Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La politica ai tempi dello stato d’eccezione
Quello che io credo sfugga a tanti amici e compagni, che pure si adoperano per prefigurare lo scenario più favorevole alla sinistra in vista della elezione del Capo dello Stato e del ruolo parallelo di Mario Draghi nella partita, è che non viviamo affatto tempi politici normali. Per “tempi normali” intendo quelli in cui la lettera della Costituzione viene rispettata al punto da lasciare ai partiti (per quanto in crisi) e alle istituzioni rappresentative il compito di determinare gli indirizzi politici e i limiti dell’azione del governo in carica. Viviamo piuttosto tempi eccezionali, anzi viviamo un palese stato d’eccezione, voluto e instaurato da forze politiche e sociali ingolosite dai 200 e passa miliardi di euro del Recovery. E desiderose, quindi, di forzare i tempi del dibattito pubblico. Questo stato d’eccezione limita di fatto i partiti nell’opera di condizionamento dell’esecutivo e raffredda i poteri parlamentari di indirizzo e controllo, ridotti al mero rispetto della mera formalità. La sostanza è che il governo nasce legittimandosi quasi da sé, sulla base di una spinta extraparlamentare che taglia fuori i partiti. Questi ultimi, anche se volessero, mai potrebbero influenzare nella sostanza il lavoro dell’esecutivo. Draghi è in una specie di botte di ferro, almeno sinché permane l’eccezione.
Senza delineare questo contesto è quasi inutile immaginare o prefigurare scenari futuri, come se fosse nell’effettuale possibilità delle forze politiche decidere il destino di Draghi, i tempi dell’azione di governo, persino i contenuti e le regole attuative del Recovery. Esagero? Magari fosse. Purtroppo la mia sensazione è che la politica non è in crisi, quanto tagliata fuori e impotente. Il sistema dei partiti è in un angolo. Si adegua al contesto, cerca di passare la nottata, si adatta alle circostanza, vivacchia. Il dopo Conte non è stato semplicemente l’esito di una battaglia politica persa (che pure ci sta), ma l’effetto di una situazione nuova, particolare, eccezionale, che ha messo da parte la soggettività dei partiti, che ha speculato sulla crisi parlamentare, e che ha preso animo dai soldi del Recovery, per tagliare ogni mediazione e mettere al governo i “migliori” (come definirli sennò?), quelli che avrebbero sistemato tutto per conto dei potentati economici che sono diretta rappresentanza di lor signori.
Questo è. Ma la cosa peggiore è un’altra. Una parte consistente della popolazione appare soddisfatta di questo mood, anzi lo sostiene e ripete all’unisono quello che stampa embedded, talk shaw, editorialisti, rappresentantanti di certa pessima politica e uomini del mondo delle imprese dicono e scrivono incessantemente. In ultimo Cassese, ieri, per il quale l’élite di governo dovrebbe essere selezionata dalle scuole di politica, non dai partiti. Magari quelle di Confindustria o di qualche Fondazione. Sembra una cosa detta così, innocentemente. E invece la ripetono tutti gli editorialisti del Corsera da tempo. Qualcosa vorrà pur dire. Cassese è anche quello che vorrebbe per Roma una giunta militare! Ma altri (editorialisti anch’essi) la vorrebbero anche per l’intero Paese. In fondo, Figliuolo non sta lì anche a dimostrare che le uniformi sono più efficienti degli abiti civili? Ecco. Adesso potete anche pensare che esagero davvero 
