La sinistra da rottamare e quella da reinventare

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: Il Manifesto
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di Michele Prospero

Esi­ste, in potenza, un ampio spa­zio a sini­stra per la nascita di un nuovo sog­getto poli­tico. La posi­zione, in atto, del dise­gno di un’altra for­ma­zione poli­tica urta però con­tro dif­fi­coltà di vario genere.

Soprat­tutto l’incertezza cul­tu­rale riguardo ai tratti della crea­tura nascente è lo sco­glio da rimuovere.

Non si occupa uno spa­zio dispo­ni­bile solo per­ché si appro­fitta di un vuoto di rap­pre­sen­tanza con scal­trezza tat­tica e scor­cia­toie organizzative.

Occorre uno sforzo di pen­siero per affi­nare una pro­po­sta cre­di­bile entro una con­giun­tura storica.

Un pen­siero poli­tico rivolto all’agire com­prende tre dimen­sioni: ideo­lo­gica, cul­tu­rale e orga­niz­za­tiva. L’ideologia è ciò che con­sente a un gruppo di col­lo­carsi in auto­no­mia nelle con­trad­di­zioni spri­gio­nate dalle ten­denze dell’epoca attuale. L’ideologia è cioè quel cata­logo di cre­denze che for­ni­sce un’efficace dose di sem­pli­fi­ca­zione nella let­tura dei con­flitti. E’ un con­den­sato di schemi inter­pre­ta­tivi, di sug­ge­ri­menti erme­neu­tici per la rapida deco­di­fica dei pro­cessi attra­verso la lente di un punto di vista par­ziale. Nell’indeterminatezza iden­ti­ta­ria del Pd, un rife­ri­mento alla nostal­gia (radici, sim­boli, memo­rie, imma­gi­na­rio) ha un sicuro impatto in una fascia rile­vante di opi­nione, che si sente spae­sata e offesa. Oltre alla tra­di­zione, l’ideologia, per inci­dere nell’agire col­let­tivo, ha però biso­gno di uno spi­rito di com­bat­ti­mento che si eser­citi nella cri­tica radi­cale del tardo capi­ta­li­smo (esclu­sione gene­ra­zio­nale, vul­ne­ra­bi­lità sociale e dise­gua­glianze di status).

Il nuovo sog­getto deve for­nire ele­menti per una rein­ven­zione dell’identità della sini­stra dopo la resa della social­de­mo­cra­zia euro­pea alle spinte espro­pria­tive di diritti, e alle ondate di pre­ca­riz­za­zione del lavoro pro­prie del capi­ta­li­smo post­mo­derno. Una sini­stra gene­ri­ca­mente anta­go­ni­sta e radi­cale, ideata in un qual­che labo­ra­to­rio, non può in alcun modo schi­vare l’obiezione pre­li­mi­nare di Engels. Nelle demo­cra­zie esi­stono tec­ni­che elet­to­rali e con­ge­gni isti­tu­zio­nali bipo­lari che, egli scri­veva, trac­ciano un «party govern­ment, che fa sem­brare per­duto ogni voto che ricada su un can­di­dato che non sia stato pre­sen­tato da uno dei due par­titi di governo. E l’americano, così come l’inglese, vuole influire sul suo Stato e non butta via il suo voto». Per que­sto, ad una sini­stra cri­tica e iden­ti­ta­ria, spetta un grande lavoro per non appa­rire irri­le­vante nella demo­cra­zia dell’alternanza e per non essere per­ce­pita come un intral­cio nelle forme della con­tesa bipo­lare impo­sta dall’Italicum. Dall’ideologia e dalle corde della memo­ria, deve scen­dere al piano riser­vato alle mosse ispi­rate all’efficacia politica.

Occorre un inve­sti­mento in cul­tura poli­tica che mostri che quello dato a un nuovo sog­getto non è un voto inu­tile ma un anti­doto allo sci­vo­la­mento verso un insi­dioso regime plebiscitario.

Una bat­ta­glia di cul­tura poli­tica con­tro il lea­de­ri­smo e la nar­ra­zione del popu­li­smo di governo, pone la nuova sini­stra in una fun­zione cru­ciale per il recu­pero della demo­cra­zia costi­tu­zio­nale. Alla difesa di un modello di demo­cra­zia cal­pe­stato, la sini­stra deve aggiun­gere un dise­gno rea­li­stico per rian­no­dare que­stioni vitali che mobi­li­tano movi­menti di pro­te­sta, per ospi­tare sen­si­bi­lità soli­da­ri­sti­che lai­che e reli­giose, per dare ascolto alle richie­ste di sog­get­ti­vità e alle riven­di­ca­zioni di libertà. La scom­messa è una sini­stra che, oltre al pre­si­dio della rap­pre­sen­tanza e della costi­tu­zione, si radi­chi nel sociale e nei con­flitti del pre­sente. Può farlo con un’interlocuzione ricca e con un rac­cordo trac­cia­bile con il sin­da­cato, con l’associazionismo diffuso.

La man­canza di una sini­stra con un’esplicita con­no­ta­zione ideo­lo­gica e con un tocco di classe è all’origine della deca­denza etica del ceto poli­tico e la ragione ori­gi­na­ria dei feno­meni di anti­po­li­tica. Nota­bili senza scru­poli, ras avidi di potenza, lea­der gasa­tis­simi dall’ingegnere del capi­tale, sono il risul­tato di una poli­tica pra­ti­cata come pura arena elet­to­rale, come ammi­ni­stra­zione senza pen­siero, come com­pe­ti­zione senza iden­tità. Un con­ti­nuum ine­stri­ca­bile oggi lega, ad ogni livello isti­tu­zio­nale, poli­tica e affari. Un con­nu­bio tra denaro e potere si riscon­tra in occi­dente, ed è ben scol­pito nelle con­suete pra­ti­che di governo nego­ziato tra le buro­cra­zie e le agen­zie pri­vate. Dopo la scom­parsa dell’autonomia poli­tica del lavoro, l’organicità dei governi agli inte­ressi del capi­tale è strut­tu­rale, senza rime­dio nel gioco com­pe­ti­tivo attuale.

L’identità di una moderna sini­stra di classe, di popolo e di cit­ta­di­nanza (che aggre­ghi inte­ressi subal­terni, pra­ti­che di demo­cra­zia, istanze di libertà indi­vi­duale) è la prima rispo­sta alla que­stione morale che nella sua viru­lenza è ricon­du­ci­bile gene­ti­ca­mente alla per­dita di auto­no­mia della poli­tica rispetto all’agenda redatta dalle potenze del capi­tale. Il Pd è l’emblema del par­tito estro­verso e sca­la­bile, per­ché privo di auto­no­mia, iden­tità, radi­ca­mento sociale. La sua osses­sione per il capo (nella scuola, nell’azienda, nel governo) è orga­nica alla fisio­no­mia di un par­tito del denaro, dell’impresa, dei media che accom­pa­gna al potere le idee (la scuola pub­blica è uno “sti­pen­di­fi­cio”) e gli inte­ressi (la pre­ca­rietà e sva­lo­riz­za­zione per via giu­ri­dica del lavoro) della destra economica.

Un par­tito nuovo a sini­stra non può che nascere da uno spi­rito di ini­mi­ci­zia verso lo scam­bio regres­sivo pro­po­sto dal governo della nar­ra­zione tra modi­che ridu­zioni delle tasse sulla casa e cospi­cuo abbat­ti­mento delle poli­ti­che pub­bli­che e dei diritti sociali, con le cosid­dette riforme strut­tu­rali che depo­ten­ziano ogni dignità del lavoro, depri­mono la sua stessa forza con­trat­tuale. Se la rivolta con­tro il mito dell’uomo solo al comando, che stra­pazza le rap­pre­sen­tanze sociali e poli­ti­che, è la cul­tura poli­tica e isti­tu­zio­nale di rife­ri­mento, la con­se­guenza orga­niz­za­tiva che ne deriva è piut­to­sto trasparente.

La sini­stra deve archi­viare la sug­ge­stione per la per­so­na­liz­za­zione della lea­der­ship a lungo acca­rez­zata nelle micro for­ma­zioni esi­stenti. Un par­tito che voglia rico­struire la media­zione smar­rita tra Stato e società non può vivere nell’ossessione della lea­der­ship, che non è il punto di par­tenza, ma lo sbocco natu­rale di un pro­getto di cul­tura poli­tica condiviso.

Nel grado ele­vato di cor­ru­zione della poli­tica, incen­ti­vato dalla tra­ge­dia civica del pre­si­den­zia­li­smo muni­ci­pale e regio­nale, solo da un cen­tro, da un gruppo diri­gente coeso ma plu­rale, può sca­tu­rire un impulso per il rin­no­va­mento dell’agire poli­tico. Il nodo, nella para­bola di un movi­mento poli­tico allo stato nascente, non è quello di pre­de­fi­nire chi sarà il capo ma, lo aveva com­preso Gram­sci, di avere la con­sa­pe­vo­lezza che «l’esistenza di un gruppo di capi­tani, affia­tati, d’accordo tra loro, con fini comuni non tarda a for­mare un eser­cito anche dove non esiste».

Michele Prospero (Il Manifesto del 21/07/2015)

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