La ‘reconquista’ renziana

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 30 marzo 2018

«È Renzi a considerare imprescindibile l’Aventino dem, costi quel che costi. Una linea che va di pari passo con la volontà di sostituire Martina con Delrio durante l’assemblea nazionale del prossimo 22 aprile (circola questa data), per completare la “riconquista” del Pd dopo la clamorosa batosta del 4 marzo». Così Tommaso Ciriaco su ‘Repubblica’ di oggi. Tutta qui la riflessione post-voto della leadership del PD dopo il terremoto elettorale. Una ‘reconquista’ alla maniera dei Re Cattolici, o forse una più banale ‘rivincita’. Come se la politica fosse un giro di carte, in attesa che passi la mano sfortunata. Una visione così riduttiva che persino il loft veltroniano potrebbe apparire un novello Palazzo d’Inverno. Capisco che a caldo possano aver immaginato che fosse tutta colpa del destino cinico e baro o di una cattiva comunicazione o, come spiega qualcuno, di Bersani e D’Alema. Ma a freddo dovrebbe prevalere una maggiore razionalità, tale da cavarne delle analisi adeguate e poi un prontuario politico confacente. Invece no, si procede a vampate.

Il partito, così, assume i connotati di una mappa su cui riposizionarsi. I suoi dirigenti sembrano stazionare sulla collina più alta quali semplici osservatori della contesa, guardandosi peraltro in cagnesco. Le truppe sono lanciate in una sorta di ritirata strategica, che sembra tanto una rotta. E la tattica continua ad apparire come l’unica soluzione a un ‘male’ strategico di fondo. Così che il tempo della riflessione e del ripensamento, il tempo di un nuovo dinamismo politico, si comprime nella mera delimitazione del territorio, e niente più. Quanto può durare? Anche perché: qual è la soluzione? La stagnazione politica? I ricatti? Il tiro al piccione? Il caos istituzionale? Il mors tua vita mea? Mi chiedo: quanto può ricavarne il Paese da un approfondimento della sua crisi? Io penso che qui si misuri il fiato corto di una posizione difensiva e personalistica, versus una linea di ‘attivismo’ (siamo in regime quasi proporzionale o no?) che consenta, invece, di vedere un qualche sbocco politico, oltre la destra e il populismo pronti a insediarsi al governo. Io credo che la politica non si faccia come se fosse un problema personale, o una rivincita di fazione. Il Paese non è una variabile marginale delle beghe politiche, un ornamento mediatico, oppure una noiosa scocciatura, ma l’unica ragione per cui ci si fa eleggere in Parlamento, portando nelle camere la ‘forza’, qualunque essa sia, concessa dagli elettori affinché ‘pesi’ istituzionalmente e nel modo dovuto.

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