La parola centrosinistra e le mezze ali in politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 1 giugno 2017

Cambia il mondo eppure certe parole restano. Come spiegarlo? Con un certo timore a pensarne di nuove, o meglio a ‘rischiarne’. Lo so che il linguaggio, per definizione, ha dei confini il più possibile netti, perché è uno strumento destinato a porre in comunicazione e non può vivere di un eccesso di ambiguità. Eppure le sue periferie (e spesso anche il suo centro) sono sfumati, lasciano traspirare termini, concetti, significati, un po’ come accade per le città reali. L’innovazione passa sempre per le periferie, si sa, anche se le buche si tappano solo in centro (e talvolta nemmeno lì). Dunque ‘rischiare’ i termini va bene, purché si abbia la forza e il coraggio di ascoltare le periferie e i margini del linguaggio, laddove vengono sperimentati nuovi ‘usi’. Per dire, non c’è parola più abusata e più falsa di ‘cambiamento’. Oggi tutti vogliono cambiare, per primi i conservatori. Motivo in più per avere delle remore a utilizzarla ancora. ‘Alleanza per il cambiamento’ va bene come claim pubblicitario, ad esempio, ma la politica è più articolata e complicata di un commercial (almeno si spera).

La questione oggi riguarda il termine ‘centrosinistra’. A cui opporrei due tipi di critica. Una mediale: è una parola senza più appeal, svuotata di senso, che non dice più granché. E poi un’altra di tipo politico: in un sistema proporzionale che senso hanno le mezze ali? Un sistema proporzionale si compone di due ‘dinamiche: da una parte la conquista del centro da parte di forze di centro; dall’altra, la creazione di due ali, a destra e sinistra. Le eventuali mezze ali sono quasi sempre cespugli in orbita centrista, destinati comunque a morire ammazzati a cause delle soglie di accesso. Semmai, di ‘centrosinistra’ (nel senso di alleanza parlamentare, istituzionale tra centro e sinistra) si potrebbe (se uno volesse) parlare in termini di ‘trattino’, ma si tratterebbe di coalizioni (anche limitate, anche a termine) nate sul proscenio parlamentare, a posteriori dunque (anche se potrebbe esservi stato un accordo precedente il confronto elettorale). Ma il trattino sarebbe davvero ineliminabile, stavolta, a unificare un centro e un’ala di sinistra (o di destra, se la sinistra è poca cosa).

E allora? Perché insistere, perché non gettare il cuore oltre l’ostacolo e non chiamarla tout court ‘sinistra’ questa ‘cosa’, questa alleanza, questo raggruppamento che dovrebbe essere l’alternativa al PD? Tanto più (e lo dico per i più moderati della combriccola) ciò non escluderebbe IN PARLAMENTO, DOPO, magari da posizioni importanti, di forza, un’alleanza col trattino, sul programma, con le eventuali forze di centro democratico, creando così equilibri più avanzati (secondo una vecchia formula degli anni sessanta). ‘Sinistra’ dunque, ma senza che ciò voglia dire trovarsi dinanzi a pericolosi comunisti! Una ‘Sinistra’ plurale, aperta, socialista, cattolico-democratica, laica, purché la proposta sia chiara (laburismo, solidarismo, lotta feroce alle disuguaglianze, diritti sociali e civili, difesa delle istituzioni democratiche e della democrazia) e i soggetti sociali ancor più definiti (lavoratori, disoccupati, disagiati, ‘ultimi’, giovani, ceto medio mangiato dalla crisi, imprenditoria sana, che non cerca sussidi o sgravi ma vuole investire). Guardate che le prossime elezioni sono importanti, ed è fondamentale avere una rappresentanza parlamentare. Le traversate nel deserto si fanno, certo, ma una cosa è farle a piedi, un’altra cosa almeno sui pattini o in bicicletta, anche grazie a un piccolo ma combattivo gruppo parlamentare. E poi, perché dovrebbe essere ‘piccolo’?

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