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di Marco Cedolin 12 luglio 2016
Ci troviamo oggi di fronte ad una serie d’investimenti di portata epocale, operati da parte dello Stato e finalizzati alla costruzione di nuove infrastrutture ferroviarie. Per avere un’idea delle grandezze economiche oggetto della questione, basti pensare che i costi della sola tratta TAV Torino – Milano – Napoli si aggirano sugli 80 miliardi di euro, ai quali andranno aggiunti gli 11 miliardi di euro (previsti quindi soggetti ad incrementi esponenziali) della linea Torino – Lione, più altri investimenti nell’ordine delle decine di miliardi di euro per la futura tratta Milano – Venezia – Trieste e per il terzo valico Milano – Genova.
Le infrastrutture per i treni ad Alta Velocità dovrebbero rappresentare comunque un valore aggiunto all’attuale rete ferroviaria italiana, non potendo vantare caratteristiche funzionali atte a migliorarla, né tanto meno a sostituirla. Senza soffermarci ad analizzare la mancanza di motivazioni che sostengano la necessità delle nuove infrastrutture, dovrebbe essere prerogativa imprescindibile di ogni investimento aggiuntivo il fatto che la rete ferroviaria oggi operativa sia perfettamente funzionante, il più possibile sicura, sufficientemente moderna, e totalmente in grado di rispondere alle normali esigenze del traffico su rotaia.
Facciamo dunque un breve viaggio all’interno delle ferrovie italiane per renderci conto in quale stato di salute versino e se veramente possiamo permetterci di destinare le risorse altrove…..
Circa due terzi del sistema ferroviario italiano è costituito da linee a binario unico, una percentuale nettamente superiore a quella degli altri Paesi Europei più avanzati, quali Gran Bretagna, Olanda, Francia, Svizzera, Germania e Belgio.
In alcune regioni la situazione sotto questo aspetto è drammatica, in Valle d’Aosta non esiste un solo chilometro di doppio binario sugli 81 esistenti, in Abruzzo i chilometri a doppio binario sono solo 96 sui 541 totali, in Molise 23 su 266, in Basilicata 24 su 368, in Sicilia 146 su 1387.
Ma a preoccupare maggiormente non è tanto l’arretratezza delle infrastrutture esistenti, quanto l’assoluta incapacità del sistema ferroviario italiano di garantire un servizio sicuro e al limite della decenza in tutte le sue componenti.
Mentre si progettano treni super veloci, con veemenza ed impeto i treni attuali continuano a deragliare, a scontrarsi, ad accumulare ritardi, a fermarsi nel bel mezzo della campagna per la rottura di locomotori che risalgono alle guerre puniche, ad accogliere i viaggiatori in carrozze infestate da cimici, zecche e perfino scorpioni, a mostrare una realtà all’interno della quale nulla funziona.
Non funzionano le stazioni, antiquate, gestite in maniera inadeguata, sporche e con informazioni per i passeggeri spesso frammentarie e di difficile consultazione.
Non funziona la programmazione dei convogli, molti dei quali giornalmente vengono soppressi senza procedere all’adeguata informazione, mentre altri sono costretti a restare fermi in attesa dell’incrocio con il convoglio proveniente dalla direzione opposta, costringendo i passeggeri ad attese che rasentano l’eternità.
Non funzionano le carrozze ferroviarie, dove spesso il riscaldamento è rotto, parimenti ad ogni altro congegno meccanico o elettronico, fino a far si che i vari interruttori messi in bella mostra somiglino a tante piccole lucine prive di significato.
Non funziona il sistema delle coincidenze, pregiudicato a monte dai cronici ritardi che le rendono solo fantasiose ipotesi stampate sulla carta.
Non funziona la nuova gestione dei lavoratori, ispirata al dumping contrattuale che privilegia i tagli indiscriminati di costi e personale, caricando gli oneri sulle spalle dei viaggiatori, sotto forma di disservizio acuto e generalizzato.
Ma soprattutto non funzionano, o meglio non sono adeguati, i sistemi di sicurezza che dovrebbero tutelare l’incolumità fisica di passeggeri e ferrovieri, come l’ennesimo tragico incidente ferroviario di Roccasecca dimostra purtroppo senza possibilità di appello. Negli ultimi anni si è assistito ad una sequela continua di gravi incidenti che si sono succeduti con una frequenza impressionante.
Il 14 maggio 2003, si scontrano due treni a Roma e molte persone rimangono ferite.
Il 6 dicembre 2003, nei pressi di Quarto Oggiaro (MI) un convoglio urta una motrice ferma sullo stesso binario e deraglia, provocando il ferimento di 14 persone, 5 delle quali in modo serio.
Il 18 dicembre 2003, a Viterbo un treno finisce per errore su un binario morto, dove si scontra con un carrello – gru utilizzato per i lavori sulla ferrovia. Il capotreno muore in ospedale, ma non si riscontrano feriti fra i passeggeri.
Il 9 gennaio 2004, un treno senza macchinisti a bordo si muove improvvisamente come per magia (in realtà per effetto della forza di gravità) dalla stazione di Calalzo (BL) e percorre alcuni chilometri a binario unico, in discesa in direzione Belluno. Fortunatamente le carrozze non deragliano sulla statale che corre parallela alla linea e la Polizia Ferroviaria riesce a far sgombrare in tempo utile la linea dagli altri convogli in transito. Il malfunzionamento dell’impianto frenante e la mancata attivazione degli strumenti di blocco, sembrano all’origine dell’incidente.
Il 20 marzo 2004, a Stresa, deraglia l’ultima carrozza del treno diretto in Francia, proprio mentre sopraggiunge un altro convoglio in direzione opposta. L’urto fra la motrice e la carrozza deragliata è inevitabile e le conseguenze sono di 1 morto e 37 feriti.
Il 26 marzo 2004, deraglia, fortunatamente senza ribaltarsi il convoglio Como – Milano, passeggeri e macchinisti nell’occasione rimangono illesi.
Il 16 maggio 2004, nei pressi di Genova, il locomotore del treno passeggeri proveniente da Livorno, deraglia a causa di una rotaia deformata e colpisce una casa sfondandola per metà. Nell’incidente muore una donna e 38 persone rimangono ferite.
Il 13 settembre 2004, a Cuneo deraglia il treno proveniente da Torino, il bilancio è di 2 morti.
Il 3 dicembre 2004, nei pressi della stazione di Palagianello (TA) si scontrano un treno merci ed un convoglio passeggeri, nell’incidente rimangono ferite 6 persone, di cui 2 gravemente.
Il 7 gennaio 2005, a Crevalcore, a pochi chilometri da Bologna, su una linea a binario unico, un convoglio interregionale diretto a Bologna si scontra con un treno merci carico di pesanti barre di ferro, che procede in direzione opposta. L’impatto è terribile e provoca 17 morti (fra i quali 4 macchinisti e un capotreno) e 80 feriti.
Il 20 dicembre 2005, nella stazione di Roccasecca (FR) un treno carico di pendolari e studenti diretto a Campobasso, lanciato a 120 km/h tampona il convoglio Roma – Cassino, ancora fermo in stazione. Un uomo muore in ospedale, la sua figlioletta resta a lungo in coma e si contano una sessantina di feriti, molti dei quali in gravi condizioni.
Il 29 giugno 2009 a Viareggio un treno che trasporta 14 cisterne cariche di gpl deraglia e nello scoppio che ne consegue muoiono bruciando come torce 32 persone.
Il 12 luglio 2016 (oggi) due treni si scontrano frontalmente su un tratto di linea a binario unico fra Andria e Corato, provocando la morte di 25 persone (il bilancio è ancora provvisorio) ed il ferimento di altre 50.
Le cause di un numero d’incidenti di questa enorme rilevanza non può attribuirsi alla fatalità, ma va ricercato nella presenza di due elementi di rischio, quali l’arretratezza dei sistemi di sicurezza ed il taglio indiscriminato del personale ferroviario. La gestione di tipo “manageriale” delle ferrovie e la volontà di tagliare in maniera sempre più sostanziosa i finanziamenti a favore della rete ferroviaria tradizionale, incanalando tutte le risorse disponibili nel progetto dell’Alta Velocità, sono alla base di questi risultati. Le scelte operate hanno determinato la distruzione totale di tutto quel sistema di organizzazione del lavoro (uffici verifiche, uffici veicoli, officine e reparti di manutenzione ferroviaria) che rappresentava il principale caposaldo della sicurezza del trasporto.
Sui due terzi dell’intera rete ferroviaria italiana (oltre 10.000 km.) il sistema di sicurezza, denominato “blocco meccanico Fs. è obsoleto e si affida alla segnaletica e alla professionalità di macchinisti e capotreni.Laddove il binario è unico, il capostazione deve fare in modo che i treni che procedono in opposte direzioni non si scontrino, perciò, attivando a distanza dei semafori, ottiene che un treno arrivi in stazione restando sul «binario di corsa» e l’altro venga deviato su uno secondario. I semafori, piazzati laddove occorre rallentare, sono sempre due, preceduti da tre cartelli che ne annunciano la presenza. Il primo semaforo «di protezione» anticipa al macchinista che tipo di segnale troverà al secondo semaforo, quello «di arresto», 1.500 metri dopo. Se il primo è verde, sarà verde anche il secondo, quindi la velocità potrà essere mantenuta. Se invece è giallo, è probabile che l’altro sarà rosso, perciò occorre iniziare a rallentare da subito. Se il macchinista non vede il primo semaforo, c’è sempre la possibilità che possa vedere il secondo e rallentare. Ma, se non vede neanche questo, c’è poco da fare. Il capostazione, che segue su un pannello i movimenti dei treni, può solo sperare che il treno proveniente dalla parte opposta non abbia ancora raggiunto i propri semafori, perché in questo caso può mandargli il rosso e fermarlo, altrimenti lo scontro è inevitabile.
La maggior parte delle linee italiane (11.300 km su 16.000) sono prive del Sistema Controllo Marcia Treno (SCMT) indispensabile per la sicurezza. Tale sistema funziona attraverso punti informativi distribuiti lungo il percorso, interfacciati con gli impianti di segnalamento che forniscono informazioni in tempo reale al macchinista, il quale può correggere ogni errore, con la prerogativa che il treno verrà bloccato automaticamente nel caso questo non avvenisse. Lungo le linee prive di SCMT, per evitare il costo della presenza di un secondo agente in cabina di guida che sarebbe in questo caso indispensabile, si ricorre all’escamotage dell’apparecchio Vacma. Tale apparecchio inutile e dannoso, ben lungi dall’esprimere un qualche contenuto tecnologico consiste semplicemente in un pedale che il macchinista deve pigiare ripetutamente come un robot ogni 55 secondi per tutta la durata del viaggio. Occorre mettere in evidenza come il sistema VACMA sia pericoloso, in quanto focalizzando l’attenzione del macchinista all’interno della cabina rischia di distoglierla dai segnali presenti all’esterno, nonché ricordare che importanti studi medici hanno giudicato tale sistema nocivo per la salute del macchinista stesso.
Sulle nostre linee manca inoltre il sistema radio internazionale, attivo da tempo sui mezzi interoperabili europei, che per mezzo di ponti radio dedicati presenti lungo la linea garantisce il perfetto funzionamento in qualsiasi situazione geografica. I macchinisti sono così costretti a servirsi dei normali cellulari commerciali, con tutti i limiti in termini d’immediatezza, affidabilità e semplicità d’uso a cui si aggiungono le enormi difficoltà di comunicazione dovute alle zone d’ombra presenti nella rete.
Da un’indagine condotta nel mese di ottobre 2005 da Altroconsumo, su un campione di 5.000 pendolari lombardi, il 75% si è dichiarato globalmente insoddisfatto dalla qualità del servizio, con punte che arrivano al 94% d’insoddisfazione fra gli utenti della tratta Milano – Novara. Le maggiori cause d’insoddisfazione rilevate sono state nell’ordine la mancanza d’informazione in caso di disservizi, la scarsa pulizia delle carrozze e dei bagni, l’eccessivo affollamento, il malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento, i ritardi e la mancata sicurezza delle condizioni di viaggio.
Il materiale rotabile è vecchio e in cattivo stato di conservazione, mancano i finanziamenti e spesso per effettuare la riparazione di un locomotore si attinge a pezzi di ricambio prelevati da un altro locomotore della stessa specie. Le locomotive diesel usate per il trasporto regionale hanno un’età media di 23,8 anni, quelle elettriche di 21,3 anni, le motrici diesel cargo di 31,4 anni, i vagoni delle vecchie “littorine” ancora numerosissimi arrivano a un’età media di 44 anni. La maggior parte dei 50.000 carri merci esistenti sulla rete ferroviaria italiana ha un’età media di 30/40 anni.
Queste cifre più adatte a un museo ferroviario che non all’attività su rotaia di un paese che ama definirsi tecnologicamente avanzato, dimostrano quanto sia prioritaria la necessità di un immediato rinnovo del parco circolante.
Ogni giorno vengono soppressi tra 200 e 300 treni, poiché manca il personale che dovrebbe guidarli, oppure mancano fisicamente le carrozze o le motrici.
Si concreta dunque in tutta la sua disarmante evidenza la realtà di un sistema ferroviario drammaticamente in crisi in ogni sua componente, da quelle legate alle infrastrutture, piuttosto che alla sicurezza, ai mezzi o all’operatività del personale.
Gli investimenti miliardari dispensati a piene mani per il progetto dell’Alta Velocità, appaiono se possibile ancora più insensati ed inutili se osservati alla luce dello stato di profonda agonia nel quale versano le nostre ferrovie. Così come risulta del tutto incomprensibile l’assoluta disinvoltura con la quale il mondo politico s’infervora sulla necessità di costruire linee per treni che sfrecceranno a 300 km/h da un capo all’altro dell’Europa, mentre il nostro sistema ferroviario attuale arranca nell’arretratezza e non riesce neppure a trasportare con un minimo di decenza i pendolari per poche decine di chilometri.