La sfida di Tsipras: cambiare la Grecia senza soldi né alleati

per Gabriella
Autore originale del testo: Filippo Maria Pontani
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://ilmanifesto.info/la-sfida-di-tsipras-cambiare-la-grecia-senza-soldi-ne-alleati/

di Filippo Maria Pontani,

A Bruxelles il governo di Atene non ha trovato gli appoggi che sperava. E in casa si trova spinto da sinistra a rispettare il programma elettorale.

Il morale, per ora, è alto. Quando nei suoi con­certi la popo­lare can­tante Elef­the­rìa Arva­ni­taki intona la strofa «non andrò via di qui, que­sto è il mio posto», il pub­blico la accom­pa­gna con impeto, quasi facendo pro­prie quelle parole in uno slan­cio di appar­te­nenza e di orgo­glio. Come sot­to­li­neato da Tsi­pras la sera stessa de la vit­to­ria, e come riba­di­sce anche il maga­zine di Vima dedi­cato ai talenti under 30 rima­sti in patria, la fuga dei cer­velli migliori verso l’estero (la Ger­ma­nia in pri­mis) è una delle pia­ghe più serie per la Gre­cia e per tutto il Mez­zo­giorno d’Europa (Ita­lia inclusa), forse per­fino più grave — nel medio periodo — rispetto ai mas­sicci tra­sfe­ri­menti di capi­tali dalle ban­che elle­ni­che a quelle stra­niere (ben 26 miliardi da dicembre).

Ecco: chi oggi vive in Gre­cia prova l’orgoglio di una poli­tica final­mente vera, di un governo che, pur senza osten­tare trion­fa­li­smi o toni nazio­na­li­stici, forte di una fidu­cia al 76% prova a riac­qui­stare dignità, a riven­di­care la sovra­nità accan­to­nando anni di ammi­ni­stra­zione con­trol­lata e pro­po­nen­dosi come deci­sore a pari titolo delle isti­tu­zioni euro­pee, anzi giun­gendo a inse­diare una com­mis­sione par­la­men­tare per inda­gare su chi ha con­dotto il Paese — in un modo secondo gli esperti del tutto inco­sti­tu­zio­nale — den­tro il buco nero del Memo­ran­dum.
Tut­ta­via, dinanzi al risve­glio della coscienza popo­lare si pro­fila len­ta­mente l’impotenza di un ese­cu­tivo dram­ma­ti­ca­mente a corto di denari (forse baste­ranno per gli sti­pendi di marzo: negli ultimi mesi si sono avute minori entrate per 1,5 miliardi, e le coper­ture per gli inte­ressi sono ancora da tro­vare), e aper­ta­mente osteg­giato, al di là di cra­vatte e pac­che sulle spalle, da tutti i part­ner euro­pei. La strada del com­pro­messo, bat­tuta finora dai greci con con­su­mata destrezza e lavo­rando senza posa su ogni inter­sti­zio e ogni spi­ra­glio, è ancora per­ce­pita dai più come l’unica per­cor­ri­bile, e sicu­ra­mente lo è. Ma sul piano poli­tico — a meno di fatti nuovi — asso­mi­glia a una parete ver­ti­cale, in cui si gua­da­gna un po’ di tempo e qual­che eti­chetta, ma non si pos­sono cam­biare dav­vero le carte in tavola.

Per que­sto, l’accordo con l’Eurogruppo del 25 feb­braio è aper­ta­mente denun­ciato dalla Piat­ta­forma di sini­stra, che rap­pre­senta da sem­pre un set­tore rile­vante di Syriza e che non vote­rebbe a favore in caso di un pas­sag­gio par­la­men­tare. Nella dire­zione del par­tito è finita 92 a 68 per il segre­ta­rio: un esito inquie­tante, che ha indotto Tsi­pras a evi­tare in ogni modo di met­tere l’accordo in vota­zione alla Vulì, giac­ché la spac­ca­tura di Syriza e un pro­ba­bile voto favo­re­vole di Pasok, Potami e Nea Dimo­kra­tía signi­fi­che­rebbe la crisi di governo imme­diata e la fine del sogno. L’incognita è se il mas­si­ma­li­smo di Lafa­za­nis (lea­der della Piat­ta­forma) rap­pre­senti un salu­tare pun­golo al governo, o possa spin­gersi fino a far sal­tare il banco: Tsi­pras è dinanzi a un deli­ca­tis­simo gioco di equi­li­bri­smo. Ma non perde tempo: sono già depo­si­tati quat­tro dise­gni di legge per bloc­care i pigno­ra­menti delle abi­ta­zioni sotto i 300 mila euro, per ridare l’energia elet­trica a 30 mila fami­glie e con­tri­buti ali­men­tari ad altre 100 mila, per rateiz­zare i debiti di 3,7 milioni di per­sone fisi­che e pic­cole imprese, per ria­prire la tele­vi­sione di stato (Ert) chiusa da Sama­ràs due anni fa. E si riparla fat­ti­va­mente della cit­ta­di­nanza ai figli degli immi­grati e della chiu­sura dei Cen­tri di deten­zione ed espul­sione per i clan­de­stini, veri e pro­pri lager con­tro cui si sca­gliano dai muri delle città i cen­tri sociali più intransigenti.

D’altra parte, il sem­plice fatto che le prime misure uma­ni­ta­rie — in parte a gra­vare sulla ridu­zione dell’avanzo pri­ma­rio dal 3 all’1,5% — ven­gano con­dan­nate da Schäu­ble come «atti uni­la­te­rali» fa capire che nell’Europa poli­tica (quella delle isti­tu­zioni, vana­mente con­trap­po­sta da Tsi­pras a quella della troika, come se le due non rispon­des­sero al mede­simo orien­ta­mento) la bat­ta­glia di Atene con­tro l’austerità non gode di alcun soste­gno. Baste­reb­bero uno o due grandi Paesi per aprire un fronte, ma l’operazione non è riu­scita, Renzi e Hol­lande non hanno alcuna inten­zione di ini­mi­carsi Mer­kel, in Spa­gna le ele­zioni sono ancora lon­tane, Irlanda e Por­to­gallo van­tano le loro più o meno pre­sunte suc­cess sto­ries e sono i più aspri oppo­si­tori delle pre­tese greche.

La que­stione è ideo­lo­gica: Schäu­ble e i Paesi del nord devono mostrare al mondo (in pri­mis a spa­gnoli e irlan­desi) che la strada indi­cata da Tsi­pras è per­dente. Le riforme pre­tese dall’Eurogruppo sono le stesse della troika, quelle che Tsi­pras ha aper­ta­mente rifiu­tato, pre­fe­ren­done altre: Varou­fa­kis vuole ridurre e uni­fi­care l’Iva al 15%, anzi­ché aumen­tarla come pro­messo da Sama­ràs; il mini­stro Kuru­blìs ha escluso qua­lun­que taglio alla sanità, e ha anzi già usato 24 milioni per pagare final­mente le notti dei medici degli ospe­dali pub­blici dal 2012 al 2014. Lafa­za­nis, che è anche mini­stro dello Svi­luppo, ha annul­lato la pri­va­tiz­za­zione del vec­chio aero­porto, ha bloc­cato le con­ces­sioni per il deva­stante sfrut­ta­mento mine­ra­rio cana­dese in Mace­do­nia e ha riba­dito che i porti rimar­ranno in mano pub­blica. Il pre­si­dente del mag­gior ente ener­ge­tico ha dichia­rato che terrà lon­tani i car­telli delle mul­ti­na­zio­nali e ha rin­no­vato i con­tratti di lavoro per tre anni. Si rein­tro­dur­ranno a breve i con­tratti col­let­tivi e dal 2016 il sala­rio minimo sarà aumen­tato (forse gra­dual­mente, forse non per tutti) del 20%. La lotta all’evasione e alla cor­ru­zione, così come la ristrut­tu­ra­zione del set­tore pub­blico, sono bensì final­mente cre­di­bili, ma daranno frutto solo nel medio periodo — quel tempo che l’Europa non pare dispo­sta a concedere.

Nulla incarna l’irriducibile alte­rità di prin­ci­pio meglio del best-seller da set­ti­mane in cima a tutte le clas­si­fi­che: Par­lando di eco­no­mia a mia figlia di Ya­nis Varou­fa­kis (Pataki 2013). In que­sto pré­cis di eco­no­mia mar­xi­sta, lucido e impie­toso, il popo­lare mini­stro scio­rina un’analisi sto­rica e macroe­co­no­mica fon­data sul pro­blema delle dise­gua­glianze e sul nesso per­verso fra gover­nanti ban­chieri e capi­tale; un’analisi con­vin­cente, ma del tutto incom­pa­ti­bile con i prin­cipi stessi sui quali è nata l’unione mone­ta­ria oggi vigente. Si rac­conta che in una delle ultime riu­nioni dell’Eurogruppo — in cui le ricette del governo Tsi­pras veni­vano respinte come too poli­ti­cal — il mini­stro di un impor­tante Paese sia sbot­tato con­tro la pre­tesa di Varou­fa­kis di «inse­gnarci come va il mondo». In man­canza di alleati, e senza un euro in cassa, si pos­sono (e si devono) otte­nere pic­coli van­taggi stra­te­gici, si può (e si deve) scom­met­tere sui mar­gini di “oscu­rità crea­tiva”; ma è lecito il sospetto di una scon­fitta annun­ciata, in quanto per­vi­ca­ce­mente voluta dai governi dell’Europa, incu­ranti del rischio delle sva­sti­che, e non­cha­lants se in Gre­cia il 44,3% della popo­la­zione è oltre la soglia di povertà, la disoc­cu­pa­zione balla attorno al 26%, e nelle città, dove il valore degli immo­bili è sceso del 40% in tre anni, la deva­sta­zione è palese nelle strade, nelle per­sone “nor­mali” che vagano sper­dute, non pos­sono più curarsi e zop­pi­cano o dor­mono sotto il cielo.

Il festi­val del docu­men­ta­rio di Salo­nicco (da oggi al 22 marzo), offrirà una serie di pre­ziosi lavori rela­tivi a scio­peri, licen­zia­menti, sanità e immi­gra­zione. Su tutti, Il pesce sul monte di Stra­tula Theo­do­ra­tou sul crollo dei can­tieri navali a Pèrama, e Agorà di Ghior­gos Avghe­rò­pu­los, dove il ter­mine antico nel titolo non desi­gna più la piazza della demo­cra­zia antica, ma l’onnipotente mer­cato che opprime, deprime e — vio­len­te­mente — reprime.

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