La sinistra possibile

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Walter Tocci
Fonte: facebook
Url fonte: http://waltertocci.blogspot.it/2014/12/e-possibile.html

E’ possibile  di

Intervento all’assemblea La sinistra? Possibile promossa dall’area di Pippo Civati a Bologna. 13-12-2014 

Nel vedervi così numerosi mi sono tornate in mente le passioni di un anno fa. Portammo nelle primarie il sogno di un Pd mai visto prima. Non siamo riusciti a realizzare il sogno. Ops, manca una parola in questa frase, suona meglio così: non siamo ancora riusciti a realizzarlo.

Il nostro pensare in positivo non è stato accolto. Il nostro temere il negativo ha avuto troppo successo. Per una minoranza è davvero un guaio avere ragione sul lato negativo, perché rischia di trovarsi peggio di prima. Infatti, mi ha stupito una frase di Renzi – “Se fallisco io viene la troika” – parole pesanti, forse rivolte proprio a noi, certo una drammatizzazione per ottenere altre deleghe in bianco. Tuttavia, non è di poco conto che il segretario abbandoni per un attimo il racconto mirabolante e metta in conto la sconfitta. Cambia l’allure del renzismo, finisce l’età del’innocenza, della freschezza e dell’ottimismo; si affaccia un atteggiamento più cupo, ultimativo e senza alternative; il gioco si fa quindi più duro nella vita interna e torna il linguaggio cameratesco della disciplina. Non dobbiamo farci incupire. E’ possibile non è solo il nome di un’associazione, di più è uno sguardo positivo sulla sorte del Pd e della sinistra italiana.

Quella frase – … viene la troika – rivela che il leader si sente inseguito, come chi è alla guida ed essendo incalzato dall’automobile che viene dietro finisce per sbagliare strada svoltando a destra anche se non è necessario. È successo proprio così con la cancellazione dell’articolo 18 e lo scontro con i sindacati. È stata proprio la svolta sbagliata; da quel momento il governo ha cominciato a perdere consensi e ha interrotto la luna di miele con il Paese. Ma era proprio ciò che voleva la troika. Renzi così credeva di avere più forza in Europa e invece appena ha approvato il Jobs Act l’establishment ha cominciato a maltrattarlo. Ieri Juncker ha abbandonato il solito aplomb e ha usato parole beffarde vero il governo italiano. Sembrava volesse dire: bravo ragazzo hai quasi finito i compiti, fra un po’ non avremo più bisogno di te.

Come è potuto succedere che un leader vincente arrivasse in meno di un anno a dire se fallisco io… Che peccato aver sprecato il semestre europeo senza che l’Italia proponesse una svolta all’Europa. Che peccato aver smarrito il capolavoro renziano, quel fantastico 41% di voti che aveva portato il Pd a diventare la prima forza della sinistra europea. I cinque leader del Pse in maniche di camicia alla festa dell’Unità non doveva rimanere una bella foto per i giornali, ma doveva essere l’inizio di una politica di grande respiro nel Parlamento europeo, nei rapporti diplomatici, nella produzione culturale e soprattutto nel messaggio ai cittadini europei. Una proposta forte della sinistra europea per un passo avanti nell’unità politica e istituzionale dell’Europa e un passo indietro per la revisione delle regole autolesionistiche che, nello sconcerto degli esperti a livello internazionale, stanno impoverendo il continente spezzandolo tra aree forti e deboli.

Le occasioni perse quest’anno vanno ribaltate come svolte politiche per l’anno prossimo. Era bello lo slogan Cambiare verso, ma purtroppo il grande Rottamatore ha preferito attuare l’agenda dei rottamati. Tutte le riforme annunciate in questi mesi sono la ripetizione estenuata di errori già commessi dai leader del passato.

Vent’anni dopo le leggi Treu, ancora vengono a raccontarci la panzana secondo cui lo sviluppo si crea diminuendo i diritti del lavoro. Il tutto mentre si rinviano le scelte davvero urgenti, come il reddito minimo e soprattutto gli investimenti in conoscenza per creare nuove imprese e lavoro qualificato.

Per venti anni si è sfigurato il paesaggio italiano, e ora vengono proposte le trivelle del decreto Sblocca-Italia invece di avviare una profonda riconversione ecologica del territorio italiano.

A parole si vuole archiviare il Porcellum, ma l’Italicum ci darà un Parlamento in gran parte di nominati, quando sarebbe davvero urgente restituire lo scettro ai cittadini affinché possano guardare in faccia, riconoscere e controllare gli eletti.

Era stata promessa una rivoluzione nel partito, ma è cambiato solo il brand – i vecchi notabili in periferia hanno omaggiato il nuovo leader per continuare a gestire i vecchi interessi, non sempre leciti – senza attivare alcun controllo che consenta di arrivare prima della Magistratura a espungere il malaffare. Questa è la lezione amarissima di Roma, che non deve più ripetersi.

Noi della minoranza avevamo proposto alle primarie un Pd capace di dare buona prova di sé di fronte all’opinione pubblica, chiamando i cittadini delle primarie anche nei giorni feriali a decidere sulle cose importanti, a valorizzare le buone pratiche frutto dell’impegno generoso di migliaia di militanti, a mettere in rete competenze, cittadinanza attiva e le tante risorse disponibili a impegnarsi.

Abbiamo provato a cambiare il Pd ma le nostre forze non potevano bastare. Nel voto alla Camera sul Jobs Act è emersa un’area di sinistra più vasta e per la prima volta più unita. A guidarla non può essere la vecchia guardia. Deve essere la nuova generazione – tu, caro Civati, insieme a Cuperlo e Fassina – a prendere il timone della sinistra del Pd. È una forza che può fare molto se si unisce e incalza la maggioranza con proposte innovative, contrastando con decisione le scelte sbagliate. È un fatto nuovo nella vita interna – prima non c’era questa possibilità. La partita dentro il Pd non è persa, anzi è ancora tutta da giocare. Solo adesso possiamo cominciare.

D’altro canto, il Patto repubblicano che presentiamo qui a Bologna è uno strumento per unire le forze di sinistra ancora disperse, le associazioni, i gruppi e i singoli militanti che non si ritrovano nel Pd. C’è da raccogliere la disponibilità preziosa di Sel a un lavoro comune anche in Parlamento, insieme ai parlamentari che si sono liberati dall’autoritarismo di Grillo. Soprattutto, la ricostruzione della sinistra politica dispone oggi di un referente sociale in quel movimento dei lavoratori che si è messo in cammino sotto le bandiere della Cgil. Anche questo impegno è appena cominciato.

C’è molto da fare, sia all’interno che all’esterno del Pd. E le due direzioni di lavoro non sono in contrasto tra loro, anzi si aiutano a vicenda. Se riusciremo a spostare l’asse politico del Pd anche su questioni parziali, aiuteremo la mobilitazione nella società. Se il Patto repubblicano si diffonderà non mancherà di influenzare anche la discussione interna.

Dobbiamo lavorare con entrambe le mani. Poi valuteremo cosa avremo costruito nella realtà sociale e politica, e come e dove proseguire. Tutto è possibile, appunto, con una sola certezza: la sinistra si colloca dove sono le forze vive del cambiamento.

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