La società che si conserva

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti 13 giugno 2016

L’Istat ci ha spiegato che in Italia calano i residenti. E che l’arrivo degli immigrati non compensa il calo delle nascite. Non accadeva da 90 anni. Quindi in Italia non siamo “troppi”. E i nuovi arrivati non sono ‘in più’, semmai in meno all’interno di una società che invecchia inesorabilmente. Senza immigrati saremmo ancor più un popolo di anziani, e per una società non c’è nulla di peggio del mancato contributo delle nuove generazioni alla sua trasformazione. La radiografia attuale del Paese prevede così molti nonni, in gran parte ultra settantenni e già relegati ai margini; un certo numero di padri e figli cinquanta-quarantenni che invece detengono appieno il potere politico e sociale; e un numero sempre più contenuto di nipoti privi di rappresentanza reale. La generazione di mezzo, quella dei padri e dei figli (che sono molto più alleati di quanto non appaia, altro che psicanalisi) è al potere innalzando il vessillo della rottamazione. È una retorica che, letta sociologicamente, apre una specie di vulnus, una cesura netta tra nonni e nipoti, ossia tra i due segmenti storicamente meno coinvolti nei meccanismi di gestione quotidiana del potere.

La pesante egemonia delle generazioni di mezzo, che oggi contraddistingue lo spettro sociale, spinge di fatto alla conservazione degli assetti di potere, mentre le due generazioni più marginali ed esterne sono quelle che invece sembrano ancora produrre utopie, sogni, speranze di trasformazione anche contraddittorie, persino antisistema, capaci tuttavia di smuovere almeno il panorama ideologico di questo inizio millennio. Il renzismo è il sigillo più evidente di questo andamento: quaranta-cinquantenni al potere, dove i figli fanno i rottamatori e i padri si adeguano conformisticamente, in un processo di cambiamento che tutto è meno che trasformazione effettiva, ossia mutamento degli equilibri di potere a opera di soggetti politici e culturali collettivi. Quello che viene spacciato per Paese che cambia è in realtà un blob gelatinoso immobile, che produce soltanto ideologia generazionale condita di retorica del cambiamento. Ma null’altro dal punto di vista reale.

Un esempio? Prendete i dati della trimestrale Istat sul lavoro. In un anno, il contributo dei miliardi e miliardi gettati a pioggia sul Paese ha prodotto 242.000 posti in più (+0,8%, l’ennesimo zero virgola). Non è solo l’elefante che partorisce il topolino, è anche un topolino malato quello che nasce, più malato dell’elefante partoriente. In realtà il 75% di quei 242.000 sono uomini e solo il 25% donne. Il tasso di disoccupazione cala di più al Centro e al Nord che al Sud. Il vero boom di occupati è tra gli ultra 50enni, per la legge Fornero, mentre i quarantenni calano e i 20-30 crescono di una briciola. I miliardi gettati a pioggia producono un potenziamento degli squilibri e delle ingiustizie, non equità (per la quale servirebbe delle politiche mirate, non soldi buttati alla rinfusa nel calderone sociale per accattare facili consensi). Ecco cosa intendo per ‘conservazione’: conservazione delle ingiustizie, conservazione della classifica sociale, per la quale gli ultimi restano gli ultimi. Non è eterogenesi dei fini, no. La società dei padri e dei figli conservatori, produce consapevolmente conservazione, fotografa gli stessi squilibri e li peggiora semmai.

Sono rimasto colpito da come Sanders e Corbyn abbiamo saputo parlare soprattutto ai nipoti, ai trentenni, a ventenni. Grandi saggi che non sono stati rottamati (per fortuna) e che usano la stessa lingua di quelle generazioni ancora libere da ipoteche compromissorie col potere, che oggi sono fuori dai progetti dei padri-figli rottamatori. Che le cose vadano così lo dimostrano anche le amministrative italiane. Il quartiere più giovane di Roma (età media 40 anni) ha dato un voto di opposizione aperta. Ha votato una trentenne. Si sente fuori, e ha risposto concedendo il proprio consenso a chi appare ‘antisistema’ (quasi senza più distinzione tra destra e sinistra). Mancando una sinistra che intercetti quei voti, che riproponga la crisi generazionale come crisi politica e sociale, che lavori a integrare il gap tra generazioni per tramutarlo in forza di trasformazione effettiva e non mera retorica del cambiamento, tutto è destinato a deteriorarsi. E ci sarà sempre qualcuno che ti dirà che siamo ‘troppi’ e che non c’è spazio per gli altri. Soprattutto se gli altri sono giovani, o se si tratta di anziani dotati di capacità, etica, esperienza, visione generale, poco sensibili alla retorica del cambiamento che si alimenta di annunci, slides e storie quotidiane.

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