C’era una volta una scuola con 3 docenti all’inizio dell’anno. Il primo pretendeva far tesoro della esperienza dell’anno precedente e proporre alla classe gli argomenti che avevano dato buoni risultati. In base a questo, per ogni settimana aveva un programma rigido di argomenti e compiti. Il secondo insegnante invece partiva dall’esame degli errori commessi e si sforzava per evitare sbagli e superficialità nella programmazione della classe.
Il terzo docente studiava il carattere dei suoi studenti e l’evoluzione di ciascuno di loro. Ammetteva che c’erano stati errori ed anche cose fatte bene, ma si occupava in primo luogo di studiare la personalità dei suoi nuovi studenti. Aveva accettato pacificamente che le cose fossero andate nel modo in cui si erano date. Gli studenti avevano in partenza certe disposizioni che lui aveva osservato attentamente. L’interazione delle diverse personalità aveva prodotto da sola i risultati. Riguardo al prossimo anno, egli si proponeva di conoscere i nuovi studenti e le loro disposizioni. La programmazione si sarebbe svolta d’accordo con le disposizioni.
L’anno scolastico cominciò e nell’aula del terzo docente non si sapeva cosa si sarebbe fatto il mese seguente. Egli intanto si mostrava sereno ed accogliente. I due primi insegnanti avevano invece l’abitudine di programmare rigidamente i compiti e lo svolgimento del programma in base alle esperienze passate. Ma il terzo docente affermava che ogni compito ed ogni attività andava basata sui nuovi studenti e le loro risposte, a volte mutevoli, perché non si può sapere prima se le decisioni a tavolino saranno poi giuste. Molto dipende dalle proprie competenze sviluppate l’anno prima per comprendere i caratteri. I primi due contestavano aspramente dicendo che così non si può sapere niente in anticipo, perché ogni cosa rimane incerta. Ma, ribatteva il terzo, si può prevedere che le cose andranno bene se si uniscono le forze con lo spirito che agisce negli studenti e si ha fede in questo. Se ci si impegna con questa intenzione, anche se non si possono anticipare i risultati, si avrà l’intima convinzione che le cose andranno bene.
C’è quindi una importante differenza tra i primi due atteggiamenti e il terzo. I primi due docenti durante le vacanze si dedicavano rigidamente a quanto fatto prima. Il terzo nutriva il sentimento che nell’anno trascorso tutto era successo come avrebbe dovuto date le premesse e le disposizioni. In breve, i primi due si erano trincerati nell’elemento morto del passato mentre il terzo entrava in ciò che è vivo nel presente.
Se ci identifichiamo ora con i primi due insegnanti, stiamo intervenendo sul presente in base a ciò che è passato e quindi morto, sulla base di ciò che invece dovrebbe esserci lasciato così com’è. Invece il terzo docente prende quello che era vivo nel passato e si rende più preparato. I primi due vogliono evitare errori e usare buoni risultati ma non hanno intenzione di migliorare le loro abilità e cambiare abitudini, vogliono solo prendere decisioni in base a pregiudizi. C’è sempre qualcosa di egoismo nel dire che ci sarebbe piaciuto essere stati migliori di quanto fummo perché ci aggrappiamo al passato. Il terzo docente si mette al lavoro in modo vivo, senza perpetuare ciò che è già accaduto ma fortificando se stesso. Non eviterà gli errori né ripeterà ciò che fece bene, ma prenderà il buono e il cattivo dentro di sé e così crescerà.
Questo è il modo migliore: lasciare tranquillo ciò che è già accaduto e portarlo vivo nel futuro, senza mortificazioni, senza esaltazioni. Appena guardiamo il passato, stiamo ponendo uno specchio di fronte ad esso e ne avremo conoscenza e lo conosceremo in dettaglio. Ci saranno casi in cui questo sarà utile. Ma quando vogliamo agire ed avere una connessione diretta tra noi e il mondo, noi non mettiamo lo specchio. Dobbiamo guardare lontano dal passato che riflette solo noi stessi e le nostre azioni passate. Allo stesso modo, se voglio vedere il mio occhio interpongo lo specchio e lo vedo riflesso. Ma se voglio vedere il mondo debbo togliere lo specchio e rinunciare a vedere il mio occhio. Appena tagliamo lo specchio che riflette il passato non vedremo più noi stessi e le nostre azioni passate, e soltanto allora esse potranno entrare in noi ed arricchirci.
FILOTEO NICOLINI
Studio antroposofico