Fonte: Il Fatto Quotidiano
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intervista a Gustavo Zagrebelsky di Silvia Truzzi 05 Maggio 2016
I politici non hanno smesso di rubare, hanno solo smesso di vergognarsi”. L’ha detto Piercamillo Davigo in un’intervista al Corriere della Sera, ripetendo una frase che è stata un grande classico in tanti suoi interventi pubblici negli ultimi anni. Si sono indignati i politici, ma non i cittadini. E comunque la cronaca sembra dargli ragione.
In una settimana abbiamo dovuto raccontare ai lettori de ll’arresto del sindaco di Lodi Simone Uggetti (Pd) per turbativa d’asta; dell’arresto di Antonio Bonafede, consigliere comunale del Pd a Siracusa, mentre stava per imbarcarsi su traghetto con 20 chili di droga; dell’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa a carico del consigliere regionale e presidente del Pd in Campania, Stefano Graziano; dell’incredibile vicenda del Consiglio regionale della Sardegna, dove in cella si sono incontrati il vicepresidente del Consiglio regionale Antonello Peru (Forza Italia), arrestato per una vicenda di presunti appalti truccati, e Giovanni Satta (centristi) che quando è stato fermato pertraffico internazionale di stupefacenti ancora non era consigliere regionale. Lo è diventato – da detenuto – dopo che a seguito di vari ricorsi, l’ufficio elettorale della Regione gli aveva assegnato il seggio.
La questione morale incombe, è un’emergenza ormai cronica. Abbiamo chiesto a Gustavo Zagrebelsky com’è possibile che quelle affermazioni di Enrico Berlinguer (“I partiti sono soprattutto macchine di potere e di clientela. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”), 35 anni dopo suonino così attuali.
Dalla politica ci dicono che la responsabilità penale è personale, che bisogna essere garantisti: i corrotti sono casi isolati, cioè singole mele marce. Cosa ne pensa?
La responsabilità penale è personale, ma la corruzione non è semplice illegalità individuale. Coinvolge necessariamente più soggetti, come dice la parola: la corruzione implica una cooperazione. I giuristi parlano di reato plurisoggettivo. Per vivere deve necessariamente allargarsi: i corruttori sono indotti a estendere progressivamente il raggio della corruttela per ottenere coperture e per questo moltiplicano le complicità dei corrotti che, a loro volta, diventano corruttori. C’è una forza diffusiva che la semplice illegalità di per sé non possiede. La corruzione è un sistema, non è la somma di singole illegalità. Esempio: se un contribuente fa una dichiarazione fiscale falsa, siamo di fronte a un’illegalità, che si può colpire processando l’evasore. Ma se il contribuente si mette d’accordo con il suo consulente fiscale, che si mette a sua volta d’accordo con la Guardia di Finanza e con l’Agenzia delle Entrate, tutto questo crea un sistema diffuso di corruzione.
Come le associazioni criminali.
Infatti. A differenza dell’illegalità, la corruzione crea ordinamenti alternativi a quelli legali. Per questo, mi pare riduttivo parlare di “questione morale”: siamo di fronte a una “questione istituzionale”. La mafia, per esempio, è una istituzione con regole interne, autorità di governo, agenti esecutivi e perfino tribunali. C’è una legittimità mafiosa che si contrappone alla legittimità dello Stato. Bisogna partire dal presupposto che si tratta di conflitti tra ordinamenti. È illusorio pensare che si possa sconfiggere la corruzione esclusivamente con processi che necessariamente perseguono i singoli. Come se si volesse vincere una guerra eliminando, uno ad uno, i combattenti dell’al traparte, mentre i caduti sono sostituiti da nuove leve e i ranghi si rigenerano. Gli ordinamenti si sconfiggono con guerre d’altro tipo; innanzitutto stabilendo una linea di demarcazione netta, un fronte, tra chi sta di qua e chi di là, cioè combattendo la “zona grigia”di chi sta un po’di qua e un po’di là.
Però la selezione della classe dirigente è affidata, non da oggi, al diritto penale. Ma la verifica penale non ha questa finalità, né il giudice è un’autorità morale.
I giudici svolgono i loro compiti con riguardo a singoli fatti e singoli autori dei fatti. Il conflitto tra ordinamenti non può accontentarsi d’una delega ai giudici. Coloro che si richiamano non ipocritamente alla legalità devono innanzitutto selezionare una classe politica priva di commistioni con l’altro ordinamento, mettendo confini invalicabili tra vita e malavita. Questo non può farlo la magistratura. Soprattutto in un momento come questo in cui tutti gli indizi portano a dire che il mondo della politica è estesamente penetrato dalla corruzione: significa che tra questi due opposti ordinamenti oggi non c’è conflitto, ma connivenza. O, addirittura, che s’è creato un meta-ordinamento diffuso, basato sulla convivenza.
Quali sono, allora, i rimedi?
Non possono essere solo le armi giudiziarie. Che ci devono essere, ma non sono risolutive. Mi chiedo, poi, se esiste davvero la volontà di combatterla, la corruzione. Scoppia uno scandalo e qual è la reazione? Se pur non si accusa la “giustizia a orologeria”, si esprime “piena fiducia nella magistratura”; ci si trincera dietro al “fino alla condanna definitiva nessuno può considerarsi colpevole”; si ritorce l’accusa: anche voi avete i vostri corrotti. Tutto ciò mi pare dimostri una fondamentale ambiguità ai limiti dell’a cquiescenza. La delega ai giudici è uno sfuggire alle proprie responsabilità; la ritorsione dell’accusa significa considerare la corruzione non un problema di integrità di sistema ma un’occasione per una gara a chi è più o meno corrotto. Così, si finisce per adagiarsi. Il vecchio discorso “tutti colpevoli, nessun colpevole”significa “siamo tutti sulla stessa barca”. Per non affondare tutti insieme, dobbiamo darci una mano ed essere tolleranti, gli uni verso gli altri. Mi chiedo se i nostri politici che usano questi argomenti si rendano conto del senso di quello che dicono. Credo di no.
Nel 2014 su 1100 consiglieri regionali, 521 erano sotto inchiesta; per 300 era stato chiesto il giudizio per spese pazze con i fondi ai gruppi.
Spesso sono quisquilie, disgustose ma quisquilie per le quali ben venga la repressione penale. Più preoccupanti sono le reti di connivenze che fanno capo a faccendieri e lobbisti vari, massoneria affaristica, finanza laica e vaticana, giornalismo al soldo, ecc. Questa è la potentissima rete della corruzione che tocca interessi finanziari, industriali, della comunicazione, degli armamenti, nazionali e internazionali. Che cosa c’è dietro, per esempio, al fatto che in Parlamento non si è potuto discutere dell’acquisto degli F-35? In una parola, la corruzione alligna nelle oligarchie. Per combatterla davvero, ci vuole democrazia.
Vero, ma la riforma costituzionale non va in direzione opposta, garantendo immunità a politici regionali tutt’altro che insospettabili e promossi senatori?
Il Senato dei 100 è un pasticcio in sé e una catastrofe funzionale: altro che semplificazione. L’immunità parlamentare nella storia della Repubblica ha subìto un rovesciamento. In origine proteggeva la libertà della funzione parlamentare. Oggi, spesso serve a proteggere il parlamentare. Cioè: mentre una volta si era protetti perché ci si dava alla politica, oggi ci si dà alla politica perché si vuole essere protetti. Insomma, in diversi casi il titolo preferenziale per essere messo in lista è stato avere grane con la giustizia. Sarà così anche per i nuovi senatori?
Il presidente emerito Napolitano ha citato voi “professori del no” in un’intervista al Corriere: “Vedo tre diverse attitudini. Quella conservatrice: la Costituzione è intoccabile. Quella politica e strumentale: si colpisce la riforma per colpire Renzi. E quella dottrinaria ‘per fezionista’. Dubito che tutti i 56 costituzionalisti e giuristi che hanno firmato il manifesto contro siano d’accordo su come si sarebbe dovuta fare la riforma. Ma è una posizione insostenibile: perché il No comporterebbe la paralisi definitiva”. Vuole rispondere?
Vincenzo Cuoco – commentatore della rivoluzione napoletana del 1799 – diceva che le Costituzioni sono abiti che devono essere indossati da un corpo. Questo corpo è ciò che chiamiamo la Costituzione materiale, fatta di convinzioni politiche, tradizioni, comportamenti, rapporti e anche di corruzioni. Le costituzioni non sono belle o brutte in sé, ma sono adatte o inadatte al corpo che deve indossarle. Se il corpo è quello della statua modellaria di Prassitele – diceva Cuoco –la Costituzione indossata farà una bella figura. Ma se il corpo è deforme, l’abito servirà soltanto a coprire le deformità. Non si corregge il corpo con la veste. A differenza del presidente Napolitano, penso che, parlando di conservatori, perfezionisti e innovatori, si finisce per perdere di vista la vera posta in gioco: le degenerazioni della vita politica materiale, degenerazioni che non si combattono, ma si occultano soltanto mettendo loro sopra una veste nuova. Il cosiddetto “combinato disposto” della legge elettorale e della riforma costituzionale è per l’appunto questa veste nuova, sotto la quale si nascondono tendenze, da tempo in atto, a separare la politica dalla partecipazione dei cittadini e ad accentrarla in centri di potere sospesi per aria o appesi in alto. La chiamano democrazia perché ogni cinque anni ci faranno votare? Ma votare su che?
In verità lei una proposta di riforma l’ha formulata.
Sì. L’ho inviata alla ministra Boschi, come si era concordato. Ma è sparita. Anche il presidente Napolitano l’ha ricevuta, ma era assai diversa da quella ch’egli sosteneva e sostiene. Così è stato un buco nell’acqua. Solo mi dispiace che si dica che chi è contrario a questa riforma non ha saputo e non sa proporre nulla di alternativo. È vero il contrario. Per onore della verità.