di Alfredo Morganti – 1 giugno 2018
Sapete qual è il bello di ‘feisbuc’? Che dei post, dei commenti, delle opinioni restano tracce scritte (a meno che non vengano malevolmente cancellate). Sono andato a rileggerne alcune ieri sera, e debbo dire che una buona fetta di esse, sul Presidente della Repubblica, l’avevano davvero sparata grossa. Sono opinioni così sintetizzabili: ‘Mattarella ha tradito la Costituzione e si è messo in un vicolo cieco, perché ha impedito alla volontà degli elettori di prendere forma al governo, tutto questo per consentire a Cottarelli (“mr. Spending review”, sic!) di sottometterci al giogo di Markel e Draghi e di svendere l’Italia ai tedeschi, cancellando la sovranità nazionale”.
Ditemi se ho sbagliato la sintesi. Purtroppo, fatemelo dire, la crisi della sinistra non è solo colpa di una classe dirigente che sarebbe incapace di cogliere la realtà e di una élite politica che non vedrebbe l’ora di fare pastette coi renziani, ma anche di una certa base di militanti (chiamiamoli ancora così) che esercitano un potere dirigente sulle piattaforme social e che appaiono sempre più in difficoltà, a loro volta, a fare e capire la politica. Per carità, mi ci metto anch’io per primo. Ma una parte di verità è anche questa, diciamolo.
Il caso ‘Mattarella’ è una specie di cartina al tornasole dello stato della sinistra. Quella che era una sacrosanta difesa di prerogative costituzionali (che gli avremmo rimproverato se non l’avesse messa in atto) è stata scambiata per una guerra contro il popolo italiano. Le legittime osservazioni verso un ministro (talmente legittime che la minaccia di impeachment è stata ritirata nello spazio di una mattino, e Savona è stato spostato altrove) sono state commentate come la protervia di un killer mandato qui direttamente da Mr. Euro a far fuori le tasche degli italiani. Senza dimenticare che, secondo taluni, le istituzioni non sono democratiche, no, sono anzi la forma che avrebbe assunto il potere merkeliano in Italia, e dunque non andrebbero difese. Tutto ciò in linea con il vecchio motto antistatalista (‘si abbatte ma non si cambia’) e in curiosa consonanza con l’ideologia dello Stato minimo liberista. Quel che è peggio è che il nostro linguaggio e la nostra cultura, ormai, sono infarciti di parole e frasi dedotte direttamente dalla cronaca politica quotidiana: tecnocrati, establishment, sovranismo nonché molti termini economici buttati giù alla rinfusa. Sono parole e registri che non ci differenziano granché dall’uso che ne fanno Salvini, i 5stelle e molti ‘tecnici’ in abito blu e opinionisti di ogni sponda politica possibile che oggi occupano le tv.
C’è un grigiore nell’analisi politica, un correre dietro al mainstream teorico e linguistico che non mi meraviglio affatto produca, poi, giudizi scombinati. Chi pensa che basti rinnovare la classe dirigente sbaglia di grosso. Il male ormai è ovunque. Non c’è più memoria della politica come lavoro, possibilità, ricerca, sguardo sulle contraddizioni altrui, prassi umile ma coraggiosa. Ed è un peccato. È il segno di una sconfitta.