di Alfredo Morganti – 30 gennaio 2018
Lo sappiamo, le liste elettorali sono quanto di peggio la politica sappia esprimere sul piano delle sfrenate ambizioni personali. Ma sono anche il momento dove l’arte della mediazione deve essere esercitata per compensare le spinte centrifughe. Ciò detto, la formazione delle liste PD non ha niente a che fare con questa vicenda. In realtà, lì si è giocata l’ultima mano di una partita che viene da lontano e che era cominciata con l’OPA sul PD di un outsider toscano e la contestuale campagna di rottamazione. C’era una sorta di piano di rinascita, dov’era scritto che la sinistra storica (e non solo) doveva scomparire, fare strada all’innovazione, al futuro, al partito di ultima generazione, a quello che voleva la vocazione maggioritaria per andare al governo come partito della Nazione, senza più patire la vecchia distinzione tra destra e sinistra. Il cammino renziano, che all’inizio sembrava solo espansivo, ha subito invece pesanti contraccolpi.
E forse a causa di essi, e delle sconfitte raccolte, oggi la leadership piddina si trova nella necessità di stringere il freno e di addivenire a una sorta di resa dei conti finale. Dopo aver plaudito alla scissione (al grido di incitamento ‘fuori fuori’), si è passati alla fase due, ossia emarginare dal Parlamento anche chi si ostinava a trattare pervicacemente con il proprio carnefice politico. Dei 200 presunti seggi parlamentari che il PD dovrebbe acquisire (invece dei 380 non-perdenti del 2013), secondo i giornali, 155 se li è presi Renzi, gli altri li ha sbriciolati tra le altre correnti interne e i preziosi alleati esterni. La sinistra di Orlando non ha raccolto granché. E oggi impreca, anche se dovrebbe farlo soprattutto contro se stessa. Tutti, comunque, come spiega Tommaso Labate sul Corsera, dovrebbero riflettere sul fatto che i vecchi DS nel PD sono ormai scomparsi, finiti, liquefatti. E che oggi il PD è un bunker dove i fedelissimi si sono raccolti per ripartire daccapo o subire l’ultimo assalto.
Non è stata la classica battaglia delle liste insomma, ma il tentativo finale di normalizzazione della sinistra. L’esito ultimo di un percorso pianificato al millimetro, seppur disturbato da cocenti sconfitte che hanno costretto il driver a riprogrammare spesso il percorso, per giungere comunque alla meta decisa e pianificata da tempo, forse ancor prima che l’OPA al PD fosse lanciata. La formazione delle liste appare così una pesante operazione politica, di quelle che imprimono ferite più che sanarle: guerra più che mediazione politica, per quanto cruenta. Un lavoro chirurgico compiuto sul corpo del PD (di quel che ne restava), con l’obiettivo di riconfigurare e riprogrammare geneticamente quell’organismo. La part destruens delle liste era certo la necessità di salvare i destini dei fedelissimi, vista la mala parata elettorale. Ma la pars construens e di prospettiva anche immediata era un’altra: un lavoro biopolitico, un taglia e cuci chirurgico, che avrebbe dovuto portare in Parlamento il futuro partito macronista piuttosto che il vecchio PD e i suoi equilibri stantii, facendo saltare soprattutto tutti gli schemi di sinistra.
Nessuna meraviglia quindi che, come scrive sempre Labate, nonostante Zingaretti sia il candidato forte alla Regione Lazio, l’area zingarettiana lì sia scomparsa dal cannocchiale dei listini elettorali nazionali. Ne deduciamo che l’ipotesi Zingaretti è evidentemente alternativa agli scarponi da guerra renziani, e che Liberi e Uguali abbia fatto bene ad appoggiare quel candidato, inserendosi positivamente in una contraddizione, anzi in una ferita, aperta e sanguinante. È inutile che sottolinei come l’esistenza di LeU sia l’unica alternativa a tale spudorato disegno di cancellazione della sinistra storica dal nostro Paese. E che, dopo le urne, se LeU sarà forte, la possibilità di curvare a sinistra gli effetti, le tracce, i brandelli deflagrati e ricomporre i frammenti espulsi dalla quasi certa implosione macroniana del PD sarà più alta, molto più alta. Quelli che sono nel bosco (al buio e all’umidità) ci pensino bene, mentre raccolgono bacche.