16 luglio 2014
Le grandi menzogne, al contrario di quelle piccole hanno uno sgradevole difetto: per essere davvero diffuse e credute hanno bisogno che anche propalatori e attori ne siano in qualche modo partecipi, rischiando perciò di fallire. Così accade che il governo Renzi, nato per durare e per portare a compimento la svolta oligarchica destinata a tenere il Paese nel recinto dell’austerità e della catechesi liberista, si trova adesso in pericolo e senta sempre più l’urgenza di mettere a punto la rivoluzione istituzionale per congelare il sistema politico finché si può.
La tempistica sembrava perfetta sia colà dove si puote in Europa sia ai referenti italiani a cominciare dal Quirinale: la sostituzione di Letta con il baldo giovane ammiccante a Berlusconi, sostenuto dalla finanza, imposto con operazioni alla Blair, avrebbe creato aspettative che si sarebbero poi riversate sulle elezioni europee – come è puntualmente accaduto – e, a dispetto dell’inconsistenza assoluta del guappo e del suo governo, ci avrebbe pensato la ripresa a creare una corrente favorevole, nonostante tutte le difficoltà e i sacrifici imposti: la speranza si è ridotta da lievito politico ad arma di ricatto. Una certa classe dirigente, completamente accecata o servile o semplicemente intenta a riempire la botte finché c’è vino, si era davvero illusa che nelle condizioni in cui siamo ci potesse essere una ripresa, anche soltanto statistica, come quella Usa.
Invece, esattamente come accade dall’inizio della crisi, la ripresa annunciata sia in Italia che altrove non c’è stata e anzi si è trasformata in una tendenza sempre più negativa per quanto riguarda la produzione industriale che ha avuto un calo a marzo dello 0,4% e un tonfo a maggio dell’ 1,1%. Un dato ancor più inquietante visto che è influenzato dai segni + che si sono registrati esclusivamente nei Paesi Ue dove non “si gode” dell’euro. Il meno 1,4 della Germania che è nel terzo mese consecutivo di discesa, il -1,3% della Francia, il -0,9% della Spagna sono ancora niente se confrontati al -1,8% dell’Italia, al – 3,6% del Portogallo, al -2,1% della Danimarca,, al meno 3,2% della Svezia. Francia, Olanda e Finlandia, dunque anche due Paesi forti realizzano un calo su base annuale rispettivamente del 4,2%, 1,9%, 2,9%. (Per la cronaca i Paesi senza euro, ad eccezione della sola Polonia, hanno registrato crescite medie del 10%)
In queste condizioni, peraltro prevedibili, anzi ormai codificate, non si può nemmeno fingere l’esistenza di una ripresa e tuttavia occorrerà sostanzialmente obbedire ai trattati, proseguire ciecamente sulla strada dell’austerità i cui eventuali correttivi non sono che bazzecole. E se Juncker per evitare una bocciatura può cavarsela con un discorsino senza capo né coda, costruito con il copia incolla delle buone intenzioni già espresse dalla vecchia Commissione, tanto per dare un miserabile e pretestuoso alibi ai socialdemocratici per votarlo, non così sarà per Renzi e per gli altri governatori della troika che si troveranno ad affrontare una nuova caduta dell’economia reale, dopo aver già fatto il pieno delle trovate illusionistiche e che dovranno vedersela con l’inizio del salasso imposto dal fiscal compact.
C’è insomma il pericolo (si fa per dire) che il premier da carta vincente si trasformi rapidamente in carta da cambiare come d’altronde è accaduto a Monti e a Letta, a meno che appunto non si realizzi quanto prima una blindatura del sistema politico che renda di fatto impossibile un cambiamento: se la posta è questa non c’è da meravigliarsi che si sia disposti a qualunque accordo sopra e sotto banco per assicurarsi la maggioranza necessaria., anche se questo significa un patto di ferro con il condannato che svende il ramo d’azienda chiamato Forza Italia pur di tenersi il resto e di acquisire un salvacondotto personale. La fretta di Renzi non è certo dettata dalla prospettiva di barattare le riforme elettorali e istituzionali con la mitica flessibilità come viene ripetuto fino alla noia dal maistream mediatico, perché anzi è proprio lui il garante della rigidità liberista: è dovuta invece alla fretta di restare necessario per le operazioni finanziario – europee, superando con la devastazione della Costituzione e della democrazia parlamentare nella sua sostanza, le difficoltà poste dalla mancanza della luce in fondo al tunnel e dalla possibile scoperta da parte dei cittadini di essere stati presi per il naso da un’ignobile classe dirigente.
Insomma Renzi sta cercando la strada per evitare quella precarietà che è invece il senso del suo job act. Ed è qui il significato vero dei mille giorni: per due anni sarà forse possibile far fronte al fiscal compact vendendo tutto il possibile e privatizzando ciò che resta del pubblico, ma dopo si apre un buco nero. Occorre arrivare sull’orlo del disastro con leggi elettorali e istituzioni che di fatto escludono i cittadini da ogni decisione e intervento per far continuare il gioco al massacro.Mica si è figli di troika per nulla.