di Alfredo Morganti 11 gennaio 2016
Oggi i libri si distillano, si depurano del presunto ‘di più’, delle ‘noiose’ digressioni per essere restituiti alla loro trama essenziale. Ci sta pensando la casa editrice Centauria, gruppo RCS, col motto ‘Distillati, al cuore del romanzo’, proponendo ‘distillazioni’ appunto di libri come ‘Venuto al mondo’ della Mazzantini o ‘Il socio’ di Grisham. Il ‘cuore’ appunto, questo è l’obiettivo, che si reputa sia costituito dai ‘fatti’ che il libro racconta in intrecci più o meno complessi e articolati, e non dalle digressioni, dai ragionamenti, da tutto ciò che rallenta, appesantisce, allontana lo sviluppo della narrazione. Annoia. C’è chi, come Nicola Lagioia su Repubblica, ha già polemizzato con questa tendenza, rilevandone le contraddizioni, e affermando sostanzialmente che esiste uno ‘specifico letterario’ non riducibile alle ‘buone storie’.
Io aggiungo un’altra cosa, in linea con quanto argomenta Lagioia. L’attuale mania delle scuole di scrittura creativa, l’idea che la scrittura stessa sia un mestiere, la convinzione trasmessa e diffusa che per scrivere sia necessario soprattutto seguire delle regole precise e ben conoscibili, il convincimento che la narrativa sia artigianato, e che l’opera letteraria debba ripercorrere incessantemente sempre gli stessi schemi, sta trasformando profondamente l’offerta letteraria, la sta adeguando al mercato ben più di quanto gli autori, nella loro autonomia, decidano di farlo e in che misura. C’è come una spinta a funzionalizzare’, a cancellare il residuo di aura rimasto, per tentare il colpo di giungere anche ai lettori non abituali, con l’effetto recondito di guastare i gusti anche di quelli abituali.
Si dice: le antologie ci sono sempre state, le ‘riduzioni televisive’ anche. Stavolta però è di più: stavolta si chiama con lo stesso nome un libro diverso, amputato di centinaia di pagine, ‘riscritto’ in sostanza. Del libro originario resta la‘citazione’ del titolo. Tutto deve essere contenuto, in breve, nelle attuali regole della scrittura, nel ‘mestiere’ che insegnano nelle scuole creative e nei testi manualistici che circolano. C’è una ‘misura’ di mercato, una soglia di comprensione’ di massa, che non deve essere superata, questo dicono oggi quelli che insegnano ‘artigianato’ della scrittura. Potremmo dire che all’arte del romanzo si sta sostituendo l’arte della ‘narrazione’, o meglio dello storytelling. Alla creatività profonda, alla poesia, alle scommesse e ai rischi letterari dell’autore, sta subentrando un format ben più sperimentato e docile, entro il quale costringere da oggi anche i libri già scritti, distillandoli nella metà delle loro pagine.
Questa ‘ideologia’ della distillazione, della funzionalità, della trama e delle regole da imparare a scuola creano autori tutti al ‘presente’, consumabili oggi, subito, secondo gli attuali gusti, le attuali esigenze di mercato, e pronti a essere dimenticati già da domani. Con la scusa che l’arte è morta, la letteratura è solo narrazione e l’aura letteraria è finita sotto i colpi della tecnica, si finisce per considerare il predominio della tecnica stessa (compresa questa attività di ‘distillazione’) la vera esigenza, l’unica e disincantata realtà ammissibile. Ma non è così. Raccontare storie non è la stessa cosa che scrivere romanzi. È molto meno.