di Raniero La Valle – 23 gennaio 2019
Sabato scorso c’è stato a Milano, al Palazzo Reale, un convegno promosso dall’associazione “Laudato Sì”, di Mario Agostinelli e don Virginio Colmegna, sul tema della salvezza della Terra, in sintonia con le istanze dell’enciclica di papa Francesco. Il pericolo in effetti c’è ed è imminente: un riscaldamento di due gradi della temperatura globale non potrebbe essere sopportato dall’ecosistema. Nel colloquio sono confluite molte esperienze e lotte e proposte, e il suo esito è stato confortante, perché sono state chiare le diagnosi, e sono stati indicati gli strumenti e i rimedi per salvare dall’olocausto ecologico la terra e tutti quelli che vivono in essa. Il contributo portato al dibattito da “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” è stato di dire che però questo sarà possibile, a condizione che prima facciamo un’altra cosa, che è di fondare un’unica società umana.
Ci vorrà la politica, il diritto, l’economia, ma prima ancora ciò dovrà essere oggetto di una grande decisione antropologica. Non è affatto scontato infatti che l’umanità sia una, e che gli uomini e le donne siano eguali tra loro. Per molti secoli questa verità è stata negata e si è invece teorizzata una diseguaglianza per natura tra gli esseri umani; la storia della diseguaglianza è una storia dolorosissima di signori e servi, schiavi e liberi, popoli eletti e scartati, donne appropriate e negate, razze e caste, predazioni e genocidi. Si dovette arrivare al Novecento perché l’unità umana e l’eguaglianza delle persone e delle nazioni grandi e piccole (come dice lo Statuto dell’ONU), fossero alfine riconosciute dalla cultura e proclamate nelle grandi Carte dei diritti e delle libertà fondamentali, anche se poi non attuate.
Esse però sono oggi di nuovo negate in via di principio, ripudiate dalla politica e frantumate dal sistema economico; e il genocidio del popolo dei migranti è oggi perpetrato da tutti noi.
Questo vuol dire, come abbiamo scritto l’altra volta, che occorre tornare ai nastri di partenza, dobbiamo decidere di nuovo ciò che vogliamo essere, se una società di eguali o una società di ammessi e scartati.
È una decisione dirimente, come molte altre del passato. È come la scelta di fronte a cui si trovò il popolo ebreo che era emigrato in Egitto. Lì si trattava di decidere quale visione dell’Egitto adottare, tra le due che ne presenta allo stesso tempo la Bibbia: l’Egitto come terra di schiavitù sotto il Faraone, o l’Egitto come terra dell’abbondanza, che sfama i figli d’Israele durante la carestia, e poi accoglie “nella parte migliore del paese” lo stesso Giacobbe, i suoi figli e i suoi discendenti. La scelta del popolo ebreo fu di rifiutare l’Egitto del Faraone, di rinunciare alla falsa sicurezza della stabilità, alla permanenza in una identità oppressa, e di mettere invece in gioco se stesso, di uscire dall’Egitto, di andare incontro a popoli nuovi e ad abitare terre nuove e promesse, e fu la scelta dell’esodo, della traversata del deserto, della liberazione.
Un’altra scelta cruciale fu quando il popolo ebreo, reduce dall’esilio a Babilonia, si trovò a decidere se doveva cominciare una nuova vita di libertà e di incontro con gli altri, oppure se doveva restaurare le condizioni che lo avevano portato alla rovina, se doveva tornare alla teocrazia del tempio, alla servitù della legge, alla purità etnica. Lì la scelta, con Esdra e Neemia, fu quella della restaurazione, del ripristino della legge, della costruzione del secondo tempio, della chiusura identitaria fino all’obbligo del ripudio delle mogli straniere; fu in qualche modo l’argine messo alla profezia e la nascita del sionismo.
L’insegnamento per noi oggi è che dopo la caduta, dopo il suicidio della politica, dopo l’esilio della democrazia che abbiamo patito in questi anni, dopo l’irruzione dei populismi, non si può semplicemente tornare al passato, rappezzare i vecchi partiti, tornare alle cipolle d’Egitto o della Banca mondiale, occorre fare una cosa nuova, mettere del vino nuovo in otri nuovi.
L’altra scelta dirimente fu storicamente quella di Gesù e del suo principale apostolo Paolo: la scelta tra il Dio della vendetta e il Dio della misericordia, il passaggio da un solo popolo alla comunione con tutti i popoli, l’obiezione alla legge dei precetti e delle esclusioni e il passaggio alla libertà dello Spirito e alla gratuità del perdono e dell’accoglienza.
Un’altra scelta cruciale fu compiuta alla fine dell’Impero, quando a Roma il Senato bruciava e il popolo era in lutto; ma il papa Gregorio Magno invece di intonare i lamenti della disfatta, intonò il canto della liberazione perché nuovi popoli si erano affacciati alla storia, i Barbari parlavano la “lingua dei santi”, gli Angli erano evangelizzati e nasceva l’Europa inclusiva di san Benedetto, antidoto all’Europa costantiniana e carolingia che sarebbe poi sfociata nella visione teocratica di Gregorio VII, da cui siamo da poco usciti.
Una scelta devastante fu poi quella compiuta dalla cultura europea quando decise che gli Indios non erano uomini, che i neri si potevano trarre come schiavi e che gli operai, come dirà Locke all’inizio della rivoluzione industriale, non erano in grado di ragionare meglio degli indigeni, e cominciò così l’età degli Imperi e dei genocidi, fino a Hitler.
Ma ci sono anche le grandi scelte, i salti di qualità compiuti dalle rivoluzioni moderne, quella americana, francese, sovietica, quella del costituzionalismo postbellico e c’è la scelta del Concilio Vaticano II quando la Chiesa decise che si dovesse annunciare Dio in modo nuovo, per giungere fino alla rivoluzione di papa Francesco.
Oggi siamo a una scelta di questo tipo, ma questa volta ne va della integrità o della frantumazione del mondo. Ideologie politiche, dottrine economiche, culture giuridiche, religioni, messianismi e letture apocalittiche sono tutte chiamate a consulto per decidere che cosa fare del mondo. E anzitutto c’è il dovere di resistere all’anomia, all’offensiva del potere senza legge che si fa legge a se stesso, e questa è una resistenza messianica, come quella invocata dall’apostolo Paolo come “forza frenante” o “katécon” da opporre alla distruzione.
Ma poi la scelta primaria da fare è quella dell’unità umana, dell’umanità unita come soggetto politico e autore della storia, la scelta di una vera globalizzazione, non del denaro e dei traffici, ma degli uomini e delle donne di spirito e di carne, porti aperti e mura abbattute, non marce verso frontiere serrate o barconi doloranti di migranti e di naufraghi non più salvati per il divieto dei governi, ma navi treni ed aerei di linea e percorsi di accoglienza e integrazione al servizio di quel diritto primordiale e universale che è il diritto di migrare, il diritto di piantare le tende per realizzare se stessi e il proprio destino in qualunque lembo di quest’unica terra, casa comune di tutti.