La storica giornata dei migranti e il kebab

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Tommaso Merlo
Fonte: InfoSannio

Mentre in Albania il governo Meloni incassa la peggiore figuraccia della sua insipida storia, gli avvocati di Salvini arringano la corte per evitare che si becchi sei anni per aver ostacolato gli sbarchi. Chissà come se la ghignano nei centri di accoglienza e nei kebab nostrani e chissà quanti italianissimi segni dell’ombrello. Evidente karma per un paese storicamente di migranti che la ricchezza ha inaridito. Giornata storica per i migranti che si apprezza appieno solo mettendosi nei loro sgualciti panni. Lasciata alle spalle la loro vita e sopravvissuti all’odissea, si ritrovano nelle sgrinfie italiane in balia delle onde anche burocratiche, malvisti e perfino col rischio di venire dirottati in Albania. Su una nave militare, in container circondati da filo spinato. Un vile accanimento contro i più deboli da parte di politicanti che invece s’inchinano al cospetto dei potenti. Di Washington e Bruxelles ma anche dei miliardari in giro a fare affari sulla pelle de noialtri. Ci dovrebbero andare Elon Musk e quelli di fondi d’investimento in Albania così magari si rendono utili e capiscono i danni che fa il loro turbocapitalismo. Se i popoli del mondo si sono messi in marcia non è perché sono dei criminali, ma perché troppi soldi finiscono nelle tasche di gente come loro mentre la grande maggioranza del pianeta vive nella miseria. Ed è questo che i politicanti si ostinano a non capire. Le migrazioni non sono il problema ma la conseguenza di un mondo ingiusto e la responsabilità ricade principalmente su di noi uomini bianchi che abbiamo colonizzato ed insanguinato gli altri paesi per secoli e che ancora oggi portiamo avanti un modello economico e sociale che si fonda sull’avidità materiale, lo sfruttamento altrui e l’ingiustizia sociale. Accanirsi contro quei quattro migranti che sbarcano, è nascondere la polvere sotto al tappeto. È fare propaganda, non politica. Già, servirebbe un modo per risvegliare i politicanti, tipo spedirli nei villaggi di provenienza dei migranti, farli soggiornare nelle loro catapecchie, mangiare riso e fagioli con le mani, farla nelle loro latrine puzzolenti e provare a dormire sdraiati per terra. Contando gli scarafaggi sulla lamiera ed immaginando cosa vuole dire non poter far nulla per quei vecchi genitori e quei figli che riposano qualche centimetro più in là. Cosa vuol dire non avere nemmeno la speranza di un futuro migliore. Poi una volta tornati in Italia, i politicanti dovrebbero farsi un giro per le cucine dei ristoranti, per i cantieri, per i campi e per le fabbriche e guardare negli occhi gli uomini e le donne che hanno lasciato le loro catapecchie e oggi si spaccano la schiena per guadagnare qualche spicciolo da mandare ai loro cari contribuendo al benessere loro ma anche di paesi vecchi e imborghesiti come il nostro. Altro che scemenze da comizio, i migranti non sono la disgrazia del nostro paese, ma la sua fortuna. E non solo economica ma anche sociale e culturale, perché portano nuova linfa e ci aiutano ad aprirci e rimanere al passo con un mondo che sta evolvendo molto in fretta. L’unica vera colpa dei migranti è turbare certe false certezze esistenziali, è costringere anche i più ottusi ad affrontare la paura del cambiamento e il proprio egoismo. Le migrazioni sono un fenomeno che appartiene alla storia dell’umanità e nessun governo potrà mai impedirle. È vero che per colpa delle guerre inutili, dell’ingordigia dell’uomo bianco e di un pianeta sempre più piccolo, i flussi sono aumentati. Bene, compito della politica è quello di gestirli, non di schivarli. Quanto al ridurli, serve invece capire che le migrazioni non sono il problema ma la conseguenza di un mondo ingiusto e la responsabilità ricade principalmente su di noi alfieri del mondo ricco nonché ipocrita. Dobbiamo abbandonare il turbocapitalismo invece d’inchinarci ad esso e sviluppare un modello economico e sociale più giusto ed intelligente oltre che nuove forme di governance globale. Serve fare politica, non propaganda. Ma per adesso godiamoci questa giornata storica, tra kebab e segni dell’ombrello.

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