di Toni Gaeta 24 novembre 2015
Da Wikipedia apprendiamo che secondo quanto osservato da von Clausewitz, la guerra non è accesa dall’azione di chi offende, ma dalla reazione di chi si difende: se non ci fosse reazione bellica, infatti, non si verificherebbe un conflitto armato. Tale fu il caso, ad esempio, dello “Anschluss”, ovvero l’invasione dell’Austria da parte della Germania nel 1938. Si ha, pertanto, l’inizio della guerra quando si verifica il primo combattimento fra forze contrapposte.
Poiché i terroristi che fanno riferimento al Daesh*, oltre ad essere cittadini francesi e belgi, non possiedono altra cittadinanza, la loro nefasta azione non costituisce un “casus belli”. Ciò significa che la dichiarazione di guerra fatta dal Presidente francese François Hollande rischia di impantanare l’Occidente in una guerra di religione, che come controparti vede coinvolte solo fazioni islamiche, che usano il terrorismo. Più oculato é stato l’intervento della Russia, che ha innanzitutto coinvolto l’Iran, l’Iraq e la Siria (rappresentata ancora dal Presidente Assad), in quanto stati a prevalente religione musulmana, al cui interno proliferano organizzazioni terroristiche.
Già la Pace di Westfalia (1648) inaugurò un nuovo ordine internazionale, un sistema in cui gli Stati si riconobbero tra loro proprio e solo in quanto Stati, al di là della fede dei vari sovrani. Da allora assunse, dunque, importanza il concetto di “sovranità dello stato” e nacque una comunità internazionale, più vicina a come la si intende oggi. Pertanto, attribuire alle azioni terroristiche dei sedicenti “combattenti islamici” il carattere di “casus belli”, avvalora il tacito riconoscimento internazionale di quello che impropriamente si autodefinisce “Stato Islamico”.
Purtroppo, questa definizione non é casuale. Essa risponde al tentativo dei capi del Daesh* di raccogliere quanti più consensi possibili tra i musulmani. L’aspetto più grave, però, é costituito dall’utilità che tale definizione arreca ai governi occidentali (USA e Francia in primis). Essi intendono coprire con una guerra, destinata a diventare di fatto “religiosa”, le nefaste conseguenze di un turpe scambio mercantile, subentrato all’abbattimento dei regimi arabi (Saddam Hussein, Mu’ammar Gheddafi e Bashar al-Assad), giacché autoritari (leggi: non sottomessi all’Occidente). Tutto ciò per acquistare petrolio dalle organizzazioni terroristiche, in cambio della vendita di armi !
Le definizioni di “guerra civile”, “guerra per la civilizzazione”, “guerra per la democrazia”, “guerra umanitaria” o “guerra per la pace” sono ossimori molto recenti. Dico “ossimori”, perché esse evocano concetti in forte contraddizione tra loro. La guerra, infatti, implica sempre danni ai civili, al loro grado di civiltà, ai regimi democratici, agli assetti umanitari e pacifici ! Per quanto la pace di Westfalia pose fine alle guerre di religione, nel corso della Storia quasi sempre é stata invocata una “guerra di religione” (o il sostegno ideale di un mito eroico e guerriero), con il fine di coinvolgere la popolazione, nel perseguimento di obiettivi di potere oligarchico e di conquista.
Sebbene sappiamo che quasi tutte le guerre hanno cause profonde di ordine economico, il pericolo della contrapposizione religiosa é reale. Quindi, si rende necessario approfondire le possibili cause religiose, perché quelle economiche (come tali, non gestite direttamente dal popolo) non sono sufficienti, per mobilitare tanti esseri umani, inducendoli ad uccidere altri esseri umani. Solo le motivazioni di carattere ideologico (e soprattutto religioso) provvedono a fornire di volta in volta le necessarie giustificazioni “morali” e “spirituali”.
Su questo alcune interpretazioni di carattere bellicoso, contenute nelle “sacre scritture”, sembrano poter aiutare molto i capi belligeranti al servizio dei potenti operatori economici.
Infatti, se pure volessimo attribuire un carattere antireligioso alla “guerra”, dal Vecchio Testamento apprendiamo che Jahvè ordinò spesso agli Israeliti di andare in guerra contro altre nazioni (1 Samuele 15:3; Giosuè 4:13; Esodo 21:12; 21:15; 22:19; Levitico 20:11).
Pertanto, Dio non è contrario all’uccisione in ogni circostanza, quanto piuttosto solo all’omicidio. Si dice che la guerra non è mai una cosa buona, ma talvolta è “necessaria” !
Già i Crociati assalivano in Palestina le carovane di mercanti, al grido di “Dio lo vuole !” – Per non parlare dei tempi più recenti, quando G. W. Bush giustificò l’intervento armato prima in Afghanistan e poi in Iraq, anche con motivazioni divine e anti-islamiche.
Nel Vecchio Testamento, Jahvè ordinò agli Israeliti: “Mobilitate fra voi degli uomini per la guerra, e marcino contro Madian, per eseguire la vendetta del Signore su Madian” (Numeri 31:3). Si veda anche Deuteronomio 20:16-17: “Ma nelle città di questi popoli che il Signore, il tuo dio, ti da come eredità, non conserverai in vita nulla che respiri, e voterai a completo sterminio gli Ittiti, gli Amorei, i Cananei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. Così come il Signore, il tuo dio, ti ha comandato di fare”. In Esodo 17:16 poi è scritto: “Una mano s’è alzata contro il trono del Signore, perciò il Signore farà guerra ad Amalec, di generazione in generazione”. Inoltre, da 1 Samuele 15:18 leggiamo: “Va’, vota allo sterminio quei ‘peccatori’ degli Amalechiti, e fa’ loro guerra, finché siano sterminati”.
Quindi, il Dio ebraico (Jahvè), adottato dal Cristianesimo, non è certamente contrario a ogni guerra !
Inoltre, sebbene da collocare nella giusta prospettiva storica, dall’ultima versione del Corano, sembra apprendere che Maometto e i suoi seguaci fossero indotti alla guerra, con queste parole: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati. (Sura IX, 29).
“Noi porremo delle gogne sui colli di coloro che saranno stati infedeli.”
(Corano – Sura XXXIV, 33)
“O voi che credete. Non fate lega con i Giudei e con i Cristiani, che sono in lega gli uni con gli altri. Chi di voi fa lega con loro è dei loro. Iddio non dirige gli iniqui.” (Sura V, 51 )
“Fate guerra per la causa di Dio, a coloro che vi fanno guerra ma non siate aggressori ! – Iddio non ama gli aggressori – Uccideteli ovunque li incontriate e cacciateli di donde vi hanno cacciati: la sovversione è peggio dell’uccisione.” (Sura II, 190)
“O Profeta, combatti la Guerra Santa contro gli infedeli e gli ipocriti, e sii duro con essi.” (Sura LXVI, 9)
“E i miscredenti subiranno un doloroso supplizio.” (Sura II, 104)
Combatteteli, finché non ci sia più politeismo, e la religione sia tutta per Allah.” (Sura VIII, 39)
D’altronde, la violenza è chiaramente presente nella vita stessa di Maometto, come si apprende dalla sua biografia. È qui interessante anche osservare che le prime biografie del “fondatore” non portano il nome di ‘sīra’, come saranno chiamate nel III secolo dell’egira (IX secolo dell’era cristiana), bensì quello di ‘kitāb al-maghāzī’, ossia “il Libro delle razzie”. Fu lo stesso Maometto, infatti, come capo politico, a condurre sistematicamente queste razzie, ad organizzarle e conquistare, una dopo l’altra, le varie tribù arabe. Queste si sottomisero a lui e al suo dio, pagando un tributo, che permetteva a Maometto di lanciarsi in nuove conquiste.
Dunque le 3 religioni sopra citate, che fanno riferimento allo stesso Dio, hanno in comune il concetto di trasgressione delle regole imposte dal dio (unico ?), così come ciascuna delle 3 religioni lo interpreta.
In quella cristiana, ad esempio, il fondamento della giustificazione della morte violenta é costituito dall’accentuazione soprattutto cattolica del concetto di “peccato”.
Persino nella Lettera di Paolo ai cristiani di Roma si legge: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio”. Poi: “Tutti abbiamo peccato. Abbiamo commesso tutti delle cose che dispiacciono a Dio. Non c’è nessuno che sia innocente.” (Romani 3:10-18). Queste parole forniscono l’idea cristiana del modo in cui il ‘peccato’ sia insito nell’indole umana e, quindi, nella nostra vita.
Ancora nella “lettera ai Romani per la salvezza”, Paolo ci dice quali sono le conseguenze del ‘peccato’: “Perché il salario del ‘peccato’ è la morte !”. (Romani 6:23). Quindi, in un mondo pieno di ‘peccatori’ che devono morire, la guerra sembra accettabile. Inoltre, spesso l’unico modo per impedire a dei ‘peccatori’ di fare molto male sembra quello di andare in guerra contro di loro. Quindi, la guerra è una cosa terribile, “ma essa é sempre il risultato del ‘peccato’ !” (Romani 3:10-18).
Se il ‘castigo’ che ci siamo guadagnati per i nostri ‘peccati’ (sebbene non commessi) è la morte (non solo fisica, ma anche eterna), sembrerebbe che dichiarare guerra ai miscredenti possa essere un’ottima motivazione, per sperare nella salvezza eterna.
Stanti i molteplici “giustificativi” di carattere religioso provenienti da Jahvè (come già detto, dio ebraico, fatto proprio anche dai cristiani) e da Allah (versione islamica dello stesso dio), si comprende molto di più il carattere innovatore delle parole di amore verso tutti gli esseri umani (e, quindi, di pace) pronunziate da “Gesù Cristo”, come risultano dai Vangeli soprattutto gnostici.
Questo perché la concezione gnostica del cristianesimo primitivo affonda le sue radici nelle religioni di origine matriarcale: ovvero quelle praticate presso le società matriarcali di transizione alle patriarcali (Vedi “Realtà e significato di Maria Maddalena”, nonché “L’Io e l’uroborico femminile).
Le convinzioni d’ordine religioso di queste società, infatti, non sono riconducibili a semplici “riti di fertilità”. Questa voluta semplificazione distorce il fatto che queste culture hanno un sistema religioso complesso. La concezione fondamentale che le popolazioni matriarcali hanno del cosmo e della vita (credenza che esprimono in molti riti, miti e tradizioni spirituali) si basa sulla fede nella “rinascita”. (Vedi “L’antica centralità sociale della donna” e “Il potere della rinascita”).
Fin dall’inizio non si trattò dell’idea astratta della “trasmigrazione delle anime”, come apparve in epoche più recenti nell’Induismo e nel Buddhismo, ma dell’idea della ‘rinascita’ in senso molto concreto. Tutti i membri di un clan sarebbero rinati e rinascerebbero ancora da una donna del loro clan, nella casa del clan, nel loro villaggio di origine. Ogni defunto ritornerà direttamente, come bambino nello stesso clan. Le donne sono molto rispettate nelle società matriarcali, perché garantiscono la ‘rinascita’ dei componenti del proprio clan. Esse così rinnovano e prolungano la vita del clan !
Questa concezione sta alla base della visione matriarcale della vita che, quindi, esclude qualsiasi motivazione per la “guerra”. Le popolazioni matriarcali hanno adottato questo concetto dal mondo naturale, in cui vivono: in natura, la crescita, la fioritura, la decadenza e il ritorno della vegetazione hanno luogo ogni anno. Le popolazioni matriarcali sono convinte che ogni pianta che avvizzisce in autunno, rinasce la primavera dopo. Perciò la terra è la Grande Madre che garantisce rinascita e nutrimento a tutti gli esseri viventi. Il clan é come un grande albero, i cui rami, sorretti da un forte fusto (costituito dalla “matriarca”), rigenerano sempre i loro figli, come le foglie, i fiori e i frutti. Questa non é “fertilità”, bensì ciclo della “rinascita”.
Nel cielo, infatti, i popoli matriarcali vedono lo stesso ciclo di andata e ritorno: tutti i corpi celesti nascono, permangono nel cielo, per poi morire ma ritornare ogni giorno e ogni notte. Tali popoli percepiscono il cosmo come la Grande Dea del Cielo e della Creazione, che crea costantemente ogni cosa. E’ lei che garantisce l’ordine del tempo.. Fa nascere tutte le stelle dell’est, le fa muovere nel cielo, fino a che muoiono (sempre sotto il suo potere) a occidente. Un buon esempio di questo concetto matriarcale è la dea egizia Nut, la Dea del Cielo. Essa dava la nascita a suo figlio Ra, il Sole, ogni mattina e lo divorava ogni sera, solo per farlo “rinascere” al successivo risorgere del Sole.
Dunque, il popolo matriarcale osserva il ciclo della nascita, della morte e della rinascita nel cosmo e sulla Terra. Secondo il principio matriarcale della connessione tra il macro e il microcosmo, esso vedeva (e vede) lo stesso ciclo nella vita umana. L’esistenza umana non è diversa dai cicli della natura, segue le stesse regole. Nel loro concetto di “mondo umano” e naturale manca il dualismo patriarcale, che separa “spirito” e “corpo”, “società” e “natura”. Inoltre, manca il concetto dualistico di morale, che definisce ciò che è “bene” e lo separa dal “male”. Tra loro come avrebbe potuto germogliare l’idea del “conflitto bellico” ?
Dalla prospettiva matriarcale, la vita porta la morte e la morte porta una nuova vita, all’interno dello stesso tempo. Se ogni cosa è necessaria ad un dato momento, l’opposizione drastica tra “bene” e “male” non ha senso, come non ha senso che essi osteggino tra loro. Nello stesso modo, il maschile e il femminile sono polarità cosmiche. Al popolo matriarcale non succederà mai di considerare un sesso inferiore o più debole dell’altro, come è di norma nelle società patriarcali.
L’intera visione del mondo dei popoli matriarcali è strutturata in modo non dualistico. Non fanno essenzialmente distinzione tra sacro e profano. L’intero mondo in tutte le “sue” sembianze è divino e, quindi, sacro per la gente. Essi rispettano e venerano la natura, perché sacra: non la sfrutterebbero, né la distruggerebbero mai ! Soprattutto la “natura umana” ! Ad esempio, ogni casa è sacra e il fulcro della sua sacralità è di essere il luogo in cui si incontrano i vivi e gli antenati. Ogni compito quotidiano e ogni gesto ha un significato simbolico, ogni azione è ritualizzata. Perciò, su un piano culturale, le società matriarcali si definiscono società sacrali o culture della Dea, che non conosce l’infamia e l’abominio della “guerra” tra esseri umani.
(*) Daesh: ovvero Dāʿish, vale a dire “ad-Dawla al-Islāmiyya fī al-ʿIrāq wa l-Shām”, perfetto corrispettivo dell’inglese: Islamic State of Iraq and Syria.