Per la sinistra occorre un’élite plurale. La retorica dal basso ora non serve

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
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di Michele Prospero – 23 giugno 2017
Un tempo si sarebbe detto: i compiti della sinistra nella fase attuale. In questo passaggio, che proietta verso il voto e assegna le posizioni chiave nei blocchi di partenza, nulla dovrebbe essere sbagliato nelle scelte tattiche. Il più grave errore sarebbe quello di navigare a vista, con accelerazioni alla cieca o chiusure poco ponderate. C’è comprensibilmente attesa, e ciò giustifica il gran movimento nei teatri e il fermento nelle segrete stanze. Si affacciano aspiranti federatori che chiamano a raccolta la società civile, antichi padri nobili si propongono come ispiratori di saggezza per l’ex uomo solo al comando. Grandi manovre si intrecciano, alcune mirano a proteggere Renzi con qualche “collante”, altre a intrappolarlo con presunta destrezza nei gazebo, qualcuna a disegnare una coalizione alternativa al Pd.
Il quotidiano “Repubblica”, proprio in questi momenti chiave, sente che il suo tempo è giunto. E ha per l’occasione preparato almeno tre carte. La prima è quella di mantenere a galla Renzi, e di benedirlo come argine a una destra che è già pronta a spiccare il volo. La seconda carta annuncia la mossa Gentiloni, da conservare al potere nello sforzo teso ad evitare la divisività della leadership renziana con un premier dal contegno più rassicurante. L’obiettivo di mantenere a galla il Pd (sia nella variante a conduzione Renzi sia in quella a guida Gentiloni) viene sostenuto anche con la terza carta gettata sul tavolo. La discesa di Pisapia come leader del nuovo ulivo è la invenzione più rilevante perché, al tempo stesso santifica la centralità del Pd come attore imprescindibile, e sterilizza le velleità di crescita autonoma degli scissionisti poco graditi alla D’Alema.
Con il suo traino mediatico, con l’aggiunta alla causa del nuovo centrosinistra della assistenza alla regia di Prodi, il calcolo di Pisapia è di attrarre nella sua avventura almeno una parte del Mdp, quella che non osa resistere al venticello ulivista e alla chiamata alle armi dell’élite dell’europeismo. Entro il movimento di Bersani e D’Alema le acque sono per questo agitate, e lo saranno ancor più nei prossimi giorni. E’ forse difficile per il modernizzatore Bersani non rispondere presente alle invocazioni neoilluministiche, per il rilancio europeista, che vengono non tanto da Pisapia ma da Prodi, Letta (se aggiungerà un suo posto al tavolo). E comunque una certa ritrosia nei movimenti tattici si spiega. A meno di clamorose offese ai federatori, con improvvide uscite dello statista di Rignano, il percorso di Pisapia, che è quello di aiutare il Pd con la mistica dell’unità bloccando i lavori in corso a sinistra, ha possibilità di successo. Quando Renzi annuserà che, come tentativo di sterilizzarlo nelle primarie, quello di Pisapia non ha un seguito di massa tale da impensierirlo, ed è perciò destinato all’oblio, aiuterà egli stesso una parvenza di dialogo perché una sigletta amica comunque gli serve per castrare gli scissionisti rendendoli innocui (soprattutto dopo una eventuale partecipazione al torneo nei gazebo).
Per questo i registi dell’operazione Pisapia non coltivano per davvero l’obiettivo strategico massimo di conquistare la leadership; il calcolo loro è piuttosto, da un lato, di mitigare il furore di Renzi con custodi ragionevoli, dall’altra di dividere il fronte, di inibire cioè la comparsa di una più grande sinistra, di un soggetto nuovo e non di pura testimonianza. L’apertura unitaria verso il Mdp (altro che fischi dal basso!) deve essere una preoccupazione costante della sinistra perché il fallimento di quella fuga dal Nazareno minerebbe le possibilità di costruire una alternativa rilevante. Il mito sempre a galla della società civile con camice bianche e computer con la mela a fare mostra non dovrebbe offuscare che l’importanza strategica primaria è oggi quella di condurre l’insieme del Mdp ad una politica unitaria con le sinistre. Ogni sforzo per un percorso unitario va fatto, anche il più velleitario, perché altrimenti la coalizione da inventare cambia di segno. Occorre però mettere nel conto anche la eventualità di una scomposizione del Mdp e confidare che almeno D’Alema (accostato in un intervento del Brancaccio ai nemici dell’umanità in via di redenzione ma da accogliere con i giusti fischi) prosegua nella sua azione di disturbo (che lo rendono sempre degno di certe ravvicinate attenzioni mediatiche) e di ricostruzione di uno spazio culturale autonomo per la sinistra.
Al disegno di Pisapia, di esercitare una attrazione fatale verso le vecchie élite progressiste della seconda repubblica per ricondurle all’ordine della responsabilità dinanzi alla discesa barbarica, bisogna contrapporre una strategia efficace, per non correre il rischio che la possibile decomposizione del Mdp si ripercuota sull’aggregazione di una sinistra plurale. La requisitoria sugli errori commessi in vent’anni, in un delirio di storia politica giustiziera alla ricerca del colpevole, oltre che impolitica (bisognerebbe rileggere quanto su queste pratiche spicciole scriveva Gramsci) è sterile e perdente. Bisogna elaborare un nuovo pensiero, non fare il processo verbale per imputare colpe irreparabili, distribuite sui protagonisti di un quarto di secolo tutto quanto raffigurato come fallimento, tradimento, deviazione. La riflessione politica è più complessa delle fughe semplificatrici. Il Brancaccio è uno degli stimoli, non l’unico strumento possibile di intervento nei processi. Se l’obiettivo politico è quello di una lista civica, l’adunata molto partecipata di via Merulana può contribuire a raccogliere le forze che nelle città si sono mobilitate e a dare loro una sponda più generale.
Ma la lista civica può essere una delle componenti del processo, non certo l’approdo, la sintesi ricompositiva di soggettività eterogenee. Una lista civica può concorrere con le forze politiche e sociali organizzate, i movimenti, le personalità a definire una coalizione plurale che è però cosa più ampia del civismo. La coalizione, in tal senso, è un progetto più articolato e strutturato, che non può essere riconducibile a una lista civica dai contorni generici. Sarebbe un errore analitico assai grave quello di trasferire meccanicamente le offerte politiche, che hanno già mostrato un pregnante senso mobilitante in ambito cittadino (da Bologna a Padova), in un contesto politico nazionale che obbedisce a ben altre logiche aggregative-concorrenziali. Si tratta di diversi sistemi, uno locale e l’altro nazionale, che non possono essere confusi nelle offerte politiche, pena la sconfitta di proposte elettorali non calibrate rispetto alla specifica dimensione della contesa.
Dopo il tempo di un’assemblea, a tratti calda e con qualche inflessione comiziante, con esclusioni ingiustificate verso i comunisti italiani, dopo la suggestione di un giusto appello a muoversi rapidamente, serve l’invenzione politica per non disperdere i processi avviati, di per sé positivi ma non sufficienti. Il rischio è che dopo il Brancaccio predomini una ridotta elettoralistica connotata per il vuoto di pensiero lungo e di organizzazione chiamata società civile. La finzione della società civile e delle metafore orizzontali svelano la carenza di gruppi dirigenti. Le leadership della sinistra trovino i tempi per incontrarsi nei modi antichi e lanciare una proposta unitaria con un programma minimo, nel senso di selettivo-fondamentale, sul quale costruire una battaglia collettiva e di massa.
Dopo i teatri affollati e la piccola piazza romana come ultimo diversivo per cercare di rinviare il momento che obbliga a unire o separare i percorsi, la parola deve tornare alla politica, alla costruzione strategica che eviti cose già viste (l’Arcobaleno, l’Altra Europa per Tsipras) e soprattutto tonfi annunciati per una eccessiva approssimazione e coazione a ripetere. Come forza centrale nell’arcipelago della sinistra plurale, proprio SI, proiettando l’azione oltre generosi appelli o convocazioni dal basso per redigere programmi massimi in passerelle di 5 minuti, può stringere un confronto produttivo che vada dai due soggetti comunisti alle liste civiche, dalle città ribelli, ai movimenti sui beni pubblici e comuni al Mdp (sarebbe una gran cosa se tutto il movimento rimanesse un soggetto unitario). Proprio perché le forze sono eterogenee non si può partire dal basso, occorre una visione politica.
Le assemblee aperte al pubblico, dietro l’apparenza di un afflato unitario nato dalla spontaneità, senza una conduzione politica efficace accentuano le distanze, forzano i toni, semplificano le immagini, non riducono le frizioni. La specifica forma retorica che accompagna queste esibizioni teatrali, volte all’effetto scenico e all’applauso facile della platea, si addice molto per la seconda fase, quella della conquista di un seguito di massa, ma non è utile che intervenga già nella prima fase, che esigerebbe invece il lavoro paziente di un’élite plurale consapevole delle differenze e però disponibile a trovare i necessari momenti di coesione. Gramsci avrebbe ancora molto da insegnare sul rapporto tra capitani ed esercito nella costruzione dei processi politici ed organizzativi.
Con differenze e storie molteplici che stipulano tra loro un’intesa politica, serve confronto e reciproco riconoscimento. Che è altra cosa del temuto assemblaggio di ceti politici in difficoltà che propongono un’offerta elettorale strumentale al superamento dello sbarramento. Spoliticizzare i nodi, appaltandoli a federatori che li lasciano magicamente dileguare in quanto interpreti del basso, è una illusione che prepara uno scacco politico. Tocca a gruppi dirigenti adeguati alla sfida trovare il coinvolgimento, scatenare la partecipazione, suscitare curiosità attorno a una proposta politica nuova. E SI può essere il mastice di questa difficile composizione unitaria che invoca, alla maniera gramsciana, l’azione di élite politiche con un progetto, non retoriche orizzontalistiche che mai risolvono l’enigma dell’inizio: chi è che autorizza qualcuno a parlare in nome del basso?
Michele Prospero
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1 commento

espa 27 Giugno 2017 - 0:51

concordo in parte, spero proprio che michele prospero, abbia partorito questo scritto, prima delle ultime dichiarazioni di pisapia che si smarca da renzi e afferma di voler costruire un soggetto di sinistra autonomo.

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