Fonte: La stampa
La rabbia di Schlein, Conte (mantide religiosa) e l’accordo inevitabile
È il momento della tabula rasa, scandisce Giuseppe Conte a Bari, annunciando il ritiro dei suoi assessori dalla giunta di Michele Emiliano.
«Serve un netto cambio di fase in Puglia», dice poche ore dopo Elly Schlein al medesimo Emiliano, invitandolo con toni durissimi «a tenere lontani trasformisti e interessi sbagliati». E tuttavia sarebbe un errore pensare a una nuova escalation del duello sulla questione morale, con Schlein che rincorre Conte che a sua volta insegue le suggestioni originarie del Movimento Cinque Stelle. Con quella lontana identità, la fase onestà e scatolette di tonno, Conte ha a poco a che fare. È l’uomo nuovo che spuntò nella primavera 2018 per inventare un grillismo governista che nessuno aveva mai nemmeno immaginato. E poi, per sollecitare le nostalgie dei vecchi tempi servirebbe un appiglio, una ricorrenza, un padre nobile, e il M5S ha pochissimo da spendere in quella direzione. Davide Casaleggio se ne è andato da tre anni e parlando a nome di suo padre dice: se vedesse il Movimento oggi sarebbe incavolato nero.
Beppe Grillo è perso nel suo nuovo spettacolo, debutto due giorni fa a Cagliari, titolo di spietata chiarezza: Io sono un altro Grillo, cioè scordatevi quello dei Vaffa Day. E dunque la giornata pugliese di Conte è un copione che ondeggia tra due poli, tra due modalità. Modalità identitaria: si richiamano a casa uomini e donne piazzati nella giunta Emiliano, all’insegna del «niente sconti, neppure alla nostra parte politica». Modalità realpolitik: subito dopo si combina un summit con Emiliano per presentargli un Patto di Legalità che, se sottoscritto, potrebbe riaprire la collaborazione. Le parole di Elly Schlein a fine giornata confermano che la lunghezza d’onda è la stessa. E dunque, accordo inevitabile, solo questione di tempo. È una storia molto pugliese, molto italiana, che però ci racconta una cosa nuova.
Pensavamo tutti che le prossime elezioni, con l’improvviso tuffo nel proporzionale puro, avrebbero segnato la corsa dei partiti a riscoprire radici, slogan, tic del loro passato, per incoraggiare al ritorno i delusi e galvanizzare i tifosi rimasti. In realtà si deve registrare una notevole dose di cautela sul punto.
Anche se l’occasione c’è stata – uno scandalo da prima pagina, voti comprati, clan, favoritismi – Conte l’ha usata più per instaurare nuovi rapporti di forza che per regalare al suo elettorato un impossibile ritorno al passato. E Schlein ha accettato il gioco, senza mai superare la linea rossa della rupture.
La spiegazione è semplice. Le Europee passeranno, ci saranno vinti e vincitori, ma toccano interessi lontani soprattutto per il M5S, che al momento non ha neanche un gruppo di riferimento a Bruxelles. Le amministrative sono un’altra cosa. Distribuiscono potere reale. Sindaci, assessori, governo delle cose, milioni di euro in progetti Pnrr, municipalizzate, nomine. E alle amministrative contano gli accordi. Non si vince con le percentuali individuali: la tornata dell’8 e 9 giugno riguarda 29 grandi comuni e 6 capoluoghi di regione, mica si può far saltare tutto sulla mina di Bari o sui duelli verbali di due leader in competizione.
Solo due mesi fa, dopo le elezioni sarde, Giuseppe Conte ed Elly Schlein erano i potenziali padroni di un articolato campo largo, per la prima volta maggioritario e vincente. Oggi tutti e due vedono le loro scelte esposte alla vendetta dell’alleato su ogni territorio. Senza un recupero, senza una Pax Pugliese, ci vuole un attimo a finire nell’irrilevanza. Magari piacerebbe a qualche grillino della prim’ora – finalmente soli! Finalmente oltre ogni compromesso! – ma di sicuro non fa per Conte, l’uomo del grillismo governista, né per Schlein, che senza un risultato nelle città finirebbe travolta dai suoi nemici interni.