ruoli e identità), presto la strada se la sceglieranno da soli. Anzi, la strada sceglierà loro. E sarà, come immagino, una strada solitaria, di scoramenti (come già ne vedo nei più appassionati, in quelli che pagheranno il prezzo più alto), di delusione, di stizza, di recriminazione su una vita spesa, a questo punto, davvero male. Una vita, dico, non un anno sabbatico, non una stagione, non uno scampolo di esistenza. Ecco il punto.

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[Scusate la lunghezza, ma certe volte non si può racchiudere tutto in un tweet. I pensieri, quando sono pensieri, necessariamente strabordano].

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4 commenti

Filippo Crescentini 3 Ottobre 2014 - 9:42

Questo, Morganti, è un pezzo che mi piace ma non lo condivido. Capirai anche perché. Ci sono 20 persone che fanno parte della Direzione del PD che hanno votato contro, lunedì scorso. Gli interlocutori sono loro. Voi che abitate a Roma contattateli, chiedete di incontrarvi, andate a rappresentare le cose che dici. Magari, tanto per dare loro la sensazione che non parlate a titolo personale, mettete in rete un documento e chiedeteci di sottoscriverlo. Insomma, voi che siete vicini alla cima, fisicamente, fate. Fate anche per noi. Che condividiamo tutte le vostre amarezze e le vostre preoccupazioni.

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Araldo 3 Ottobre 2014 - 19:56

Condivido la richiesta di Filippo Crescentini e nello stesso tempo riconosco che Morganti com’è suo solito centra il punto. Si deve avere un progetto che se abbozzato dall’alto deve essere portato al confronto vero con chi “gli ULTIMI della DITTA” come li chiama Morganti, nei Circoli ormai chiusi che vanno riaperti e anche attraverso la rete con un controllo effettivo di chi partecipa. I venti con, gli undici astenuti, devono essere fatti partecipi delle speranze di chi essendo ultimo (però PRIMI NEGLI IDEALI DI SINISTRA) non vuole che il partito diventi solo un comitato elettorale di affaristi e che ci faccia non più affermare che oggi essere di sinistra è una tragedia.

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Auro 7 Ottobre 2014 - 12:58

Una intelligenza così vivida come quella che ha scritto quanto sopra come fa a stare ancora in quella Ditta!

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