La Repubblica si accanisce contro Tsipras

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Ettore Livini/Michele Pizzolato
Fonte: La Repubblica
Url fonte: http://www.repubblica.it/economia/2015/02/23/news/grecia_la_resa_di_tsipras_restano_i_tagli_agli_statali_e_l_austerity-107966267/

Acute osservazioni, che condivido: buona parte della pseudo sinistra, capeggiata da La Repubblica, non vede l’ora di celebrare il fallimento di Tsipras; temono forse che anche gli italiani si possono fare qualche illusione?

di Michele Pizzolato – 23 febbraio 2015

Grecia: nel memorandum greco, in cambio degli aiuti, si parla di interventi su “corruzione, evasione fiscale, salario minimo” (Huffington Post), le riforme italiane parlano di licenziamenti facili e tagli allo stato sociale.

Repubblica si distingue nel “picconare” Tsipras: non riescono ad ammettere che ci sia qualcuno che prova a ricordare cosa siano le politiche di sinistra. Anche oggi su web titola: “la resa di Tsipras: restano i tagli agli statali e l’austerity”. Fa piuttosto sorridere per due motivi:
1. che il tentativo di Tsipras sia difficilissimo, grazie a quei governi di destra così ben accetti in europa che lo hanno preceduto, è cosa ovvia;
2 che la Grecia, a differenza dell’Italia, stia scuotendo molto pesantemente l’albero europeo dell’austerità lo dimostra persino la reazione di Obama…

Curiose sintonie… l’estrema sinistra e i renziani non vedono l’ora che Tsipras fallisca. L’estrema sinistra perché non instaura il comunismo (il meglio nemico del bene) i renziani perché Tsipras sta dimostrando che politiche keynesiane da sinistra riformista sono possibili (il peggio invidioso del bene).

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Questo l’articolo de La Repubblica

Grecia, la resa di Tsipras: restano i tagli agli statali e l’austerity

Addio alle promesse elettorali. Il documento di sei pagine sarà consegnato oggi a Ue, Bce e Fmi. Deregulation, riforma dello Stato e un’apertura ai privati. L’unica misura umanitaria sarà il blocco della confisca di case

ATENE – La Grecia di Alexis Tsipras, con buona pace delle promesse elettorali, riparte dalla Troika. “È un’istituzione che non riconosciamo e non metterà più piede ad Atene”, aveva garantito il leader di Syriza la sera del 25 gennaio, dopo la vittoria alle elezioni. La realpolitik e la drammatica fuga di capitali dalle banche hanno però avuto la meglio.

Il premier è stato costretto a raggiungere un compromesso al ribasso all’Eurogruppo (“senza un accordo, da oggi avremmo dovuto imporre controlli alla circolazione di denaro e il paese sarebbe collassato”, racconta uno dei negoziatori del Partenone). E formalizzerà la retromarcia “forzata” inviando per approvazione a Ue, Bce e Fmi  –  alias la vecchia Troika  –  il piano di riforme del governo, l’ultima carta per tenere Atene in Europa.

“È la prima volta dal 2010 che siamo in grado di decidere noi come salvare il paese senza farci imporre la ricetta da altri. Non taglieremo le pensioni e non alzeremo l’Iva”, è il mantra soddisfatto del Presidente del consiglio.

Le sei pagine di documento in partenza per Bruxelles sono però una lista di buoni propositi: lotta alla corruzione, deregulation, riforma del pubblico impiego, guerra totale a oligarchi, burocrazia, cartelli ed evasori fiscali e persino un impegno a non bloccare le privatizzazioni. Una lista che ricalca a grandi linee i capisaldi del vecchio memorandum e dove brillano per assenza molte delle promesse elettorali di Syriza.

Se le “istituzioni”  –  nuovo nome del trio dei controllori  –  daranno dare l’ok, Bruxelles formalizzerà la proroga di 4 mesi al piano di salvataggio della Grecia, avviando l’iter dell’approvazione parlamentare in Germania, Olanda, Estonia e Finlandia. In caso contrario si riaccenderà l’allarme rosso sul Partenone: domani verrebbe convocato un nuovo Eurogruppo che  –  a quel punto  –  rischierebbe di avere all’ordine del giorno la gestione ordinata dell’uscita di Atene dall’euro.

Tsipras e i suoi tecnici stavano lavorando nella serata di ieri per provare a infilare nel pacchetto una minima parte dei provvedimenti umanitari previsti nel programma del partito. Uno “scalpo” necessario per placare il malumore dell’ala più radicale di Syriza e della parte più ideologica del suo elettorato. “L’idea allo stato è provare a strappare il via libera per bloccare la confisca della prima casa di chi non riesce più a pagare le rate dei mutui”, racconta uno dei negoziatori. Sperando che Ue, Bce e Fmi  –  comprendendo le ragioni di politica interna  –  non si mettano di traverso.

L’appuntamento di oggi, a Bruxelles lo sperano tutti, dovrebbe andare via liscio. Il vero esame della Grecia  –  dicono  –  sarà ad aprile quando il premier e il ministro Yanis Varoufakis presenteranno il piano targato Syriza  –  comprensivo di cifre e coperture al centesimo  –  per portare il paese fuori dall’emergenza. Lì si giocherà la partita finale: se il premier riuscirà a convincere i creditori che il suo governo è davvero in grado di attaccare alla radice i problemi appena intaccati da Samaras & C.  –  corruzione, burocrazia ed evasione su tutti  –  Ue, Bce e Fmi potrebbero non solo sborsare l’ultima tranche di finanziamenti, ma mettersi al tavolo per ragionare su come rendere sostenibile a lungo termine il debito ellenico.

Si vedrà. Il vero problema di Tsipras oggi è convincere la Grecia che le tante promesse fatte pri- ma del voto non si potranno materializzare dalla sera alla mattina. “Appena eletti vareremo l’aumento dello stipendio minimo, la luce gratis alle 300mila famiglie più povere, il ritorno alla contrattazione collettiva, il ripristino della tredicesima alle pensioni sotto i 700 euro, l’assistenza sanitaria gratuita per il milione di persone che ne ha perso il diritti”, recitava il Programma di Salonicco “venduto” da Tsipras prima del 25 gennaio. “Ci arriveremo un passo per volta  –  provano a consolarsi a Syriza  –  quando a un tavolo si è in due bisogna scendere a patti, Quando sei uno contro 18 come all’Eurogruppo e non hai un euro in tasca il compromesso può essere ancor più difficile da digerire”.

La maretta tra le file del partito è già montata e il premier dovrà lavorare per evitare che diventi una bufera. Con il rischio paradossale, dopo tutte le pillole amare mandate giù in questi giorni a Bruxelles, che il salvataggio del paese venga silurato dal fuoco amico.

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