Fonte: facebook
di Alfredo Morganti 3 giugno 2015
Oggi il sociologo Bonomi sul ‘manifesto’ dice, soldoni soldoni, che “Renzi non capisce la società di mezzo”. Si riferisce alle municipalità, ai territori, alle regioni, ma anche alla rappresentanza degli ultimi, ai sindacati, al commercio e agli artigiani. Uno spazio che Renzi ha destrutturato più di quanto non fosse già riuscita la crisi stessa. Oggi in mezzo c’è il vuoto, ci sono le macerie, c’è uno spazio saltato a piè pari dai segnali che Palazzo Chigi lancia direttamente e mediaticamente al suo popolo elettorale, scavalcando le forme della rappresentanza, quelle associative, le categorie economiche, il fitto bosco di relazioni organizzate, i settori sociali più frantumati dalla crisi, quelli che poi seguono la propaganda demo-populista salviniana o non vanno a votare. Scavalcando, insomma, la società reale per puntare su quella virtuale, comunicativa, mediatica, delle playstation appunto.
Perché accade questo? Per miopia politica? Per scarsità di analisi? Per arroganza? Un po’ di tutto io credo, ma soprattutto per ragioni di cultura politica, anzi incultura politica. Gli schemi che utilizza Renzi e che alimentano i suoi sodali sono meri schemi comunicativi, per di più ridotti all’osso della semplice performance (vincere la partita). Non prevedono noiosi approfondimenti, esattamente quelli che esigerebbe Bonomi. Non si perdono in lente ma corpose analisi della composizione sociale italiana. Ritengono, anzi, la ‘rappresentanza’ un freno allo svolgersi dell’azione dell’esecutivo. Ritengono, ancora, che sia perdente rallentare il proprio passo per soffermarsi sullo stato del fondo stradale (sul quale, peraltro, si corre da pazzi), sul dissesto sociale, sulle asperità della crisi. La comunicazione smart è minimalista, si svolge in piccole performance conseguenti, è superficiale, frettolosa, vuole il comando, il mero esercizio del comando e nulla più, come fosse quella la panacea e non il governo faticoso della società, delle sue contraddizioni e tragedie. A Renzi basta la mancia di 80 euro per contrastare il disagio, la crisi, alimentare alla cieca i portafogli affinché si consumino merci. Altro che la ‘terra di mezzo’ indicata da Bonomi.
Alla cultura politica i renziani hanno sostituito la cultura della comunicazione e dell’agonismo performativo. All’approfondimento, lo scivolo. All’attenzione verso i corpi intermedi, la loro rottamazione o al più il disinteresse nei loro confronti. Alla visione tragica (la crisi che mette in ginocchio operai, dipendenti, imprenditori e artigiani a cui la crisi stessa non ha regalato nemmeno una chance) una visione ottimistico-goliardica (fatta di apparizioni accanto a ricchi e padroni del vapore oppure di foto improvvide alla playstation). Alla cura della rappresentanza, delle voci, dei richiami dal basso, dei corpi sociali il mero disinteresse verso tutto ciò che non esprima esecutivo, comando, azione di governo. Renzi pensava che bastasse un ducetto seduto sullo scranno più alto, libero dai lacci e lacciuoli della democrazia rappresentativa, per dirigere la baracca a suo piacimento. Che bastasse chiamare ‘riforme’ delle risciacquature in salsa padronale. Che tutti fossero pronti a rispondere a bacchetta ai suoi comandi. Non è così. Non è mai stato così. Non lo sarà mai. La politica (soprattutto quella di governo) è un affare più complesso che le dichiarazioni della Serracchiani o i tweet mattutini da un Palazzo Chigi sempre più disadorno, che non si scopre reggia, semmai una specie di fortino isolato.