Oggi non è un post, ma una lunga conversazione che stamane viene pubblicata da “L”Ancora” (grazie a Massimo Prosperi) nella versione integrale e quindi ancora più lunga – lunghissima
Gian Franco Ferraris è andato in pensione. Per tanti anni segretario nei paesi dell’Acquese, ma anche dall’altra parte della arricata nel ruolo di amministratore. Comunque lo si guardi, indubbiamente una figura rilevante nel panorama dell’Acquese. Con una storia, la sua, certamente da raccontare.
Come ci si sente ad andare in pensione?
«Difficile spiegare. A pensarci è come riavvolgere il nastro della mia vita, che è poi la storia di un fallimento. Ci sarà chi pensa che in fondo io stavo giocando, ma in realtà ho lavorato talmente tanto che farò fatica a smettere. Mia mamma diceva che il lavoro è come una droga. Non ci credevo ma è così. Negli ultimi 3 anni specialmente, per la mancanza di segretari ho fatto Consigli ovunque. Anche gratis».
Perchè mancano i segretari?
Perchè non si fanno concorsi. Dicono per il lockdown, ma non li facevano già prima, fatto sta che i Comuni sono tutti vuoti. Io ne ho lasciati 17: da Roccaverano a Bosio, fino all’entroterra di Savona. I piccoli Comuni sono concentrati in Liguria, Veneto e Piemonte e la crisi è soprattutto in Piemonte. Il Superprefetto responsabile di questa materia, comunque, dice che il problema non esiste. Parlando di numeri, quando ho cominciato c’erano 8.000 comuni e 3.000 segretari. Ora i segretari sono 2.000».
Cosa è cambiato in questi anni?
«Tante cose. Quasi tutte in peggio. Prima c’era il controllo degli atti. Fino all’entrata in vigore della legge Bassanini, che è stata una legge fra le più deleterie del mondo, il Coreco in 20 giorni doveva rispondere. Quando prendevi una decisione e facevi una delibera avevi se non altro la certezza del diritto, perchè passava ad un ente superiore e competente che la controllava. Bastava consultarsi con loro, e ti indicavano cosa fare per migliorare gli atti. Ora non essendoci controllo degli atti è più facile che intervengano Procura, Corte dei Conti etc. Ma intervengono due anni dopo, e non si può fare granchè per aggiustare le cose».
Come ti definisci come segretario?
«Di me dico che sono un presuntuoso, ma ho avuto l’umiltà di imparare da persone in gamba, che vorrei ringraziare».
Chi?
«Camillo Bottero, purtroppo mancato ancora giovane in un incidente d’auto, che mi diede un insegnamento prezioso: “Se devi riprendere un dipendente, riprendilo da solo; davanti agli amministratori difendilo sempre”. Poi Gianpiero Dealessandri, che ha 10 anni più di me ed è persona di una ragionevolezza incredibile. Una volta gli chiesi: “Come fai a leggere queste leggi? Sono assurde! E lui diceva: “Per rispetto della professione”. A loro due aggiungerei Grasso, siciliano di Predosa, dotato di chiarezza impeccabile nella esposizione delle norme, e Renzo Pagella da cui ho imparato un sacco di cose su appalti e lavori pubblici. Avere buoni maestri è stato fondamentale, e infatti in tanti anni non ho mai avuto procedimenti penali».
A cosa si deve questo peggioramento delle norme?
«Molto è colpa delle Regioni. Le Regioni sono state un danno incalcolabile per lo Stato italiano. Le norme che c’erano al tempo del fascismo avevano due pregi: chiarezza e certezza del diritto. Tante erano apprezzabili. Ovviamente non tutte… E con la Prima Repubblica è andata ancora meglio, per una lunga fase. Da quando le Regioni possono legiferare, la burocrazia è raddoppiata, le spese triplicate, e le norme si contraddicono».
E le Province? Giusto abolirle?
«Ho fatto il Consigliere provinciale, ed è stata una delle esperienze più noiose della mia vita. Non ero d’accordo quasi su nulla, gestione dei rifiuti, caccia, ecc. Un giorno hanno approvato “i derivati”, ad Acqui ero contrarissimo e lo era la sinistra, in Provincia il centrosinistra ha utilizzato quello stravagante e assurdo strumento finanziario, io andai in bagno – mi dispiaceva fare sempre il bastian contrario, e feci questo gesto vile. Ogni tanto mi sono chiesto se Casagrande il mio collega, mi aveva segnato “assente”. Riunioni inutili, temo che a volte venivano indette per prendere i gettoni di presenza – c’era un consigliere della sinistra radicale che nei rimborsi delle spese di viaggio per quelle riunioni di nullo interesse partiva sempre da paesi lontani. Ma almeno le Province toglievano la neve dalle strade. Avevano dei servizi e una loro utilità. Credo comunque che l’assetto dello Stato andrebbe riformato. Comuni troppo piccoli non servono, qualcosa bisognerà fare. Per esempio tutto l’Acquese dovrebbe avere una struttura centrale per i servizi di pratiche urbanistiche, rispetto per l’ambiente etc.
Ai Comuni singoli invece dovrebbero essere delegati i soli servizi essenziali, che oggi dovrebbero essere facilissimi, perchè per dare la carta di identità dovrebbe bastare premere un pulsante. E magari il richiedente potrebbe richiederla da casa… Ma non funziona così».
Una bizzarria sentita o avvenuta in Consiglio comunale.
«Premesso che credo di essere il recordman del mondo di Consigli comunali, perchè ne ho fatti oltre 2000, in queste 2000 sedute ho visto davvero di tutto. Quando ero ragazzo appuntavo e tenevo nel cassetto tutte le cose bizzarre che capitavano. A un certo punto ho smesso gli appunti erano così corposi che sembravano “Guerra e Pace”. Fra le tante cose bizzarre che ho visto, una è successa a Ponti. Ricordo il sindaco, che era Alossa. Era stato rieletto. Arrivai a Ponti per l’insediamento… Era la rima o la seconda volta che il sindaco nominava gli assessori. Arrivo e vedo l’impiegato che mi guarda attonito. Alossa arriva con in mano due giunte, completamente diverse l’una dall’altra. Sembrava Amleto: “Privilegiamo i giovani… o l’esperienza? I giovani? O l’esperienza?”. Temevo non ne saremmo venuti a capo. Per fortuna Gipo Adorno ad un certo punto si è chiamato fuori: “Guarda, Alossa, nomina i giovani, basta che ci lasci perdere”. Ma questa è una. Di cose bizzarre ne ho viste tante, Il sindaco di Pontinvrea, Camiciottoli, che è un leghista scatenato, mi è molto simpatico, ma ha quasi sempre idee particolari».
Tanti anni nella Pubblica Amministrazione, con tutti i suoi luoghi comuni. Ma… esistono davvero le raccomandazioni in Italia?
«Esistono i favori agli amici. Io sono stato accusato di tante cose, ma di essere disonesto mai. Eppure ricordo che già quando ero un giovane segretario mi capitava che la gente mi dicesse “So che tu sei onesto, ma se si potesse pagare qualcuno…”. Tutti chiedevano raccomandazioni. A volte anche persone importanti, che mi mettevano anche in imbarazzo. Da
giovane mi offendevo per queste cose.
Il favore agli amici è un malcostume italiano. Che riguarda gli appalti, i concorsi, etc. Dico italiano perchè sono stato in Nord Europa di recente, e in Norvegia queste cose sono impensabili. Il favore agli amici è ancora molto diffuso. Semmai non è sempre facile capire quando si superano certi limiti. Oggi forse è un po’ più facile di ieri perchè gli amministratori spesso sono …diciamo… un po’ più grezzi».
Parallelamente all’attività di segretario, è stata sempre forte la passione politica. Lei è stato sindaco a Rivalta, battendo Briata, che era un po’ il re del paese.
«Ho sempre avuto passione politica. Già da ragazzo ero un “leaderino”… piuttosto stronzo anche. Incarnavo un certo ribellismo…
Di recente una persona mi ha detto “Hai fallito in politica perchè sei un libero pensatore”. Effettivamente mi ritengo un fallito nella vita, ma ho sempre vissuto la politica con libertà. Una volta mi chiesero di candidarmi in Regione. Ero popolare all’epoca, forse ce l’avrei fatta, ma non mi candidai perchè pensavo: “Che ci vado a fare, in Regione?”. Questa scelta riflette la mia libertà, ma anche una certa presunzione, che mi appartiene.
Dissi no anche a Danilo Rapetti, che una volta mi chiese di fare il segretario ad Acqui. …Forse, e forse l’ho rimpianto».
Forse?
«Non è sempre facile capire Danilo Rapetti. Ma comunque rifiutai, perchè mi sembrava un’offerta più che per la mia abilità di segretario per la possibilità che la scelta tenesse buono il centrosinistra».
Ma a Rivalta? Che accadde?
«Mio padre Luciano e Briata erano insieme in amministrazione. Mio padre era di antica famiglia socialista. A un certo punto ebbero uno scontro durissimo: Briata voleva mantenere l’asilo con le suore, mio padre lo voleva statale, mio padre si candidò con un’altra lista e perse. E poi si ricandidò, ma continuò a perdere, perchè Briata era un uomo molto astuto.
Erano grandi rivali, ma avevano molto rispetto l’uno dell’altro. Quando mio padre stava morendo nel 1986, Briata venne a trovarlo. Restai con loro perchè sapevo dei loro battibecchi, ma si rispettarono fino alla fine. Quando Briata uscì dalla stanza, mio padre mi disse: “Lui è l’uomo più furbo che io abbia mai incontrato”. Una volta riuscì a vincere delle elezioni che sembravano perse facendo litigare la sua lista e mettendo tutti in competizione. Per le elezioni era capace di tutto: è uno che nelle competizioni si esalta e “ammazza” politicamente l’avversario [il tono è di apprezzamento, ndr]. Lo paragono un po’ a Danilo Rapetti, ma era più cattolico».
Finalmente riuscì a vincere e…?
«Scoprii subito che lui aveva consentito l’utilizzo di acqua inquinata per irrigare i campi. Questo grazie a una deroga che aveva ottenuto con la sua forza politica, perchè Briata politicamente era forte. Secondo lui far sapere che l’acqua era inquinata avrebbe fatto fare brutta figura agli orti di Rivalta e avremmo perso quote di mercato. Una delle cose migliori che ho fatto nella vita è stato risolvere questo problema. Ne ho fatte anche altre comunque: per esempio Briata aveva provato a salvare la scuola e si era impegnato un sacco. Io però feci meglio, convinsi quelli di Cassine a portare la presidenza a Rivalta.
Tanta gente a Rivalta pensa ancora che io abbia maltrattato Briata, ma non è così. Certo, l’ho accusato di aver trattato i rivaltesi come dei minorati, ma era una dinamica politica. A livello personale l’ho sempre stimato e anche omaggiato. Quando smisi di fare il sindaco gli chiesi di parlare. Mi rispose “Ci vediamo al cimitero. Fai finta di andare alla tomba di famiglia io andrò alla mia”. Ci vedemmo. Lo scongiurai di smettere anche lui, gli dissi che sarebbe stato un bene per il paese se entrambi avessimo smesso di fare politica. Mi rispose: “Lo farei, ma i miei non vogliono”. Ostinatamente continuò a perdere contro Ottria ma continuò a lottare fino alla fine dei suoi giorni».
Un’altra cosa di cui va orgoglioso?
«Una volta dicevo che una delle cose buone fatte grazie a me, è stata la variante di Strevi. Frutto di una enorme fatica fatta da me e dall’allora sindaco di Strevi Perazzi».
Forse era meglio farla a 4 corsie…
«I soldi erano quelli che erano. Ma nessuno sa quanto fu difficile fare quella strada. Ma serviva. A Strevi si passava in paese, era una specie di budello; al semaforo c’erano spesso incidenti. Non fu facile: la Provincia diede l’incarico a un tecnico che ce l’aveva con me perchè gli avevo bocciato il piano regolatore di Rivalta. Questo parlò della strada a Briata, che ovviamente mi sobillò contro i contadini rivaltesi (che poi grazie a me presero degli indennizzi molto superiori alla media), dicendo che ero un fesso a voler costruire la strada. Ci riuscii e credo che per Rivalta sia stato un beneficio. Poi un giorno, tanti anni dopo, a Spigno, in un ristorante, sento ad un tavolo vicino due tizi che dicono “la strada più stupida del mondo è la variante di Strevi non puoi nemmeno sorpassare”.
Risi di cuore: non bisogna mai sentirsi chissà chi. Questi sono gli italiani… In Norvegia ci sono tutte strade a due corsie, e tutti rispettano il codice della strada».
Forse ci sono meno trattori…
«E comunque, quale altro tratto di strada di una certa rilevanza è stato fatto nell’Acquese dai tempi di Saracco? In un territorio dove non c’è economia e dove la politica è marginale è dura avere qualcosa. Ora si parla della Strevi-Predosa… di nuovo…».
E lei che ne dice?
«Dico che io l’ho vista. Durante un incontro con l’allora ministro Nicolazzi alla Saiwa. Nicolazzi tirò fuori un plastico della strada… forse se fosse rimasto ministro l’avrebbero fatta».
Ad Acqui è tempo di elezioni. Lei anni fa fu battuto da Rapetti. Fu più bravo lui o mancò qualcosa?
«Ho sempre avuto un amore un po’ a senso unico per Acqui. Un po’ sconsiderato, e non ricambiato. Ho fatto il liceo con Cavallero, e poi anche l’università. Sono suo testimone di nozze. Abbiamo avuto un percorso comune umano e politico: di fatto siamo rimasti fedeli agli ideali della nostra gioventù: Cavallero più lineare e allineato ed io sono rimasto rifondarolo a livello sociale, moderato/socialdemocratico sulle forme di governo e conservatore nel privato. Entrambi i nostri padri hanno subito i danni di lunghi anni di guerra (mio padre era antifascista già da ragazzo e il suo pure se ben ricordo) Ezio per le conseguenze della guerra ha perso suo padre a 16 anni, come orfano di guerra è entrato alla agenzia delle entrate come usciere. Ma poi ha proseguito il suo percorso, si è laureato , è entrato nell’ASL e nel tempo diventato capo del personale.
Altri nel PD hanno fatto grandi carriere. Io invece no. Cavallero un giorno mi disse: “gli altri pensano che sei furbo, tu ti ritieni intelligente, ma invece sei un fesso perchè dai retta a tutti quelli che ti girano intorno”. Ha detto una cosa vera: se penso alla vicenda delle elezioni acquesi penso a questa mia debolezza. La conoscevo benissimo, ma non fui abbastanza
bravo, come invece fu, per dire, Domenico Borgatta, che ci riuscì, a mantenere un po’ di distacco da tutte le idiozie e le divisioni del centrosinistra acquese.
A me non interessava molto candidarmi. Ma godevo di una certa popolarità e ho accettato, avendo io un amore esagerato per Raffaello Salvatore, ultimo sindaco di sinistra di Acqui».
Icardi farebbe notare che l’ultimo sindaco di sinistra è stato lui…
«Come dicevo, avendo io un amore esagerato per Salvatore, sottolineo ultimo sindaco di sinistra di Acqui, ho accettato. Per me era un idolo, col suo carattere burbero e la sua umanità. Io ero un po’ un figlio ribelle per lui, lo ero con i miei genitori e lo ero con lui. Ma devo dire che sono negato a fare il candidato. Cammino e dicono che non saluto, che sono supponente. E quindi non mi votano. E infatti non mi votarono. Anche perchè al momento del dunque ci fu Gallizzi che, lo seppi in seguito, girò dei voti a Danilo Rapetti… Ma dentro di me penso, a distanza di 15 anni, che se potessero tornare indietro sceglierebbero me. Avevo delle belle idee e un programma articolato: dal recupero di Corso Bagni e della zona termale a un piano urbanistico innovativo, per ritrovare la vera bellezza di Acqui, quella di fine Ottocento immaginata dai Saracco… una città di vocazione turistica e pensata per una vita di qualità. Ad Acqui si può vivere bene. Purtroppo mancano alcune cose: anzitutto c’è il problema che le cose belle qui le seppelliscono.
La cosa più bella di Acqui è ovviamente l’acqua termale. E naturalmente la Regione dà le Terme ai Pater in esclusiva. E dire che basterebbe fare una piscina d’acqua all’aperto (come era nel mio programma, ma come poteva essere, diversamente, la piscina di Kenzo Tange di Bosio), quella è una grande attrazione: vedere quell’acqua che risale come dagli inferi con un bollore sarebbe uno spettacolo unico, che varrebbe per attirare i turisti più di tante cose mediocri. Per attirare la gente ci vuole una eccellenza.
Si può dare colpa a chi vogliamo, ma se Acqui è in rovina è colpa di chi ha diretto le Terme nel tempo e di una classe imprenditoriale indubbiamente mediocre. Noi purtroppo non abbiamo mentalità turistica. E c’è invidia. Tanta invidia».
Dice?
«Ai tempi di Mani Pulite, mi capitò di essere interrogato, come persona al corrente dei fatti, più volte. Ebbi modo di capire che quasi sempre le denunce da cui partivano le indagini erano frutto di piccole invidie personali. Ma lo stesso era capitato durante la guerra, con le denunce degli ebrei… nulla di nuovo sotto il sole».
Lei ha detto che la sua vita è la storia di un fallimento. Forse è una definizione troppo severa.
«Ma credo sia vera, e uno se ne accorge proprio diventando vecchio. Sapete, il mio capolavoro sul piano professionale, è appunto la storia di un fallimento: la chiusura della Comunità Montana. Ma è una storia da raccontare. Fu un capolavoro, perchè come dissi ai dirigenti regionali, che avevano fatto una legge che grida vendetta: “Questa la chiudiamo, perchè ci sono io. In Val Curone e Val Borbera vediamo quando la chiuderete”.
Hanno ancora delle cause in corso. La legge era davvero insensata, non sono sicuro che in regione abbiano capito cosa stavano facendo. Hanno finito col balcanizzare il territorio. Arrivare alla chiusura non fu facile.
Tanto per cominciare, c’erano degli immobili costruiti dalla comunità montana, a volte fatti su terreni di Comuni, a volte di privati. In qualche caso c’erano dei mutui da pagare, in altri erano già stati pagati. Ci dissero che gli immobili dovevano essere assegnati alle Unioni di Comuni in cui ricadevano i singoli immobili. Ma in questo modo ci furono Unioni che si
trovarono degli immobili e altre a cui restarono i mutui da pagare.
E poi l’immagine della Comunità Montana: si vociferava che le Comunità Montane fossero piene di debiti. Si diceva che i dipendenti erano le persone peggiori del mondo, gente che guadagnava stipendi d’oro e non faceva nulla… In questo caso forse c’era un fannullone, che però conosceva un sindaco e poi fu il primo a trovare un altro lavoro, ma i dipendenti erano 26-27 e gli altri gestivano le cose in maniera coerente e lavoravano con impegno.
Racconto anche questa: la Comunità Montana aveva comprato una trentina di piccole turbine spartineve. Quando chiude, la Comunità montana chiede ai Comuni di pagarle o di restituirle. Venne fuori che su 31, otto erano state rubate, ma non c’era una sola denuncia carabinieri. Un altro mezzo, un’auto, l’abbiamo recuperata dopo una vita e non aveva più le gomme. Ma chi le aveva prese? Chiudere la Comunità Montana fu uno spettacolo demenziale. C’erano dei lavori che erano andati a rilento, e c’era l’Amag che avrebbe dovuto dare il 3% per i Comuni montani. Erano molti soldi che ci avrebbero dovuto dare, ma non ci davano. E anzichè dare addosso all’Amag sembrava che la colpa di aver finito i lavori in ritardo fosse della
Comunità Montana…
Alla fine, la chiusi in collaborazione con il commissario Paolo Caviglia. Ma, per l’appunto, chiudere una cosa è segno di un fallimento. Il bello sarebbe usare la propria abilità per costruire qualcosa, non per chiudere qualcosa. E questo territorio troppo spesso ha usato le sue forze per chiudere opportunità e non per aprire»