Specialismo più politica
di Alfredo Morganti, 19 luglio 2015
Efimerida, un giornale indipendente, pubblica un sondaggio elettorale, per il quale Syriza avrebbe oggi la maggioranza assoluta. Lo stesso sondaggio racconta che il 70% dei greci vorrebbe rimanere in Europa. Ovviamente, immagino, in un’altra Europa, in un’Europa alternativa a questa unione iperliberista a egemonia tedesca. Merito di Tsipras è aver dato voce a questa maggioranza di greci, aver ridato dignità a un pensiero europeo (persino europeista) dove prevalga la solidarietà rispetto alla competizione sfrenata centrata sul debito. Un popolo c’è, dunque, e Syriza, anzi Tsipras l’ha stanato e al momento non è solo, anzi. E poco vale obiettare soluzioni tecniche diverse o forse più efficaci da quelle messe effettivamente in campo. La politica si fa con le persone accanto, con la loro ragionevolezza e anche con la loro rabbia, ma assieme ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani, ai poveri, agli ultimi in sostanza. Il difetto della tecnica, dei tecnici, degli specialisti è quello di costringere l’ambito delle decisioni in un consesso separato, segreto, un patto al nazareno ad esempio, oppure un convegno o seminario di pur altissimo valore dove si ragiona (in modo competente, certo) di meccanismi azzeccagarbugliati, come se fosse un’accademia o un videogioco. Gramsci diceva ‘specialismo+politica’, non a caso.
E, difatti, la soluzione è sempre politica, di una politica di massa, attenta alle mille voci che pronunciano giudizi nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei quartieri, nei bar, sul tram. La tecnica non ascolta, la tecnica giudica e pronuncia soluzioni come ricette un medico. Non è responsabile se non dei propri ragionamenti, e si limita a opporre i propri numeri inoppugnabili alle voci discordi (la discordia fonda invece la politica). La tecnica è come il pensiero: ‘unica’. La politica (e soprattutto la grande politica), invece, è (deve essere) la summa teologica della responsabilità, il massimo dell’ascolto, il culmine della decisione saggia, anche di una saggezza che possa apparire incoerente, poco lineare, perché la saggezza non tira linea matematiche, non computa, è solo saggezza (politica nella fattispecie). Nessuno tira diritto in un mare in tempesta e pieno di scogli, e le conversioni a U sono spesso l’unica salvezza immediata.
L’errore più grande, e Tsipras lo ha evitato, sarebbe stato quello di contrapporre al pensiero unico europeo (tedesco, tecnico) un altro pensiero unico, seppure in opposizione al primo. Due unicità, che, per definizione, sono il medesimo: Grexit subito, ora, adesso!, diceva difatti l’uno – Grexit subito, ora adesso!, diceva l’altro. Potenza contro potenza, numeri contro numeri, medesimo risultato però, stesso esito, stessa unicità. Ma le cose sono un po’ più complicate se si esce dal circolo chiuso dell’economicismo. Si trattava, invece, di denudare UE e tedeschi (ed è stato fatto). Si trattava di avere un popolo a fianco (ed è stato fatto). Si trattava di far pronunciare quel popolo (e pure questo è stato fatto), mostrargli che esiste, e di portare il negoziato sino al punto in cui apparisse evidente che il nuovo memorandum era oltre portata greca e la UE una specie di covo di vampiri.
Dopo di che bisognava evitare che la Grecia divenisse una zattera sola e malandata in un mare periglioso e pieno di squali (quelli che la vogliono comprare pezzo a pezzo, Cina e Russia comprese) e che un piano di uscita, nel caso, fosse studiato, vagliato, soppesato, garantito, e non improvvisato da quattro professori, non spingesse i greci dalla padella alla brace. Insomma non c’era solo da salvare la dignità, ma anche la vita (vita vera, reale: le rivoluzioni non si fanno con i morti, ai morti si concedono al massimo litanìe). E questo Tsipras, per ora, lo ha fatto. Ma senza la politica, senza quella sommatoria di conflitti, discordie e interferenze che è la politica, e solo guardando ai computi tecnici, ai bilanci, ai tabulati, imprigionato dalla camicia di forza di un ragioniere, il premier greco non ce la avrebbe mai fatta. Si sceglie sempre un lasso in più di vita, perché a nessuno giova davvero il martirio, tanto meno al martire: “Lei che lo amava, canta De Andrè, aspettava il ritorno di un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà?”.