Fonte: Limes
1. L’invasione dell’Ucraina lanciata dalla Russia il 24 febbraio 2022 ha alterato gli equilibri strategici europei. Fino ad allora l’Europa fronteggiava condizioni di instabilità a sud per via dei flussi migratori e a est per la lunga e sanguinosa guerra in corso dal 2014 nel Donbas.
Non si trattava certo di problemi minori, ma erano molto più gestibili della situazione attuale: un vasto conflitto in Ucraina scatenato e combattuto da Mosca con l’assistenza della Bielorussia; una dirigenza russa tutt’altro che avversa al rischio e le cui vere intenzioni strategiche sono ardue da discernere; uno sforzo intenso da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati per sostenere e rifornire l’esercito ucraino; un ampio ventaglio di possibili escalation dovute all’intenzionale rilancio russo, all’errore o al desiderio di uno o più attori in campo di giungere a un esito definitivo. Dal 1945 e di nuovo dopo il 1991, anno del crollo dell’Unione Sovietica, Washington ha avuto un chiaro obiettivo nel Vecchio Continente: renderlo unito, libero e pacifico. Gli Usa devono ora ritararsi su un’Europa che l’ombra della guerra sta velocemente ridefinendo.
La storia può aiutare quanti si accingono a realizzare tale aggiustamento. In particolare, la dottrina del contenimento messa in atto durante la guerra fredda è un riferimento rilevante per l’attuale politica estera statunitense. Il contenimento sorse a fine anni Quaranta del Novecento in risposta alle sfide poste dall’Urss, soprattutto in Europa.
Era una dottrina esplicitamente creata per l’èra nucleare, nella quale viviamo tuttora; una via di mezzo tra gli obiettivi massimalisti di una guerra convenzionale come quella contro la Germania nazista e una passività (o un quietismo) che avrebbe potuto consentire a Mosca di avanzare verso ovest. Il contenimento era strategia a un tempo politica e militare per mitigare o arrestare l’espansione della potenza sovietica, dunque era proiettata sul lungo periodo. Il suo architetto, il diplomatico statunitense George Kennan, non si aspettava che avesse successo in mesi o anni, bensì in decenni. Aveva perfettamente ragione.
Nel 2022 il contenimento può concorrere a indirizzare la politica statunitense verso la Russia in tre modi. Primo: può fornire chiarezza strategica, evidenziando che il fine ultimo di Washington è invertire o arginare l’espansione della potenza russa in Ucraina e altrove in Europa. Secondo: può connettere gli obiettivi militari a quelli politici, come il fatto che gli Stati Uniti, sostenendo l’Ucraina, si facciano promotori della democrazia in quanto tale e di un ordine internazionale sorretto da princìpi democratici e diritti umani. Terzo: può aiutare a descrivere ciò cui la politica estera statunitense non mira: un cambio di regime in Russia, una guerra totale contro Mosca, una condotta priva di limiti e cautele.
La prima accezione del contenimento, nei tardi anni Quaranta, era il desiderio di contenere l’Unione Sovietica. La seconda, meno nota, si applicava agli Stati Uniti: per sopravvivere e prosperare nell’èra atomica, l’America doveva limitare alcuni aspetti della sua potenza nella lotta contro l’Urss. Ora deve fare altrettanto contro la Russia di Vladimir Putin.
2. Il contenimento venne forgiato per affrontare una situazione strategica completamente nuova. L’Urss non minacciava direttamente gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, i due paesi erano stati alleati nel conflitto. La sfida portata da Mosca era la combinazione di forza militare – le sue armate erano dilagate in mezza Europa durante la guerra – e seduzione politica attraverso i partiti comunisti presenti nel mondo. Quando Kennan concepì il contenimento, temeva questa combinazione; paventava ad esempio che i comunisti avrebbero potuto vincere le elezioni in Italia e che ciò avrebbe permesso all’Urss di prendere il controllo del paese. Sebbene in questa prima fase il principale teatro della guerra fredda fosse l’Europa, la combinazione di forza politica e militare era fonte di potenziali problemi in molte parti del mondo, specie da quando la Cina, nel 1949, divenne un alleato comunista di Mosca. Questo ampliò e rafforzò, agli occhi statunitensi, la realtà della guerra fredda come confronto globale, che tale rimase fino al 1991.
Il contenimento rifletteva il disaccordo in seno all’élite statunitense circa la sua interpretazione. Kennan lo aveva immaginato in chiave più politica che militare; credeva che gli Stati Uniti dovessero fare tutto il possibile, apertamente o meno, per ridurre il richiamo del comunismo nei paesi dove i sovietici esercitavano maggiore influenza. Una questione chiave in Europa e altrove era l’adesione in buona fede al comunismo da parte di individui, partiti e Stati che in tal mondo si consegnavano al dominio dell’Urss o della Cina di Mao. Altri intendevano il contenimento come strategia soprattutto o unicamente bellica, un dovere di contrastare l’influenza militare sovietica e cinese dovunque si affacciasse (specie in Corea nei primi anni Cinquanta e in Vietnam dalla fine del decennio). Questa divergenza spiega la natura duplice, politico-militare, del contenimento.
Che fosse perseguito in chiave prevalentemente militare o politica, tale strategia era sempre dinamica. Presupponeva il coordinamento di esercito, intelligence e diplomazia statunitensi. Ciò poteva implicare l’attiva difesa di Berlino Ovest; l’intervento in Corea o in Vietnam; le azioni della Cia in paesi come il Guatemala o l’Iran, dove gli Stati Uniti concorsero a rovesciare governi; il sostegno degli indipendentismi oltre la cortina di ferro; la pubblicizzazione dello stile di vita americano; l’alleanza con realtà religiose come il Vaticano o i mujāhidīn in Afghanistan. Il contenimento forniva una chiara direzione alla politica estera statunitense durante la guerra fredda.
La postura era più attiva nelle aree contese, dove gli Stati Uniti impiegavano strenuamente il loro vasto armamentario, mentre limitavano gli sforzi verso Urss e Cina. Per Kennan l’Unione Sovietica sarebbe caduta vittima delle sue stesse contraddizioni: pensava che fosse troppo repressiva per sopravvivere indefinitamente e che non fosse abbastanza russa, essendo dunque destinata a sfaldarsi quando i russi avessero affermato la loro vera identità nazionale e religiosa. Kennan, al tempo solo in questa convinzione, non assimilava il contenimento alla promozione della democrazia. Né si aspettava che una Russia post-sovietica si sarebbe democratizzata. Occorre sottolineare che il successo del contenimento, su cui molti storici concordano, è stato tale solo verso l’Urss, mai verso la Cina. Non solo quest’ultima non è collassata, ma la sua potenza è cresciuta immensamente negli ultimi decenni e sinora gli Stati Uniti non sono stati capaci di arginarne la crescente influenza politico-economica.
Il contenimento era un’arma politica contro figure filosovietiche come Henry Wallace, vicepresidente di Franklin Delano Roosevelt, da questi rimpiazzato con Harry Truman. Ma era altresì una confutazione del roll back, la teoria che postulava la possibilità di sradicare completamente l’influenza sovietica in Europa e altrove. Per Kennan la resa incondizionata era concepibile in alcune guerre, ma era un modo sbagliato di inquadrare la situazione giacché molti conflitti, forse la maggior parte, finiscono con un accordo. Anche prima che l’Urss acquisisse l’arma nucleare, Kennan non credeva che gli Stati Uniti potessero infliggere a Mosca una sconfitta totale. Pertanto non dovevano puntare alla sua resa incondizionata, o farne la premessa della loro politica. Il pensiero di Kennan assunse un nuovo significato nel 1949, quando l’Unione Sovietica effettuò il suo primo test atomico e il costo di un confronto diretto con essa divenne esorbitante. Il contenimento divenne dunque un appello alla pazienza, all’interazione diplomatica con l’Urss (quando possibile) e allo spirito di moderazione. Il contenimento era uno sforzo di equilibrio.
3. La sfida posta dalla Russia di Putin ricorda per certi versi quella rappresentata dall’Unione Sovietica. È in parte militare, in parte politica. La sfida militare è acuta in questa fase: dal 2008, quando la Russia invase la Georgia, Putin ha attuato una politica estera espansionistica resa possibile dalla modernizzazione del suo esercito, che gli ha consentito di combattere una guerra convenzionale nel Donbas (dal 2014), di compiere spedizioni in Siria (2015) e di scatenare una massiccia invasione dell’Ucraina (2022). La retorica di Putin indica che potrebbe fare altrettanto altrove, magari usando armi nucleari, magari sul territorio di uno Stato membro della Nato.
A ciò il Cremlino può aggiungere gli strumenti del soft power: dalla diaspora russa alle reti della cristianità ortodossa, passando per operazioni coperte o palesi volte a manipolare l’ordine politico e l’informazione di paesi terzi. L’interferenza nelle presidenziali statunitensi del 2016 ne è esempio emblematico. Nel complesso, tuttavia, gli strumenti militari e politici della Russia di Putin non sono paragonabili a quelli dell’Unione Sovietica. In particolare, la Russia manca dei leali partiti comunisti o filocomunisti che tanto contribuivano ad amplificare la forza sovietica durante la guerra fredda, da Cuba al Vietnam, alla Corea del Nord.
Si stenta dunque a vedere nella Russia odierna una minaccia destabilizzante. Quel che colpisce della guerra in Ucraina è l’incapacità russa di articolare una propaganda convincente, di perorare la sua causa nel mondo e di plasmare la narrazione dei fatti. Ha avuto qualche successo in Cina, in India e nel mondo in via di sviluppo, ma ha fallito completamente in Europa. La guerra è un concentrato di atrocità e catastrofi umanitarie; molto difficilmente Putin riuscirà a dissociare la propria immagine dalle azioni del suo esercito invasore. Per molti versi, Putin ha rinvigorito il rapporto transatlantico in un modo che danneggia il suo stesso interesse. In questo 2022 la minaccia russa è dunque essenzialmente militare. Non è globale. La Russia non è in grado di estendere la sua guerra al Venezuela o a qualche paese dell’Asia, non sta nemmeno vincendo in Ucraina. Il punto centrale, allora, è fin dove Putin si spingerà militarmente nel paese che ha invaso e in quale misura i suoi disegni possono essere contrastati.
La guerra russa in Ucraina ha molte dimensioni e la risposta dell’America chiama in causa diverse parti della struttura politico-istituzionale statunitense. La guerra fredda offre un ottimo esempio di come mettere a sistema le differenti, a volte sovrapposte competenze delle istituzioni americane. Come detto, la dimensione principale dell’odierno confronto con la Russia è militare, da cui la necessità di fornire agli ucraini tutto ciò di cui necessitano per sostenere lo scontro e prevalere. Ma il conflitto ha anche un cruciale risvolto politico-diplomatico: assicurare che la guerra sia raccontata in modo veritiero e a una platea più vasta possibile. Lo scopo è ricordare al mondo la posta in gioco: il diritto degli ucraini all’indipendenza e all’autogoverno. Ma anche costruire un’ampia coalizione a sostegno dell’Ucraina, qualcosa che solo la diplomazia può fare. Infine, lo strumento fondamentale degli Stati Uniti e dei loro alleati è economico. Le sanzioni sono già in essere, l’acuirsi del conflitto imporrà costi pesanti agli Usa e alle popolazioni europee: inflazione, alti prezzi dell’energia, rincaro dei generi alimentari. Restare uniti e determinati di fronte a tutto ciò non sarà facile.
Gli Stati Uniti hanno un notevole ascendente sull’Ucraina. Il loro sostegno sta dando speranza al paese, ne sono stati a lungo partner e al termine della guerra Washington sarà un alleato chiave, utile alla ricostruzione e modello di democrazia. Non meno importante è l’impegno statunitense a garanzia della sicurezza europea mediante la Nato e altri canali. Tutto questo è in linea con l’investimento fatto dagli Usa nelle aree contese della guerra fredda.
L’America ha spazi di manovra molto più esigui verso la Russia. La caduta di Putin potrebbe essere una benedizione per Washington e la prospettiva di una Russia democratica non dovrebbe essere accantonata, ma in Europa si sta alzando una nuova cortina di ferro che ridurrà notevolmente l’influenza statunitense su Mosca. Con ogni probabilità le sanzioni esaspereranno la popolazione russa: privi di leve e con un’opinione pubblica russa in gran parte alienata, gli Stati Uniti sconteranno seri limiti nella loro politica estera verso la Russia.
La brutalità della guerra di Putin, la prima grande guerra nell’èra dei social media, ha generato sentimenti globali di repulsione e un immenso rigetto, politico e morale. Ciò ha aiutato a imporre le sanzioni e a fornire rapidamente aiuti militari all’Ucraina. Questo stesso clima può indurre a soluzioni rapide che mettano fine in modo netto a questo terribile conflitto. Ma i dilemmi strategici della guerra fredda restano: la resa incondizionata della Russia è fuori discussione, perché il paese ha l’esercito convenzionale più grande d’Europa e gli Stati Uniti non sono nella posizione di sconfiggerlo in Ucraina, men che meno in territorio russo. Un’escalation militare non è da scartare, per questo oggi il contenimento conserva il suo duplice scopo: arginare la Russia in Europa contenendone il formidabile esercito e la modesta forza politica, scongiurare un’escalation militare sconsiderata da parte degli Usa e dei loro alleati.
4. A differenza dell’Unione Sovietica, l’odierna Russia non è una superpotenza globale. La necessità di contenerla non diverrà il principio ordinativo della politica estera americana, come lo era stato il contenimento dell’Urss durante la guerra fredda. È bene non sovrastimare le capacità russe, specie alla luce di quanto male è andata finora per Mosca la guerra in Ucraina. La débâcle strategica di Putin potrebbe dare agli Stati Uniti l’opportunità di migliorare le relazioni con la Turchia e, forse più difficilmente, con la Cina. In ballo non c’è solo il contenimento della forza russa, ma anche la gestione e a tratti lo sfruttamento della debolezza di Mosca, accentuata dalla sua scelta di scatenare una guerra onerosa, criminale e in ultima analisi invincibile.
Putin ha dimostrato di essere più spregiudicato dei leader sovietici che l’hanno preceduto. Il miglior modo di contenere la Russia è sfruttare tale spregiudicatezza, costruendo solide alleanze in Europa e in Asia finalizzate a logorare la macchina da guerra russa con le sanzioni e il blocco dei trasferimenti tecnologici. Il pensiero di lungo termine del contenimento risulta qui essenziale: rallentare la modernizzazione dell’esercito russo potrebbe non contribuire ad accorciare questa guerra, ma renderà a Mosca più difficile farne altre.
Le ragioni del contenimento vanno continuamente ribadite. Ciò spetta soprattutto ai parlamentari americani, in diretto contatto con i loro elettori. Occorre palesare all’opinione pubblica statunitense che la guerra in Ucraina non vìola solo la sovranità di quel paese e non porta scompiglio solo nelle vite degli ucraini; è un assalto ai princìpi di libertà e autogoverno.
Il contenimento non ha mai postulato il rapido collasso dell’avversario sovietico. Il suo valore sta nel modo in cui aiutò a gestire le interazioni tra Washington e Mosca, a salvaguardare interessi e valori fondamentali degli Stati Uniti e ad assicurare che il confronto non travalicasse mai in guerra aperta. Anche se Putin cadesse, è probabile che verrebbe rimpiazzato da un altro falco con militari e intelligence sempre forti. Le sanzioni dovrebbero pertanto evolvere in politica di contenimento non per indurre un cambio di regime al Cremlino, ma per consentire a Washington di affrontare efficacemente chiunque comandi a Mosca.
Il maggior pregio del contenimento sta nel realismo dei suoi obiettivi: il cambio di regime è fuori portata, idem la vittoria totale in Ucraina e la sconfitta totale della Russia sul campo, con una sua resa incondizionata. Ma Mosca ha numerose vulnerabilità e si è resa ancor più debole scegliendo di combattere una guerra sbagliata. Essa è facilmente surclassabile nel campo dell’informazione, la sua economia soffrirà pesantemente per le sanzioni e ciò ne limiterà la potenza militare nel tempo. È dunque possibile impedire alla Russia di vincere in Ucraina, forse una sua vittoria è già esclusa dal fatto che gli ucraini, a differenza dei russi, sanno per cosa stanno combattendo. Inoltre, l’aiuto fornito da Stati Uniti e alleati all’Ucraina ricalca quello dell’America al Regno Unito nei primi due anni della seconda guerra mondiale: è il cordone ombelicale del paese, un buon esempio di politica del contenimento in azione. Il successo non andrebbe misurato rispetto a fantasie massimaliste che vedano Putin e l’esercito russo scomparire dalla faccia della Terra. La potenza russa non sparirà, pertanto il successo sta nel riuscire ad arginarla. A contenerla.
(traduzione di Fabrizio Maronta)