Dopo una lunga assenza di riflessioni sulle mie lusinghe antropologiche, una giornata piovosa di fine maggio mi consente di accantonare i miei più recenti interessi agro-alimentari, ispirati dalla consapevolezza che il futuro, molto prossimo, ci riserva un parziale ma quasi inevitabile ritorno al passato: ovvero a prima del capitalismo industriale.
Tornando all’antropologia, é sorprendente costatare come tutte le scienze umane abbiano troppo spesso sottovalutato la grande importanza della Biologia nell’interpretazione di qualsiasi grande fenomeno di cambiamento coinvolgente tutta la specie Homo.
Allo scopo di tentare una spiegazione degli attuali eventi storici, fondata sui mutamenti indotti da comportamenti culturali non rispettosi dei dati biologici, credo importante indagare sulle origini delle specie animali vertebrate. Esse, in quanto nostre antichissime antenate, potrebbero indicarci il nostro legame con tutta la biosfera e il perché del grande male che ci sta arrecando. La finalità ultima é riuscire meglio a intravedere ulteriori pronosticabili devastazioni nell’ambito della specie Homo “Sapiens” (o almeno parte di essa).
Si potrebbe ricorrere alla storia delle grandi epidemie, fare confronti ed ipotizzare comportamenti da sconsigliare. Sarebbe una lunga narrazione, che potrebbe non fornire i risultati auspicati: ovvero le motivazioni profonde e cosa esattamente si é interrotto tra la «specie più evoluta del pianeta» e tutte le altre forme di vita.
La risposta forse più emotiva, ma anche più intricante, penso di doverla cercare nelle leggi che regolano la diffusione delle specie (soprattutto animali ma non esclusivamente). Ebbene, come documentano le ricerche del grande Charles Darwin e dei suoi discepoli, il primo e più importante insegnamento trasmessoci da tutte le forme di vita é la capacità di riprodursi, per trasmettere l’immenso patrimonio biologico contenuto nelle catene genetiche delle specie viventi.
Tale premessa apre la strada ad un ragionamento di tipo filologico, fondato sulla consapevolezza che la specie Homo (e i suoi antenati) nasce e si sviluppa in un ambito biologico molto complesso, ancora oggi in gran parte sconosciuto. Una spiegazione esclusivamente antropologica può far capire perché si fa largo tra tutte le altre, eliminando ciò che teme rivelarsi pericolosamente esistente. Tuttavia, credo che la risposta prioritaria rispetto al “chi siamo e dove andiamo”, resti quella squisitamente biologica, nell’ambito della naturale possibilità riproduttiva e della sua capacità di condizionare gli aspetti sociali. Per capire la profondità della valenza di detta possibilità, ritengo utile risalire alle origini della sessualità tra i vertebrati, cui anche noi apparteniamo.
A tale scopo, come parziale risultato delle mie indagini, riporto con piacere un’affermazione di Antonio Scalari, pubblicata su Pikaia: «Data l’origine acquatica dei vertebrati, si è sempre ritenuto, generalmente, che quella esterna fosse la modalità di fecondazione più antica e che la fecondazione interna (alla femmina, ndr) potesse essersi evoluta da quella esterna, non il contrario. Ma una nuova scoperta, pubblicata su Nature, sembra stravolgere le tesi sull’origine e la storia della riproduzione sessuale nei vertebrati», quale tipica modalità e finalità esistenziale.
Il protagonista sarebbe Microbrachius dicki: un piccolo pesce vissuto circa 380 milioni di anni fa, della classe dei Placodermi, pesci dotati di corazza ossea. Gli autori dello studio pubblicato su Nature, esaminando alcuni fossili di Microbrachius, avrebbero evidenziato la presenza in alcuni esemplari di appendici ossee, mentre in altri avrebbero rilevato, nella stessa regione anatomica, una coppia di placche simili a lame.
Secondo gli autori dello studio, queste appendici ossee e lamellari potrebbero costituire apparati genitali, rispettivamente, maschile e femminile. L’appendice del maschio atta ad ospitare un canale spermatico, da inserire tra le placche della femmina, introducendovi così lo sperma. Per accoppiarsi, probabilmente, il maschio e la femmina di Microbrachius si disponevano di lato, avvicinando l’uno verso l’altra i propri organi genitali.
A prescindere dalle forme strutturali (ossee e/o cartilaginee) c’è da rilevare che composizioni simili sono rintracciabili anche in fossili di altre specie di Placodermi. Quanto rinvenuto in Microbrachius dicki costituirebbe, però, l’evidenza più importante della presenza di apparati genitali in questa classe di pesci primitivi, quale testimonianza più antica, fino ad ora, di riproduzione tramite copulazione nei vertebrati.
Giacché molto importante anche per noi specie Homo, forma vivente vertebrata colpita da altre forme viventi invertebrate, detta scoperta scientifica, qualora avvalorata e supportata, farebbe capire quanto é lunga la catena evoluzionistica e quale é stata la sua vera forza esistenziale: ovvero la capacità di riproduzione in forma biologicamente sessuata e (come vedremo) con risvolto sociale anche mutuale.
A questo punto il mio “6° senso” (intuizione) avverte già l’arrivo di plausibili osservazioni, del tipo: “Ma l’antropologia culturale ? L’essere umano é molto più di un’aggregato di cellule, che necessitano solo di riprodursi !” Rispondo che non dubito sulle circostanze che vedono l’Homo (modalità “Sapiens”) aver sviluppato capacità tali, da concepire ideazioni, intelaiature e strutture in grado di influire e interagire con le naturali leggi biologiche.
Tuttavia, pur non rinnegando l’aspetto evoluzionistico della specie basato sull’attrazione sessuale, nell’articolo correlato con il presente riporto anche considerazioni psicanalitiche di grande prestigio sull’interiorizzazione della diversità di sesso. In questo, per necessità di brevità, mi limito ad indicare il dato biologico prevalente nel determinare le darwiniane selezioni delle specie animali vertebrate, Homo compreso: ovvero la facilità di riproduzione.