La giustizia e la riforma Bonafede

per Vincenzo Musacchio
Autore originale del testo: Vincenzo Musacchio
Fonte: Originale

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale in varie Università italiane ed estere, ha insegnato di diritto penale presso l’Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma (2011-2012), dal 2018 è associato della School of Public Affairs and Administration (SPAA) presso la Reuters University di Newark (USA), presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise e direttore Scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.

E’ davvero così grave lo stato della giustizia in Italia?

Per rendersene conto basta entrare in un tribunale e si evidenzia immediatamente il decadimento della giustizia italiana. Pensi che la lotta ai roditori è diventato il simbolo delle richieste, sempre più urgenti, di condizioni di lavoro più salubri e della risoluzione del problema dell’edilizia giudiziaria in quasi tutti i palazzi di giustizia d’Italia. Di pochi giorni fa la notizia di un tribunale che emette sentenza di condanna senza ascoltare la difesa. Non basta la giustizia senza tempo dovuta alla riforma epocale dell’istituto della prescrizione. Adesso si esperimenta anche la giustizia senza avvocato della difesa. Io che vivo l’ambiente giudiziario da oltre venticinque anni devo dire che questo è il clima che quotidianamente serpeggia nei palazzi di giustizia.  Questa è la fotografia dello stato della giustizia nel nostro Paese.

La riforma del ministro Bonafede fissa in sei mesi il termine perentorio per la conclusione delle indagini preliminari, che ne pensa?

Concordo con l’assunto del prof. Franco Coppi: “nella vita non ci s’improvvisa”.  Sei mesi per chiudere le indagini preliminari con lo stato in cui versa la giustizia italiana è pura fantascienza! Esistono in materia penale perizie che impegnano i consulenti anche fino a tre, quattro mesi proprio per necessità tecnico-scientifiche, mi chiedo allora come si fa a stare nei sei mesi?  Una materia così importante e multiforme deve essere affidata a persone dotate della competenza necessaria. Ricordo solo che riforme storiche in materia penale portano i nomi di Giuliano Vassalli, Giandomenico Pisapia, e ancora Vincenzo Manzini, Arturo Rocco. Anziché fissare termini drastici, bisognerebbe depenalizzare e velocizzare le varie fasi del processo penale. Oggi si pretende che un testimone si rechi in aula, a distanza di anni, per riferire se l’assassino ha sparato con la mano sinistra o con la destra, fatto certamente già agli atti. Siamo di fronte a un meccanismo disorganico, fonte di perdite di tempo indicibili. A volte rimpiango il vecchio codice di procedura penale con il quale i processi si risolvevano in un paio di udienze perché il giudice era nelle condizioni di poter acquisire, mediante la lettura degli atti, una conoscenza approfondita del caso.

Cosa ne pensa della nuova figura del “magistrato coordinatore”?

Non la condivido perché nominato direttamente dal procuratore capo, al posto del procuratore aggiunto, fino a oggi individuato dal Csm. La ritendo lesiva delle prerogative del Csm e al limite della costituzionalità.

E sulla prescrizione che si blocca dopo il primo grado?

In primis, ritengo violi il principio di eguaglianza tra i cittadini poiché mette sullo stesso piano chi commette un delitto e chi una contravvenzione. Da penalista dico che siamo di fronte è un’abnormità! Non è tuttavia il solo principio a essere violato, poiché è oltraggiato anche il principio di ragionevolezza, giacché si concepisce l’idea di un passato che non passa mai, di un tempo che non è più tale perché a un certo punto si ferma inesorabilmente. Non si può concepire l’idea di un giusto processo, dove il tempo non abbia una funzione nella vita di una persona. Non si possono mettere sullo stesso piano il condannato e l’imputato. Con questa riforma a me pare che questo rischio ci sia.

Della riforma del Csm, che Bonafede propone cosa ne pensa?

Assolutamente contrario al sorteggio indiscriminato poiché rischia di far eleggere un magistrato non adeguato a quel ruolo (es. di prima nomina). Sarebbero auspicabili nomine fatte con la rigorosa osservanza del criterio meritocratico, curriculare e  con opportuni approfondimenti istruttori e motivazioni adeguate, accertando le competenze tecniche dei candidati. Vorrei un Csm dove Giovanni Falcone sarebbe stato senza se e senza ma Procuratore nazionale antimafia e non umiliato e escluso. Il compito di nominare procuratori, aggiunti e presidenti potrebbe essere assegnato alla Corte Costituzionale con una sezione ad hoc.

In conclusione, la domanda più scomoda: qual è la sua opinione sulla questione della separazione delle carriere?

Sono tra quelli favorevoli a che i due percorsi siano nettamente separati, Pm e giudice non più “consanguinei”. Un grande giurista del nostro tempo, Giovanni Conso, Presidente emerito della Corte Costituzionale, affermò con forza che la separazione delle carriere tra giudici e Pm fosse ormai un’esigenza “ineluttabile”. Giuliano Vassalli e Giandomenico Pisapia (autori dell’attuale codice di procedura penale) ritenevano che parità tra accusa e difesa e giudice terzo e imparziale fossero elementi “presupposto” della loro riforma. Un’esigenza che trae forza e legittimazione anche da quanto affermato con estrema chiarezza all’articolo 111 della Costituzione, articolo nel quale si prevede esplicitamente che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. Va aggiunto che in nessun altro Paese con un processo penale di tipo accusatorio, giudici e pubblici ministeri sono reclutati congiuntamente, hanno lo stesso status, possono trasferirsi da una funzione all’altra senza specifiche valutazioni. Non nei paesi a tradizione giuridica anglosassone, come ad esempio Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. Non nei paesi dell’Unione europea come Germania, Austria e Olanda. In tutti questi paesi sarebbe inimmaginabile che il processo penale potesse celebrarsi, non nel pieno rispetto dei diritti della difesa e del cittadino imputato, di fronte ad un giudice che appartiene allo stesso corpo del pubblico ministero, a un giudice che per legami istituzionali è a tutti gli effetti “collega” di una delle parti in causa.

E’ vero che anche Giovanni Falcone fosse favorevole alla separazione delle carriere?

Il giudice – scriveva Falcone – si staglia come figura neutrale, non coinvolta, sopra le parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’esecutivo. Sempre Giovanni Falcone affermava: “Comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi… su questa direttrice bisogna muoversi. … Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell’antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza e autonomia della magistratura”.

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