LA POETA OLGA OROZCO E LA PAROLA RITROVATA
Siamo sotto l’incantesimo delle scienze della materia inerte, ma in esse ne rimane esclusa l’anima. La coscienza è un soggetto dalle dinamiche più oscure ma altrettanto importanti. A chi rivolgerci per confidare i nostri disagi? Come risolvere la continua controversia tra il quotidiano e il mistero, come affrontare la nostalgia della vera vita? Come passare da ciò che ha significato per i sensi a ciò che è mosso dallo spirito?
Allora viene in nostro aiuto la poesia nelle illuminate parole della poeta argentina Olga Orozco* e le sue caratterizzazioni penetranti dell’ineffabile. Orozco ignora quale sarebbe il futuro della poesia in un mondo retto da una tecnica impensabile o da una perfezione impossibile. Avremmo silenzio, canto di elogio collettivo, meccanica da brivido che si genera da sola. Laddove la poesia è una possibilità infinita, è un atto di fede, una critica della vita, un questionare la realtà, è risposta di fronte alle carenze umane, tentativo di raggruppare forze che si oppongono in questo universo retto dalla distanza e dal tempo. E supremo disperato sforzo di verità e riscatto nella permanenza.
Il mondo che la poesia indaga è attinente ai nostri stati d’animo, conforme alla nostra esistenza e affine all’enigma della vita, ma solo più illuminato e in risalto. I sentieri che la poesia percorre sono ingannevoli e a volte non conducono a nessun luogo, o si interrompono bruscamente, o si aprono in forma di ventaglio. Non è così anche la dinamica della nostra vita? Non è una strenua ricerca di luce che illumini la nostra esistenza? Questa ricerca la conduciamo di forma intermittente, spesso nel sub cosciente. La poesia di Orozco la svolge invece in pubblico, ammalata della peste ostinata della parola, che la punge, la torce, la infiamma, la dissangua, l’annichila.
Le metafore di Orozco si susseguono incalzanti. Nella ricerca poetica ci sono muri che simulano miraggi, immagini promettenti che si allontanano, eserciti di mostri e persecutori, oggetti sconosciuti e indecifrabili che brillano con luce propria, terreni che scivolano vertiginosamente sotto i piedi. Si vivono confusioni sconcertanti tra incubo e veglia, ciò che è familiare risulta impenetrabile e sospettoso, mentre l’insolito può acquistare la forma tranquillizzante del quotidiano. Non vi traviamo similitudine con i nostro cambianti stati d’animo?
La poeta che è anche in noi cerca di cambiare le prospettive, di essere presente a sé stessa nella solitudine, ridurre le potenze che a sua volta vogliono ridurla al silenzio. Ci si trova di fronte a una prospettiva aperta, ma ancora alle soglie dell’esilio. È viaggio lungo e circolare da compiere nelle tenebre. Se ci si introduce protetti dalla lucidità, come con una lampada che illumini, non si esercitano gli occhi e non si vede al di là più di quanto permetta il ridotto fascio di luce a cui ci si affida. Chi avanza a tentoni non riesce a definire le forme conosciute che si occultano dietro le ombre mascherate, né riesce a seguire l’orma di ciò che è fuggitivo. Non c’è coscienza totale né totale abbandono, bisogna accendere e spegnere la lampada in base agli infortuni del cammino. Si cerca di esplorare nelle immense cave dei sogni, di distruggere le corazze dell’oblio, fermare il vento e le maree, abbandonarsi ai ricordi.
Separato dalla Divinità, isolato nella periferia della sua esistenza o fatto a pezzi nella sua prigione, l’individuo sente permanentemente la dolorosa contraddizione tra la sua particella di assoluto e le molteplici sue particolarità. Per Orozco, questo sentimento di separazione e l’anelito di unione si convertono in fusione totale nella creazione poetica, o nell’atto amoroso o nella esperienza religiosa.
Nella sua poesia cerca comporre le contraddizioni dell’unità primordiale smarrita.
Il primo requisito per percepire il sacro è l’attenzione ai segnali sottili. Non è lontano il sacro, ci sta dicendo.
Ed avverte: l’ Io del poeta è un soggetto plurale quando la parola ignorata, rivelatrice di una partecipazione totale, la parola che condensa la luce resa evidente e che giaceva sepolta nel fondo di ognuno di noi come una domanda che conduce a tutte le risposte, quella parola comincia ad essere pronunciata con balbettii e silenzi che racchiudono tutti e ciascuno dei nomi che formano i frammenti della realtà. E’ il momento della rivelazione per la poeta. Anche nella nostra esistenza sono quei rari e fugaci momenti in cui si fa luce, quando per istanti conosciamo il nostro essere.
E’ la riunione col Mondo a cui aspiriamo..
Intanto, qui ed ora, la poeta sceglie la parola come elemento di conversione simbolica di questo universo imperfetto. Il nome e l’essenza si corrispondono, perchè il nome non solo designa ma è l’essere stesso e ne contiene dentro di sé la forza: è il punto di partenza della creazione del mondo e della stessa creazione poetica. La poeta afferra l’essere reale, vive il potere del verbo, si abbandona a ogni tipo di connessioni verbali per coincidere con il soffio e il senso della parola giusta. É la sostanza stessa della vita portata alle sue ultime conseguenze. La poesia non fa nascere fantasmi sonori o concettuali per rinchiuderli nelle parole, bensì fa esplodere ancora di più lo spirito che le parole racchiudono in sé stesse.
La poesia come la vita è indicibile, non può limitarsi in una definizione, e la formula più felice di essa non sarebbe altro che una scintilla dell’Assoluto o un battito di palpebre. La poesia, come la vita, ci espone a tutte le temperature, sopporta tensioni estreme, dall’esaltazione all’annichilamento, soffre asfissie e minacce di disintegrazione. A che serve questo oracolo cieco, questa guida incerta, questa innocente temeraria che si inclina a tagliare il fiore sul bordo del precipizio? Anche senza proporselo, aiuta alle grandi catarsi, a guardar insieme il fondo della notte, a intravedere l’unità in un mondo frammentato per la separazione e l’isolamento.
* Olga Orozco Gugliotta, (Toay 1920-Buenos Aires 1999) è stata una poeta e scrittrice argentina. Cfr. Pàginas de Olga Orozco seleccionadas por la autora, Editorial CELTIA, Buenos Aires, 1984
FILOTEO NICOLINI
Immagine: Olga Orozco-Los Ojos de la Noche.