di Fausto Anderlini – 17 aprile 2017
Risorgeremo ? Un pensiero pasquale per il camelloporco.
Menando fama di esperto elettorale, una sera della seconda metà dei ’90 fui invitato in una antica e gloriosa sezione del Psi autogestita da un gruppo di ostinati cultori di un garofano andato malamente sgualcito. Il luogo era una specie di museo. Ai muri i ritratti dei leader socialisti storici, Craxi compreso, vecchie bandiere, bei manifesti in quello stile art nouveau e florealistico che l’Avanti fece proprio sin dalle origini. Sul retro della sala c’era un ufficio con al centro una scrivania in radica sopra la quale erano impilati con ordine elenchi, tessere e bollini. Dietro di essa stava seduto un anziano signore che sembrava di cera. Fu come scendere in un sarcofago colmo di cimeli. Fatta la mia relazione gli sparuti presenti, fino a quel momento pietrificati e meditabondi, si attizzarono e mi investirono vieppiù concitati con una stessa domanda: “dove sono finiti i sei milioni di elettori socialisti” ? Il tono era disperato e minaccioso, quasi li avessi rubati io quei voti…
E’ un rovello tipico delle diaspore: ritrovare il popolo disperso, riunificarlo di nuovo. E riportarlo alla terra avita. Ma il dramma socialista, con le sue tinte fosche e talvolta ridicole – laddove gli orfani democristiani erano molto più compassati (avendo pur sempre una chiesa agibile per fare penitenza) – anticipò una più generale condizione psicologica. Essi si sentivano reietti, vittime di una ingiustizia immotivata e di un orribile contrappasso. Dopo tanta consuetudine con il potere e il jet set, all’insegna di uno scanzonato edonismo ‘laico’, non si davano una ragione, tanto enorme gli appariva la gogna. Perciò vivevano come contumaci, in attesa della resurrezione. O più prosaicamente di una vendetta riparatrice. L’odio verso noi, i post-comunisti, divenne viscerale e la cosa ci induceva un sottile piacere. Noi, allora, pensavamo d’esserci immunizzati da quel triste destino, grazie alle abili escogitazioni politiche ed all’auto-iconoclasi simbolica messe in atto alla caduta del muro. Ci compiacevamo di non essere rimasti schiacciati da quei calcinacci, mentre i socialisti, poverini, erano finiti seppelliti sotto la pioggia di monetine del Raphael. Non ci passava per la testa alcun de te fabula narratur. Solo adesso sappiamo che sbagliavamo e che quella sicumera post-comunista tempo al tempo sarebbe stata punita.
Dov’erano andati quei sei milioni lo si sapeva. A destra. La più gran parte con Forza Italia, un gruzzolo con la Lega, pochissimi coi vari partitini della diaspora, da Boselli a De Michelis, quasi nessuno col Pds e il centro-sinistra in genere, malgrado lo sforzo di D’Alema e dei miglioristi di mettere la mordacchia all’imperante giustizialismo dipietrista e di radunare quanti più residuati possibili sotto il tetto dei Ds. Inoltre l’elettorato socialista degli ’80 era un composto vieppiù lasco. La componente di ‘appartenenza’ si era ormai ridotta ai minimi termini. Molta gente, più spesso appartenente alle piccole classi medie in ascesa al seguito della prima terziarizzazione, votava socialista per ragioni utilitarie, perchè sedotta dal decisionismo craxiano o solo perchè refrattaria alle due chiese, cioè incline a una modernità sui generis. L’elettorato del resto – e il rilievo vale in generale – ha una consistenza fluida: attorno a nuclei strutturati e fidelizzati tramite l’organizzazione di partito o i rapporti personalizzati, ruotano masse di votanti volatili decisamente in soprannumero. E’ una deformazione delle narrazioni ideologiche, specie quando drammatizzate da stati diasporici, confondere l’aggregato composito e situazionale delle distribuzioni di voto con un ‘popolo’ strutturato in modo militante. Che certo può disperdersi in seguito a qualche accidente, ma che proprio per questa supposta invarianza identitaria può al caso essere radunato, riorganizzato, ‘fatto ritornare’, ‘andato a riprendere’.
Ma così non è, e men che meno nelle situazioni di crisi e mobilità politica, quando le identità si fanno incerte o mutano vorticosamente e la memoria collettiva si accorcia sul presente o i futura del momento. A suo tempo, mentre i militanti della diaspora, sia socialista che democristiana, confidavano in un improbabile ritorno di nostalgia, la grande operazione di Berlusconi fu di comprendere che era inutile e nefasto far indugiare gli elettori che erano stati conniventi coi partiti collassati del penta-partito in una sofferta e colposa rielaborazione del lutto. Meglio allettarli con un ‘sogno’, riverginandoli d’un colpo in un lavacro con ingredienti ben noti (ad esempio il ‘fattore K’) ma apparentemente ‘nuovo’.
Ed ora veniamo a noi, rottami e rottamati dell’ultima diaspora, post-comunista e post-democratica. Lo stato dell’arte, dopo la scissione, è questo: nello spazio compreso fra il M5S, il Pd e il mondo sommerso dell’astensionismo, cioè nell’habitat del camelloporco in divenire, insistono diversi frammenti, e personaggi in cerca d’autore. Molti residui di corpi militanti e compositi detriti di ceto politico. Per ora non molti elettori, essendo i rilievi demoscopici confinati a un range fra il 5 e il 10 %, tutto considerato. Sinistra italiana e i civatisti, Mdp, i pisapii, gli aspiranti caudilli del sud, il mozzicone di Rc. Costituenti socio-politiche e programmatiche diverse: sulla moneta unica e l’europa, l’immigrazione, il rilievo più o meno incisivo conferito alle issues post-materialistiche e civili, persino la dislocazione sulla frattura-madre referendaria (i pisapii che vorrebbero dar lezioni a tutti hanno votato Sì, nè sino ad ora si son degnati di un’autocritica). In questo spazio angusto Mdp ha il ruolo più centrale e si avvale del gruppo più dotato e riconosciuto di classe politica. Cosa che però ne costituisce anche il limite. Sia perchè larga parte dell’elettorato disperso della sinistra ha con i vecchi leaders un rapporto di odio-amore (giudicandoli responsabili del caos, pur’anche in buona fede), sia perchè l’enfasi posta sulla ‘sinistra di governo’ non è il miglior viatico per gestire una necessaria fase oppositiva.
Più in generale il mercato elettorale appare abbastanza cristallizzato nell’attuale tripolarismo. Chi nella sfera del camelloporco pensa di inventarsi una marcia trionfale alla Podemos non tien conto che il M5S tiene saldamente in mano la rendita oppositiva dell’alienazione sistemica. E chi invece inclina alla sinistra coalizionale e di governo finisce per portare acqua alla rendita sistemica di governabilità di cui il Pd resta il depositario più ccreditato. Malgrado il cattivo odore che emana dalla plancia di comando. Il Pd renziano è indebolito e sconterà a breve anche la possibile defezione di ciò chje resta della sinistra interna, ma un big bang analogo a quello che infierì sul Pasok appare ad oggi improbabile.
Anche dove sono andati i milioni di elettori della sinistra lo sappiamo: nel M5S e nell’astensione, mentre una parte ancora residua nello stesso Pd. Sono quote di elettorato stimabili in un quarto almeno delle diverse popolazioni. Se il camelloporco fosse in grado di richiamare a sè questi elettori la sua area potenziale sarebbe attorno al 25 %. Il quarto polo. La sinistra. Ma per le ragioni suddette per innescare questo vortice centripeto bisognerebbe corrispondere a due condizioni dirimenti.
Innanzitutto mettere in campo qualcosa che corrisponda alla particolare alienazione psicologica che asseconda la diaspora degli elettori di sinistra. Per superare il sedimento rancoroso della crisi fiduciaria che hanno sofferto non serve un richiamo al ‘grande ritorno’. Per tornare davvero ci vorrebbe un progetto che porti altrove, che nella sua trascendenza metta cioè fine al lutto per il passato andato perduto. Vaste programme. Per il quale si chiedono consigli….
E poi bisognerebbe fondere, o almeno federare sotto una guida autorevole e con un solido impianto programmatico sui temi sociali, perciò capace di emettere l’immagine di un progetto d’ordine, ciò che si muove entro l’habitat ristretto del camelloporco. Una Siriza all’italiana. Senza un nucleo minimo di massa critica capace di attrazione non si va da nessuna parte.
E comunque solo se capiamo che siamo morti risorgeremo. Forse.