Fonte: Il Manifesto
di Giulia Mietta – 17 agosto 2018
Genova. Dopo il crollo del ponte Morandi, 600 cittadini rischiano di vedere la propria casa demolita.
Ennio Guerci ha 68 anni. Era un bambino quando la Società italiana per condotte d’acqua iniziò a costruirgli il viadotto Morandi sopra la testa. «Sono il figlio di uno dei ferrovieri per cui quelle case vennero realizzate, eravamo qui prima che il ponte esistesse ma non eravamo proprietari e nessuno ascoltava le nostre proteste – racconta -. Non lo fanno neppure oggi». Portavoce dei comitati di via Porro, è uno dei 600 cittadini fatti evacuare in vista di un’imminente demolizione ma anche un esponente dei comitati No Gronda.
LA GRANDE OPERA delle polemiche, il passante che avrebbe dovuto raddoppiare l’autostrada A10, è un tema spinoso dal 1984 da quando, cioè, le realtà economiche e industriali iniziarono a sentire l’esigenze di una bretella aggiuntiva. Guerci non ha cambiato idea neppure ora che «la favoletta del crollo del ponte», come si leggeva nel 2013 in un comunicato del M5S rimosso da internet, è realtà. «Costruire un’infrastruttura del genere fino al 14 agosto 2018 era da pazzi – afferma -, oggi sarebbe da criminali». Nel 2010, quando la sindaca di Genova era Marta Vincenzi, Guerci venne eletto nell’osservatorio per la Gronda di Ponente.
DA ATTIVISTA ha seguito i progetti che si sono alternati, tra varianti di percorso, fondi congelati e riattivati, valutazioni d’impatto ambientale, cronoprogrammi e conferenze di servizio, ma sembra poco interessato all’ipotesi di una ricostruzione del ponte Morandi che potrebbe ricalcare, in parte, uno dei progetti presi in esame in passato per la costruzione della Gronda. «Chiedo solo una casa – dice – visto che la mia sarà distrutta insieme al ponte, dove concludere degnamente la mia esistenza».
NEGLI ULTIMI 20 ANNI si sono alternate due possibilità per la realizzazione della grande opera. La cosiddetta Gronda alta, incuneata nell’entroterra, avrebbe dovuto collegare con un tunnel il porto commerciale di Pra’ e Bolzaneto per poi riconnettersi con, appunto, lo svincolo est del viadotto Morandi. Il traffico sul ponte sarebbe stato snellito. Era questa l’opzione favorita da governo e Autostrade. Dopo l’approvazione del progetto definitivo da parte del ministero dei Trasporti, e del piano economico finanziario nel 2018, l’iter autorizzativo era terminato. Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, il maggio scorso a Genova affermava: «Nel 2019 inizieranno i primi cantieri importanti». Dieci anni di lavori, per un costo di 110 milioni per ogni chilometro di tracciato.
L’ALTRA OPZIONE è quella che torna oggi di attualità: la Gronda bassa. Non perché potrebbe essere riciclata come alternativa al ponte, ma perché (se non fosse stata bloccata) forse sarebbe già stata ultimata. Il tracciato avrebbe dovuto affiancare il ponte Morandi 150 metri a nord, in vista di un futuro potenziale abbattimento dello stesso. Il débat publique messo in atto dall’amministrazione comunale bocciò questa soluzione che, rispetto a quella poi scelta, avrebbe avuto un costo nettamente inferiore (2 miliardi e mezzo di lire erano già stati stanziati in finanziaria). I dettagli su quel progetto si trovavano in uno studio che Autostrade per l’Italia aveva realizzato assieme alla società d’ingegneria Spea nel 2009. In quello studio si prevedeva una demolizione del Morandi in un massimo di 12 mesi con smontaggio «per ordine inverso rispetto alla costruzione dell’opera» in modo da non demolire le case sottostanti.
IL VICEMINISTRO ai Trasporti Edoardo Rixi, genovese e già assessore regionale alle Infrastrutture, ieri ha confermato che il Mit garantirà la realizzazione di un nuovo viadotto «entro fine anno». Un’opera che costerà 150 milioni di euro, oltre ai costi di demolizione. «Autostrade sosterrà le spese – spiega – mentre è ancora da vedere chi costruirà». Poi ricorda: «Il progetto della Gronda bassa venne fermato non nel 2009, ma tra gli anni ’80 e ’90, quando il vicesindaco di Genova era Claudio Burlando». L’ex ministro e presidente di regione che oggi accusa i 5S di avere ostacolato le grandi opere.